“Sanremo, che passione!” è un libro denso, pieno di riferimenti, che celebra la presenza dei cantanti toscani al Festival di Sanremo. Un testo che fa capire come la manifestazione in passato non fosse solamente una gara musicale, ma un appuntamento imperdibile, una sorta di celebrazione, dove i cantanti – e non solo – toscani hanno sempre avuto una grande importanza, ben oltre gli eventuali piazzamenti nei primi posti. Un caleidoscopio di storie di vita, aneddoti, intrecci di tutti i tipi e naturalmente di argomenti musicali, a cura di Paolo Mugnai per i tipi di Felici editore (2023).
L’opera è introdotta da due capitoli separati dal resto del testo: “Uomini soli” di Sandro Bugialli e “Giancarlo Bigazzi” di Enrico Salvadori. Nel primo si parla del festival del 1990, organizzato da Adriano Aragozzini, e nel quale i Pooh vincono appunto con il brano “Uomini soli”; un festival considerato un miracolo per molti motivi, primo fra tutti per la sapiente utilizzazione del Palafiori, un grande e spoglio capannone, che venne usato al posto del teatro Ariston dal momento che lo stesso era in corso di ristrutturazione e ampliamento. Si trattava fra l’altro dell’anno che segna il ritorno dell’orchestra dopo anni e anni di uso di basi musicali.
Nel secondo si illustra la figura del fiorentino Giancarlo Bigazzi, autore di oltre milletrecento canzoni, molte delle quali tradotte in tutto il mondo, una fra tutte “Gloria”, con una versione anche in lingua egiziana. Figlio di un agente di polizia e di un insegnante elementare, dopo aver messo su un’orchestra si trasferì a Roma dove di giorno lavorava in banca e di sera intesseva amicizie con personaggi come Ettore Scola, Luchino Visconti, Mario Monicelli, Nino Manfredi, per poi trasferirsi a Milano, la capitale della musica. Innumerevoli le sue esperienze musicali a partire dall’incontro decisivo con Giovanni Calone (Massimo Ranieri), la scrittura di “Lisa dagli occhi blu”, canzone cantata da Riccardo del Turco (1968) che al di là di arrivare seconda al Festival vendette oltre cinque milioni di dischi, la fondazione del gruppo Squallor nel 1971 e molte altre ancora.
Bigazzi è stato una pietra miliare per la musica, e non solo per Sanremo, perché a partire dagli anni ’70 diventerà un riferimento, presso la propria abitazione sulle colline fiorentine, per grandi personaggi come Adriano Celentano, Mina, Ornella Vanoni, Patty Pravo e Loretta Goggi, oltre a costituire una sorta di laboratorio dove si formeranno artisti come Marco Masini, Aleandro Baldi e tutti gli altri della cosiddetta scuola fiorentina. Bigazzi sarà la persona che insieme alla moglie accoglierà nel 1991 Mia Martini come una figlia e la riporterà al successo con “Gli uomini non cambiano”.
Al di là dei due capitoli iniziali il libro si suddivide in quattro parti. La prima parte, “I vincitori”, con i paragrafi: Nada, di Dianora Tinti, Homo sapiens di Elisangelica Ceccarelli, Toto Cutugno di Riccardo Jannello, Riccardo Foglio di Enrico Salvadori, Aleandro Baldi di Nadia Fondelli, Marco Masini di Ilaria Guidantoni, Francesco Gabbani di Michela Lanza. La seconda, “I piazzati”, suddivisa nei paragrafi Katyna Ranieri di Fabrizio Borghimi, Don Backy di Giancarlo Passarella, Pupo di Andrea Spinelli, Donatella Milani di Barbara Berti, Paolo Vallesi di Federico Pieri e Daniele Sgherri, Irene Grandi di Paolo Mugnai. La terza, “I successi pop”, con i paragrafi Riccardo Azzurri di Norma Judith Piagiotti, Alessandro Canino di Giancarlo Passarella, Stefano Sani di Nadia Fondelli. Infine la quarta parte, Sanremo non finisce qui”, suddivisa nei paragrafi Andrea Bocelli di Sara Morandi, Sanremo Rock’n Roll Circus di Bruno Casini, Gianna Nannini di Francesca Cecconi, Riccardo Del Turco di Daniele Sgherri e Federico Pieri, Narciso Parigi di Roberto Davide Papini, I pratesi a Sanremo di Federico Berti, Musica leggera e jazz di Enzo Boddi.
Il libro è una sorta di collage che fornisce al lettore un’immagine del Festival dietro le quinte, con spaccati di vita dei vari artisti partecipanti e non solo dei vincitori, con la considerazione che talvolta quelli considerati sconfitti avevano in realtà venduto più dischi dei vincitori stessi.
Gli autori offrono al lettore immagini inaspettate di questo o quell’artista, così come dei vari gruppi musicali; a partire da Nada, bambina strappata alla propria adolescenza diversa da quella dei coetanei, persona e artista profonda, indagatrice dell’animo umano e dei vuoti interiori, personalità camaleontica, potente e magnetica, per passare poi agli Homo Sapiens, il gruppo divenuto famoso per la canzone “Bella da morire” (1977) che così bene riuscì a tratteggiare l’amore adolescenziale, ma anche ad intessere intelligenti connessioni fra i propri brani (come “Due mele”) e le rivolte studentesche della fine degli anni ’70.
Molte le particolarità che il libro rivela. Toto Cutugno premiato da quel Roberto Benigni che poi sarà un premio oscar, e che pur arrivando spesso secondo canterà un pezzo, “L’italiano” che sarà il più votato dalla giuria popolare (1983) oltre che uno dei pezzi musicali più famosi in assoluto. Riccardo Fogli, che pur non avendo in famiglia nessuno che conoscesse la musica e che di lavoro faceva il gommista, canterà alcune delle più conosciute canzoni dei Pooh, come “Piccola Katy” e altre, da singolo, bellissime, come “Complici” un brano di Carla Vistarini e Luigi Lopez, ma anche “Mondo”, sempre degli stessi autori, che diventerà un successo entrando nella Top Ten della Hit Parade.
Questo paragrafo fa riflettere su alcune tematiche: da dove nasce il talento? Nel caso di Fogli non solo da una presupposta rivincita sociale, ma anche dall’incontro con persone speciali, che scrivono le canzoni per lui, come Roby Facchinetti e Valerio Negrini per l’esperienza nei Pooh e Luigi Lopez e Carla Vistarini per le esperienze da singolo.
Nel libro vengono poi citati toscani non meno importanti: da Aleandro Baldi di Greve in Chianti, anche lui fortemente collegato con Giancarlo Bigazzi, che arriva secondo al Festival nel 1986 con “La nave va” nei giorni della tragedia dello Space Shuttle esploso alla partenza, a Marco Masini, esempio vivente di come alcune canzoni possano funzionare meglio o peggio, al di là di Sanremo, e che pone sia la questione del resistere nel tempo sia del fatto che la scrittura dei pezzi musicali è una sorta navigazione in mare aperto.
Forse non molto conosciuto dai più Francesco Gabbani, che vince per due volte il Festival di Sanremo, nel 2016, come esordiente nella categoria “Nuove Proposte” con il brano Amen (ottenendo anche il Premio “Emanuele Luzzati”, il Premio della Critica “Mia Martini” e il Premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo), e nel 2017 nella categoria “Big” con il brano Occidentali’s Karma. Gabbani diviene così il primo cantante nella storia del Festival di Sanremo ad aver vinto nelle due principali categorie della manifestazione canora in due edizioni consecutive, oltre che essere scelto, nel 2017, come rappresentante dell’Italia all’Eurovision Song Contest 2017, dove si piazza al sesto posto.
Nel capitolo “I piazzati” si spazia da Katyna Ranieri, solista di altissimo profilo internazionale che impose a Sanremo il proprio pezzo in un periodo nel quale i brani non venivano scelti dal cantante e che fu la prima a cantare muovendosi sul palco quando ancora tutti stavano impalati davanti al microfono, a Don Backy, (al secolo Aldo Caponi) che pur essendo presente solo tre volte al festival, l’ultima nel 1971 con “Bianchi Cristalli Sereni”, rimane uno dei cantanti più conosciuti.
Si passa poi a Pupo, che ha una relazione ultratrentennale con il Festival, e che la citazione di un aneddoto del 1984 ci rivela che cantò “Un amore grande” di Bigazzi – Tozzi solo perché Loretta Goggi rinunciò al festival sostenendo che la sua firma sul modulo d’iscrizione era stata contraffatta. Il libro illustra anche come in un determinato periodo Pupo sia stato aiutato da Gianni Morandi a risolvere i propri problemi sia artistici che economici, riportandolo al festival nel 1992, quando parteciperà con il suo vero nome, Enzo Ghinazzi.
Interessante la storia di Donatella Milani, che fra l’altro ancora diciasettenne ebbe una storia d’amore proprio con Pupo, divenne famosa per il secondo posto al festival del 1983 con il brano “Volevo dirti”, firmato insieme a Zucchero Fornaciari, e che lanciò la moda di esibirsi in pubblico vestendo tute ginniche. Una cantante che fece parlare di sé anche per il carattere estremamente forte, e che oggi ha una propria scuola di musica, tiene corsi, stage e seminari in tutta Italia, cura arrangiamenti e saltuariamente si esibisce ancora.
Chiudono il capitolo Paolo Vallesi e Irene Grandi. Paolo Vallesi, inserito nel festival del 1992 su indicazione di Pippo Baudo, aveva vinto il festival l’anno priama nella categoria giovani con il pezzo “Le persone inutili”, divenuto subito una hit; grazie anche alla etichetta discografica Sugar di Caterina Caselli il cantante riuscirà ad arrivare al festival del 1992 insieme ad artisti già famosi, come Luca Barbarossa, Peppino Di Capri, I New Trolls, Mia Martini, ottenendo il terzo posto, salvo piano piano sparire dalla scena dopo un diradamento delle presenze in pubblico. Diverso il caso di Irene Grandi, nome omen, la cantante che porta con sé un messaggio di positività, paladina della semplicità e della naturalezza, ma non per questo meno importante di altri colleghi. Irene Grandi la cantante che nel 2001 apre il concerto di Vasco Rossi a Imola di fronte a 100.000 persone e che riesce ad arrivare a questi successi grazie ai genitori che, pur non credendo molto in suo futuro nella musica, le daranno quattro anni di tempo, finanziandola e mantenendola, per poter tentare questa strada che la porterà anche a collaborazioni con artisti di alto livello oltre che al successo personale.
Nel capitolo “I successi pop” si trovano le storie di vita di Riccardo Azzurri, Alessandro Canino e Stefano Sani. Riccardo Azzurri, artista particolare, la cui canzone “Amare te” (1983) è stata tradotta in tre lingue, un cantante che ha fatto la scelta di continuare a frequentare il mondo musicale in maniera meno appariscente, ma forse più genuina. Alessandro Canino, che con la canzone “Brutta” (1992) arriverà al sesto posto nella sezione “Novità”, ottenendo così una spinta enorme. Infine Stefano Sani, che dopo il grande successo del brano “Lisa” (1982), scritto e prodotto da Zucchero, tornerà invece al teatro e allo studio.
Ma “Sanremo non finisce qui”, come dice appunto il titolo dell’ultimo capitolo che mostra come vi siano stati personaggi che sono andati ben oltre il festival. Primo fra tutti Andrea Bocelli, cantante e uomo eccezionale per vari motivi; artista applaudito e acclamato, che con le sue qualità musicali ha raggiunto vette inaspettate, che ha cantato per il Papa, ha duettato con i cantanti più famosi a livello mondiale, che ha costituito una presenza di lungo tragitto a Sanremo, dal 1994 con la canzone “Il mare calmo della sera” fino al 2019 quando partecipa con il figlio Matteo con “Fall on me”. Non solo un artista, ma un uomo eccezionale, le cui doti sono state riconosciute al punto da fargli ottenere nel 2010 la stella sulla Walk of Fame a Hollywood, dove solamente altri cinque cantanti italiani sono presenti insieme a lui (Luciano Pavarotti, Enrico Caruso, Renata Tebaldi, Beniamino Gigli, Ezio Pinza).
Il paragrafo “Sanremo Rock’n roll circus” ci porta in una dimensione musicale diversa, anche se sempre connessa al festival, quella dei Litfiba e di Piero Pelù e della sue esibizioni rock, spesso riflessiva e intelligente, come lo show delle 10.000 lire equivalente del costo di una mina antiuomo, ma anche dei Negrita, dei Marlene Kuntz, dei Rock Galileo, con la considerazione la presenza rock a Sanremo successivamente si stempererà.
“Gianna Nannini” è il capitolo che apre una prospettiva importante su una cantante che formalmente non frequenta il festival da protagonista, ma che nella realtà è ben più protagonista di molti altri; superospite nel 2007, nel 2015, nel 2018, nel 2020, ma anche vincitrice del festival come autrice nel 2008 e del premio Tenco alla carriera nel 2019. Il rapporto della cantante con la Toscana è talmente forte che nel 2007 partecipa come ospite al festival con un brano che proviene da una sua opera rock che si rifà alla “Pia de’ Tolomei” in ottava rima della tradizione orale toscana.
Si prosegue con Riccardo Del Turco che dalla gavetta nelle cantine fiorentine e in qualche piccola piazza di Firenze partecipa prima alla trasmissione “Primo applauso” condotta da Enzo Tortora (1956), poi nel 1962 esce con un disco singolo “Le cose che non ci diciamo / La nostra casa”, realizzato con la direzione d’orchestra di Luis Bacalov, partecipando comunque a tre edizioni del festival. Oltre al grande rapporto con il solito Bigazzi, Riccardo Del Turco ha scritto canzoni per Mina, Patty Pravo, Riccardo Fogli, i Camaleonti, Jimmy Fontana, Ornella Vanoni, i Dik Dik. Infine Narciso Parigi, che è stato praticamente la voce di Firenze nel mondo e la cui prima partecipazione a Sanremo è stata nel 1955; purtroppo il rapporto di questo artista con il festival non decollò mai malgrado il successo di Parigi fosse stato sancito dall’antesignano di quello di Sanremo: il festival di Viareggio.
Il libro chiude con i paragrafi “I pratesi a Sanremo” e “Musica leggera e jazz”. Nel primo si fa vedere come, di tutti i toscani, i pratesi abbiano lasciato una traccia indelebile nel Festival e non solo per i cantanti e la parte musicale: nello studio pratese di Andrea Benassai si registrano molti degli album del festival anni 90, un pratese come Roberto Benigni (in realtà nato a Castiglion Fiorentino in provincia di Arezzo!) animerà spesso il festival con le sue battute, e un altro pratese, Francesco Nuti, insieme a Giuliana De Sio presenterà il film Casablanca Casablanca proprio a Sanremo nel 1985, e sempre Nuti nel 1989, canterà una canzone d’amore rimasta famosa: “Sarà per te”.
Nel secondo paragrafo, “Musica leggera e jazz”, si mettono in luce i rapporti fra musica leggera e jazz, essenzialmente ricordando la figura di Piero Umiliani che è quella che maggiormente ha contribuito a far conoscere il jazz in Italia, ma parlando anche di altri artisti, come Giovanni Tommaso, contrabbassista, bassista (celebre il suo basso in Cuore matto di Little Tony nel 1967) che hanno composto le versioni jazz di molte canzoni collegate al Festival di Sanremo.
Volume senza dubbio interessante, anche se risulta scomposto nella redazione e privo di omogeneità: mentre alcuni interventi sono troppo scarni, altri sono troppo pieni, zeppi di informazioni al punto che il lettore perde il filo logico. Inoltre alcuni paragrafi sono simili più a un verbale di interrogatorio che a una vera intervista. Sicuramente il testo è l’occasione per una comprensione più ampia del Festival di Sanremo, anche dal punto di vista di chi, pur non vincendo, ha ottenuto dal festival notorietà o un diverso instradamento nel mondo della musica, ma anche un modo per rileggere le connessioni fra storia e musica nei vari periodi del festival.
Articolo di Sergio Bedessi