Se volete pagine di gioco di stile impeccabile, storie toccanti, frasi che vi insegnino da quale punto di vista guardare la vostra vita, andate in libreria e non comprate questo libro. Tanti altri autori faranno al caso vostro, ma non Federico “Ghigo” Renzulli, perché lui non è uno scrittore nel termine convenzionale del termine, lui è un musicista che ha voglia di condividere la sua musica con il pubblico, e non c’è musica che non nasca dalla vita.
“40 anni da Litfiba” (Arcana Edizioni s.a.s.) scritto, come già detto, da Ghigo Renzulli con la collaborazione del giornalista Adriano Gasperetti, non è un libro: è una chiacchierata fatta con un musicista, magari davanti a una birra in un pub, forse dopo un concerto, sulla sua vita e la genesi di una delle più longeve rock band italiane: i Litfiba. Ghigo si ferma, si mette a sedere, si riposa, ti guarda negli occhi e senza neppure chiederlo ti racconta tutto senza alibi né giustificazioni, come se mettersi a nudo nella piena luce del sole fosse la cosa più naturale di questo mondo ovunque, e non solo sulle spiagge dell’isola di Capraia.
Come ogni storia si parte dalle origini, e non tanto per dire, perché il mondo è subito descritto dall’ombelico della madre e da un punto interrogativo nel suo destino. Da quel punto interrogativo, però, poi nasce Federico che ci racconta della sua infanzia in Irpinia, terra bella e amara al tempo stesso, con i ricordi dei personaggi che l’hanno popolata. Una prima parte bella e intensa per dichiarare chi è Federico con il carattere schietto delle sue origini e le esperienze che andranno ad arricchire la sua crescita personale.
Senti il suo affetto quando descrive la nonna, donna minuta ma con una forza spropositata che lavorava nei campi e si occupava delle faccende domestiche. Ti incuriosisci delle esperienze fatte seguendo il padre con la famiglia per lavoro in Italia, fino ad approdare a Firenze, la città degli anni ’60 del secolo scorso, con case in costruzione e il boom economico, ma anche dell’alluvione. Ghigo ci permette di sbirciare in casa di un ragazzo con poche disponibilità, ma tanto amore per la musica e sorridiamo mentre abbraccia una racchetta da tennis imitando un chitarrista davanti allo specchio.
Da quella racchetta da tennis attraversiamo gli anni, i lavoretti e i primi strumenti, i primi amori, i primi eccessi, le prime collaborazioni, per arrivare in un fondo che da piccolo luogo per esercitarsi diventa una sala prove e un punto di ritrovo per i musicisti della città. La musica si fonde con la vita di tutti i giorni, con il lavoro, la voglia di vivere Firenze ma anche di fuggirne, il bisogno di comporre, sì proprio quello, perché, come ricorda Ghigo, lui non è un solo un chitarrista, è innanzitutto un cantautore.
Qui le pagine del libro sembrano volare, mentre vediamo attraverso i suoi occhi la Firenze della New Wave, coi suoi locali, ormai mitici, come il Banana Moon e personaggi importanti per la realtà culturale come Bruno Casini, che sarebbe diventato il primo manager dei Litfiba. Passiamo attraverso l’esperienza dei Cafè Caracas con Raffaele Riefoli, in arte Raf, e ci parla dei primi concerti fuori dalla città, le prime avventure musicali con le loro emozioni, dell’apertura del concerto dei Clash a Bologna, dove la felicità per un evento così importante viene distrutta dallo scontro con un pubblico diffidente, e l’evento stesso segna l’inizio della fine di una collaborazione. Uno spietato faccia a faccia con un mondo fatto di gioie e dolori, vittorie e sconfitte, dialoghi e litigi per chi ne fa la propria vita.
Tuttavia, come ogni buona fine vuole, l’inizio porta novità, e da un fortunato qui pro quo con Gianni Maroccolo si mettono le basi per i Litfiba che diventeranno uno dei gruppi più significativi per il panorama musicale italiano. Ci immergiamo nei primi passi della formazione e della scelta del nome, composto da Ghigo come fosse un telex, e vediamo l’arrivo di Antonio Aiazzi, Francesco Calamai, Sandro Dotta e infine Piero Pelù. Da questo punto in poi, lettori miei, dovete allacciare le cinture perché il racconto diventa un susseguirsi ininterrotto di concerti, tour, cambi di componenti della band, immersione nella New Wave fiorentina, Rock, locali, avventure amorose e musicali.
Le ispirazioni provengono da ovunque, la band diventa internazionale e si fa conoscere fuori dai confini italiani, la musica diventa protagonista insieme a giovani che hanno voglia di vivere, suonare e condividere la propria arte. Ghigo riesce a trascinarti dentro al libro e così diventi testimone dell’incisione di album come “17 RE” ed “El Diablo”, dei video girati, partecipi alla Mephistofesta, una serata in stile dark mefistofelico al Casablanca, un altro storico locale dell’epoca. Vorresti rallentare solo per rimanere lì a bere con loro, ma le pagine sembrano girare da sole, e vai avanti, come in un diabolico incanto. La magia non finisce, però si trasforma con l’uscita di Pelù e una nuova fase per il gruppo, per arrivare infine alla successiva reunion.
Questo incantesimo, però, non è solo un insieme di eventi e avventure: Ghigo si lascia andare anche a descrizioni più tecniche sugli strumenti come la scelta di suonare una chitarra piuttosto che un’altra per aggiungere un particolare effetto a una canzone, la ricerca di nuove sonorità. Questi sono piccoli approfondimenti aprono gli occhi su quanto sia impegnativo il lavoro per creare una canzone che ci fa provare emozioni o che diventa la colonna sonora di sguardi complici, mettendo in risalto così come dietro a una serata ci siano ore di prove, dedizione e soprattutto una creatività che non è lasciata a sé stessa perché è combinata alla consapevolezza di ciò che si sta producendo e di quale sia il modo migliore per farlo.
Da qui si sviluppano riflessioni sul settore della musica nella realtà italiana con tutte le sue fragilità confrontata con altre realtà di respiro internazionale dove gli artisti e le maestranze hanno più garanzie e protezione che alla fine sono il simbolo della dignità di un lavoro, argomento oggi più che mai attuale: perché l’arte deve trasmettere emozioni e allontanarci dalla banalità, ma non per questo non possiamo negare che sia un lavoro e dovremmo pretendere che come tale vada rispettato.
Una chiacchierata tra amici, un viaggio, una confessione senza veli fatta da chi il velo non lo concepisce neppure come parte del proprio essere, un libro: chiamatelo come volete, quello che posso dirvi è che la parte peggiore è l’ultima pagina, proprio perché finisce. Mentre si leggono le ultime parole, fa già capolino la nostalgia per tutta quella vita e quella musica che ci ha accompagnato per tutte quelle pagine. Ma la soluzione c’è, basta ricominciare dalla prima pagina e Ghigo sarà di nuovo con noi a raccontarci la sua storia.
Articolo di Alma Marlia