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Catalogo “Felicitazioni – Fedeli alla linea 1984-2024”

Curato da Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici, Danilo Fatur

Ci siamo ormai. L’evento dell’anno, la mostra e il ritorno dei CCCP, è imminente. Un’occasione che si concretizza attorno a una mostra, punto generativo di altri quattro segmenti, seguendo la suggestione del Baricco de “I Barbari”: una nuova compilation, il film – documentario “Kissing Gorbaciov”, il Grand Galà Punkettone del 21 ottobre a Reggio Emilia, e, infine, il catalogo della mostra (Edizioni interno4, 39 euro), il volume del quale andremo a trattare. Un testo che, ancora in prevendita da maggio, era già disponibile sui circuiti di rivendita dei collezionisti, e pensate che fisicamente usciva il 12 ottobre, quando era prevista l’apertura della mostra di Reggio Emilia ai Chiostri di San Pietro (il nostro articolo).

Il catalogo è davvero un bell’oggetto, ricco di materiale e, allo stesso tempo, un testo che non racconta solo una mostra, ma anche la storia di un’avventura musicale, poetica, estetica ed artistica, unica, nata davvero per gioco in quella rozza Emilia, seriamente paranoica, come dicevano gli stessi CCCP, ma anche figlia del PCI emiliano, il miglior buon governo cittadino (come canteranno, poi, i P.G.R., e cioè ciò che resta dei CCCP, prima, e dei C.S.I. , dopo). Da quel mondo nasce, a seguito di un incontro a Berlino, sigillato da una stretta di mano in una discoteca, un’avventura che, a tratti, pare davvero un gioco. Almeno all’inizio, quando la cosa è affare di tre amici che, per divertimento, con quello che anno, grattano una chitarra, punzecchiano un basso, e gridano in un microfono. Da lì, da quel mondo, nasce un immaginario, un’avventura che fa dei CCCP uno dei gruppi più amati, celebrati, collezionati, e influenti della musica italiana.

Ed ecco che una mostra è sì un atto dovuto a questo modo di concepire musica, arte, performance, teatro e poesia, ma è anche il modo migliore per chiudere un cerchio. La band non si è mai riunita, non sono stati fatti concerti celebrativi, se non dai singoli, ma con progetti diversi. I Led Zeppelin chiusero la loro storia nel 2007 a Londra, con un live epico, esperienza che mancava nelle discografie dei fans. I CCCP, che non concedono nulla di nuovo – al momento – da un punto di vista musicale (neppure un live d’annata), hanno deciso di raccontarsi alla loro maniera. Decostruendo la loro musica in una grande mostra, che è un percorso non solo nella memoria, ma nel presente di un mondo che, ora, non esiste più.

Il catalogo racconta questo aspetto: un universo scomparso, quello dell’Unione Sovietica, della Cortina di Ferro, dell’al di là del Muro che, però, è stato in grado di ispirare una musica che resta, solida e granitica, nel nostro presente. Non solo perché le canzoni finiscono a Sanremo, o nelle curve degli stadi, o nelle pubblicità, ma perché quest’esperienza musicale è stata figlia di qualcosa che non c’era. La mostra, dunque, ha il compito di raccontare il microcosmo che ha generato quell’avventura, e il catalogo, di conseguenza, deve fermare su carta ciò che è musica, dunque materiale aereo per eccellenza. Non solo, c’era un immaginario minoritario, quasi sconosciuto, che i CCCP hanno però saputo rendere fecondo. La terra d’Emilia ha fatto da humus, certo: Don Camillo e Peppone, Cavriago, la Resistenza, il sogno del comunismo all’italiana, il tavolo di legno di Togliatti, e poi la nostra meravigliosa toponomastica, come cantavano gli Offlaga Disco Pax. Tutto questo ha permesso ai quattro artisti di fare la differenza, nell’etimo: e cioè creare un immaginario che, confesso, pur essendo fan sfegatato, il catalogo riesce bene a sintetizzare. Non era facile, ero titubante, e la scelta di non mettere musica ‘nuova’ in circolo mi ha portato a credere che fosse difficile, oggi, raccontare questa storia

Il volume, e vedremo poi la mostra quando ci si andrà, riesce in questo intento. Non è una semplice raccolta di figurine; non è un insieme di fotografie, pur se ce ne sono in abbondanza, ma scelte non per celebrare i quattro CCCP, ma per raccontare questo immaginario altro, differente e diverso. Se da un a parte c’erano i jeans, l’esser nati negli Usa, il cicles (la gomma da masticare, in dialetto), le sigarette e il cioccolato lanciati dal camion, New York e Loa Angeles; dall’altra allora c’era, come si vede bene in mostra, un impero, militari diversi nel vestire, filo spinato, ma anche il mito dell’uomo nuovo, una moda, e i suoni di un mondo lontano; allo stesso tempo case occupate, Berlino Est e Berlino Ovest. Insomma, come ben espresso nel brano “Live in Pankow”: Compagni est-europei, uno sforzo ancora / Delle sale da ballo un po’ più che di merda / Un’opinione pubblica un poco meno stupida / Delle sale da ballo un po’ più che di merda / Voglio rifugiarmi sotto il Patto di Varsavia / Voglio un piano quinquennale la stabilità / Live in Mosca, live in Budapest, live in Varsavia / Live in Sofia, live in Praga, live in Pankow.

Altro pregio del catalogo, è che si presenta essenziale per quanto riguarda la parte scritta. Ferretti ha forse dettato la linea, anche se, è cosa nota, la linea non c’è mai stata, ma un leader di certo c’era, e c’è ancora. Fortunatamente. Cosa dire d’altro, oltre a quanto già detto in quel decennio folgorante sinceramente non saprei, soprattutto quando si è deciso di non celebrare se stessi, ma chiudere un cerchio. Non ci sono lunghi spiegoni, non ci sono saggi che smontano, e rimontano, quanto fatto in quegli anni. C’è l’essenziale, come c’è sempre stato nei testi dei CCCP. Quindi, quello che avrete in mano, è un ultimo viaggio forse quello più bello, quello fatto dopo che si è vagato e, soprattutto, dopo che si è fatta musica. E la storia di questa. Quanto meno in Italia, ma credo che si possa iniziare anche a considerare il peso europeo dell’esperienza CCCP.

Il catalogo, dunque, non è solo testimonianza di una mostra, ma è un tassello di questo mosaico marchiato CCCP. Il penultimo, prima del Gran Galà del 21 ottobre, ma che poi, a ben vedere, resterà di fatto l’ultimo negli scaffali dei fans. Non sarà una delusione, tanto meno un addio. Il libro, per definizione, è una tecnologia che non passa di moda, ma è allo stesso tempo un oggetto che consentirà, come nelle belle favole, di far ricominciare, ogni volta che lo si sfoglia, la magia di una storia. Quella dei CCCP, e cioè di un punk rock filosovietico (oggi, quando si negano corsi universitari su Dostoevskij, sarebbe davvero dura anche solo pensarlo…), made in Italy, e figlio dell’Emilia Paranoica.

Articolo di Luca Cremonesi

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