Questa non è una biografia. Lo si legge chiaramente nella prefazione a firma dell’autrice, una delle voci più interessanti della nuova narrativa italiana, e da pochi mesi curatrice di Dylan Dog, ovvero Barbara Baraldi che, per Giunti, dà alle stampe l’8 marzo 2023 questo libro ibrido. Di fatto, dunque, un romanzo, ma anche una possibile variazione della biografia della Joplin, voce che a solo 27 anni ha lasciato questa terra. A noi è rimasta però la sua musica, ciò che la resa immortale, e che l’ha fatta diventare protagonista di questo romanzo. Oltre alla prefazione, c’è il fatto che, chi scrive, ha partecipato alla presentazione del volume a Desenzano del Garda (BS), in una torrida serata di luglio, con Baraldi che, già dall’inizio, ha tenuto a specificare che questa non è una biografia. Ne ho lette molte per arrivare a questo libro. Mi sono isolata, messa in una struttura dove, io e Janis, abbiamo potuto conoscerci. Un lavoro che tiene conto di quello che c’è di scritto sulla Joplin e, allo stesso tempo, va oltre.
La cantante texana, infatti, diventa protagonista di una storia che, di fatto, non può che essere la sua. Non potevo cambiare il finale, pur se mi sarebbe piaciuto, e non potevo evitare la sua biografia. Tutto il resto, però, era nelle mie mani, ha spiegato, e qui sintetizzo, Baraldi a Desenzano. Quello che emerge è un libro piacevole, bello, intenso e che apre una porta su un fatto: quanto la solitudine e il non essere amati siano distruttivi. Così, ad averne voglia, non solo si pensa alle belle storie di Tiziano Sclavi, e del suo primo Dylan Dog, ma si scava anche nella propria anima. Quella solitudine che, in provincia, ad esempio, Janis Joplin ha subìto, in modo pesante. In parte anche io, che vengo dalla provincia. Mi identificavo nei primi Dylan Dog, in quelle storie, e in questa vicenda ho trovato parte di quell’esistenza che anche io ho vissuto, ha sempre spiegato l’autrice nel comune gardesano.
Così il grande buio della Joplin, e cioè la sua dipendenza, che sarà anche causa della sua morte, stando alle versioni ufficiali – e tralasciando l’inevitabile complottismo sul club dei 27 anni – non passa in secondo piano. Anzi. A differenza di quanto emerso dalla presentazione, dove sembrava che la questione droga fosse ampiamente giustificata dall’autrice, la dipendenza della Joplin è legata al rapporto di pieno e vuoto che, spesso, ha caratterizzato la vita di questa grande voce della musica contemporanea. Così, se giustamente non è la droga che crea la Joplin artista, è la vita però che, come una sostanza stupefacente, brucia piano piano l’esistenza di questa donna.
Qui Baraldi dimostra grande talento – lo dico con convinzione – nell’’andare oltre la solita, e trita, riduzione della storia delle donne del passato alle questioni di genere, figlie dell’epoca attuale. Che le donne, fini agli anni ’60, nella provincia statunitense, come nel resto del mondo, vivessero con meno possibilità degli uomini, è cosa nota. Era così in America, ed era così in Europa, ed è così ancora oggi, purtroppo, in molte parti del Mondo. Tuttavia, Joplin, nel romanzo di Baraldi, ci prova, di continuo: prima ad uscire dall’anonimato, poi a fuggire dal paese e, infine, con la musica che, subito, la cattura e, come accadrà per Dolores O’Riordan (LEGGI LA NOSTRA RECENSIONE), la proietta nell’Olimpo. La sua carriera, infatti brucia le tappe. Di gavetta se ne fa poca, perché il successo, in quegli anni magici, arriva subito. E non poteva che essere così. Mentre lo leggete fate come me, ascoltatevi la raccolta live “Joplin In Concert”, per capire perché non poteva che essere così. Tuttavia, come su una grande bilancia, Baraldi dosa i pesi sul piatto. Se, da un lato, la ragazza di Port Arthur nel Texas, brucia le tappe dello star system dell’epoca, allo stesso tempo la Janis di questo romanzo arde nel fuoco che la insegue da quel piccolo paese, luogo che non smetterà mai di odiare e di descrivere come l’inferno, ogni giorno. Come un grande incendio dal quale non si fugge. Sempre ti insegue, non c’è spazio per la fuga. Certe volte ha le fiamme alte, e si deve fuggire, evacuare. Via dal paese, per le grandi capitali americane, dunque. Altre volte è sotterraneo, avanza, lentalmente, come un serpente piumato, che arriva fino nelle vene.
Amore, poco; rabbia, tanta; delusioni, troppe, soprattutto sul fronte umano. Una famiglia che non le riconoscerà mai nulla; una madre arida; un padre secco. Affetti familiari, dunque, assenti. Solo i fratelli, forse, proveranno un poco di umanità. Gli amori, maschili e femminili, sono tossici, nei due sensi del termine, o salvifici, e per questo rigettati al mittente, oppure, parafrasando De André, forse perduti in Brasile, nella rivoluzione. Poco importa, Janis sarà sola, e lo sarà troppo spesso. Il vuoto scava, genera un buco nero dal quale non si esce. Gli incontri non aiutano: Jim Morrison, Jimi Hendrix, giganti. Sulle spalle di questi, però, non si può stare per trovare pace e sostegno, quanto meno a quell’epoca. Così la protagonista del romanzo gira, vaga, si sballa, beve, canta, e cerca di salvare se stessa. Fino a dove è possibile, e cioè a quella telefonata notturna fra il 3 e il 4 ottobre del 1970. Vera o falsa che sia, ormai poco importa. L’alchimia di Baraldi è riuscita, e la nostra protagonista può essere la vera Janis Joplin, morta d’overdose in hotel, o uccisa dai servizi segreti americani perché pericolosa, come potrebbe essere successo anche per Jim e Jimi, oppure un’altra delle molte donne che sono sprofondate sotto il peso di un’esistenza quotidiana, in un mondo davvero violento, un vero “Meridiano di sangue”.
Un bel romanzo, non c’è che dire. Baraldi vuole che non sia una biografia. Per certi versi ha ragione, ma un poco, però, ci lasci sognare che lo sia. Perché, alla fine di tutto, “alla fine di questa triste storia”, parafrasando un altro gigante, “davvero ci si può sentire un po’ male”, oppure no. Le storie sono fatte anche per farci star bene. Io, che vi devo dire, una speranza, quando ho chiuso il volume, ce l’ho vista. Gli altri, le altre persone che, a differenza di quanto sosteneva Sartre, non sono per forza l’inferno. Anzi, in questo caso avrebbero di certo portato la nostra protagonista quanto meno nel Purgatorio. Poi, ovviamente, ognuno deve intraprendere il suo percorso di redenzione. Da soli, però, è più difficile. Insieme, invece, la cosa può essere fattibile. Spero che anche voi, leggendo questo volume, troviate una fiamma di speranza.
Articolo di Luca Cremonesi