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Charles R. Cross “Più pesante del cielo – Vita di Kurt Cobain”

Lettura fondamentale per chi voglia addentrarsi nell’odissea di Cobain

Periodo migliore non c’era per riproporre “Più pesante del cielo – Vita di Kurt Cobain” di Charles R. Cross, ripubblicato da Il Saggiatore a marzo 2024, monumentale monografia dedicata al leader dei Nirvana morto esattamente 30 anni fa. In questi mesi, in tanti hanno scritto di lui, e molti sono stati gli omaggi. Come poi spesso accade, passato il momento, tutto torna a scorrere. Poco è rimasto, in definitiva, se non il cofanetto deluxe – ottimo – di “In Utero”; e questa monografia.

Il volume, uscito per la prima volta nel 2001, è davvero una lettura fondamentale per chi voglia addentrarsi nell’odissea di Cobain. Anzi, terminato il volume, chiusa l’ultima pagina, e sfogliato l’apparato di note che fa capire la serietà del lavoro che si è appena letto, viene da riflettere su un fatto: ognuno scrive la sua odissea. Non ci sono altre parole per descrivere una vita che si è bruciata e consumata non per volontà di impotenza, ma per desiderio di (auto)distruzione.

Cross, nella nuova postfazione, scritta per questa edizione del suo lavoro, sottolinea come abbia voluto entrare in punta di piedi, e da osservatore, nella vita di Cobain. L’atteggiamento scelto è quello dell’analista di dati, non del tombarolo, e tanto meno del fan.  Il risultato? Si afferma solo ciò che è testimoniato da fatti. Come si arriva a questo? Con un lungo lavoro certosino che solo gli statunitensi sanno fare. Si parte, zaino in spalla, e si analizzano fonti primarie, secondarie, scritte e orali. Lavoro immane, certo, ma se il personaggio lo richiede, questo si deve fare. Così nel libro ci sono le voci – dirette o indirette, e cioè riportate da documenti ufficiali e interviste – dei collaboratori stretti di Cobain. Ricordiamo che la parabola del nostro, nel suo complesso, dura all’incirca 90 mesi. Ha dell’incredibile, se letta in questo modo. Eppure questo è quello che è accaduto.

Il Rock è cambiato in 90 mesi; la generazione anni ’90 ha avuto la sua voce e il suo martire in 90 mesi; la musica contemporanea è cambiata in 90 mesi; il mondo dello showbiz si è trasformato in quei 90 mesi, e non è più tornato indietro, anzi. Per fare tutto questo c’è stato bisogno di un personaggio che, come si diceva, ha scritto la propria odissea, mettendoci tutta la sua più buona volontà. Purtroppo, ed è brutta da dire, ma leggendo le pagine finali del volume, appare davvero difficile anche solo pensare che Cobain potesse e volesse essere salvato. Da chi? Da se stesso… Con l’aggiunta di un fattore campo non irrilevante. Il libro, però, non da colpe ai fattori esterni, ma fa capire che la metafora del piano inclinato è vera, ed è una legge, come quella dei grandi numeri, che funziona sempre.

Quando si comincia a scivolare, non si può, alla fine, che precipitare. Certo, detta così sembra non esserci speranza per nulla e per nessuno. Anche Cobain, a ben vedere, di appigli ne aveva attorno: la fama, il successo, la moglie – che Cross non condanna mai, in oltre 400 pagine, e questo è un altro grande merito del volume – la figlia, gli amici, la musica, i contatti con il mondo culturale americano degli anni ’90. Tutto questo ben di Dio, si percepisce leggendo il volume, avrebbe potuto valere come corsia di rallentamento della folle discesa. Ma non è servito; non è bastato… Il perché Cross non lo afferma, fedele a quanto dichiara nel finale, e cioè osservazione dei fatti senza dare giudizi. Per chi legge è chiaro invece, e lo riaffermo: ognuno scrive la propria odissea. Non ci sono altri responsabili. Il tormento interiore, l’inferno della mente, il buco nero denso e vischioso, chiamiamolo come vogliamo, è lì davanti a noi. O meglio, noi guardiano nell’abisso, e quello guarda dentro di noi. La sfida? Non restarne attratti e invischiati.

Le pagine della vorticosa caduta nell’uso infinito di stupefacenti sono ben costruite. Vien voglia di gridare, come ne “La storia infinita”, Fermati Kurt! Per l’amor di Dio. Fermati! Hai voglia, da lettore, mentre sfogli quelle pagine, di gettargli una cima, una corda, una scala, per farlo uscire da quel maledetto vortice. Ma si resta spettatori di un’odissea che dura 90 mesi, e non 20 anni, come quella di Ulisse.

Cross costruisce il volume proprio come Omero. Quasi una cronaca, giorno per giorno, di quei 90 mesi. Dalla partenza, non da Troia, ma da un’altra guerra, quella in casa, con un padre che resta spada di Damocle per tutta la vita, fino ai canti delle sirene dei primi successi; per passare al ciclope della prima produzione; per arrivare poi ai Lotofagi delle major che ingabbiano un talento che, a quel punto, avrebbe potuto trovare un aggancio che tanti hanno sfruttato per evitare la caduta, e che invece, nello showbiz degli anni ’90, che ancora profuma della vecchia era, non può che far peggiorare il tutto.

Fuor di metafora, era l’epoca nella quale contava produrre, consumare e, in caso di morte, poco importava tutto il resto: era l’oggetto, e cioè l’album, che faceva la differenza. Oggi sono i live, le performance, dato che di dischi non se ne vendono più. Chi ha in scuderia un cavallo di razza lo cura, perché sul palco ci deve andare. Il fisico, per le rockstar, deve essere curato, per proseguire a cantare, all’infinito, e per vivere nel mondo della comunicazione di massa e digitale. Negli anni ’90 contavano le vendite degli album, e se il cantante si consumava e crepava, poco importa. Così quando arriva Circe, e cioè la moglie Courtney Love, per tutti, in perfetto stile anni ’90, è lei la colpevole. Il nuovo capro espiatorio si è trovato. Dal libro emerge che di colpe la Love non ne ha, se non di essere l’alter ego, il complice ideale insomma, di Cobain. Ma il vortice era già attivo, e il conto alla rovescia dei 90 mesi era in atto.

Capitolo per capitolo, costruiti seguendo le date di questi 90 mesi, fino al fatidico colpo di fucile nell’aprile del 1994, Cobain tenta e riesce a diventare Nessuno, quell’Odisseo protagonista della sua personale odissea, che lo ha portato a vivere una fine del viaggio che induce tenerezza. Odisseo torna a Itaca e il cane, per primo, lo riconosce. Cobain vive gli ultimi giorni senza neppure in cane che lo riconosca. Viene anche lasciato in auto, da solo, ormai prossimo alla morte. Vaga come un fantasma-zombie in un’America che lo ha osannato ed eletto a simbolo di una generazione. Eppure nessuno lo vede. Non viene riconosciuto, come Ulisse che arriva a Itaca, ma in quel caso è uno stratagemma per eliminare i pretendenti. Qui, invece, è una condizione che Cross lascia emergere con questo atteggiamento di sorvolo. Non si prende posizione, non si giudica, non si condanna: si raccontano solo i fatti. A questi ci si attiene.

Cobain però non ha alcun pretendente da eliminare, se non i suoi fantasmi. Ed ecco che qui l’eroe, ormai non più giovane e bello, cade. Senza dubbio avere gente che gozzoviglia alle tue spalle è decisamente migliore del convivere con presenze, assenze, buchi neri e incapacità d’azione. Il capitolo intitolato Kurt-Amleto è toccante, davvero. I fantasmi prendono il sopravvento; nutriti da sostanze chimiche che alterano, modificano, manipolano. Cobain si isola, e non trova pretendenti, ma presenze che lo spingono ancor più ai margini. L’eroe è solo, troppo solo, e lo è in modo tragico. Per chiunque quel male di vivere sarebbe stato dannoso. Non si può che scavare e sprofondare. Cross con grande abilità narrativa ci mostra questa discesa all’inferno in presa diretta, da abile cronista.

Il finale non può che essere tragico, e già lo sappiamo. Cross ci porta, con la narrazione, al cospetto di un Cobain solo, ormai distrutto, ma ancora umano. Siamo lì con lui, come nel già citato “La storia infinita”, e vediamo, attimo per attimo, la scena. Non abbiamo però, in mano, il granello magico di polvere che può salvare il tutto. Ci resta solo la consapevolezza che quell’odissea è giunta al termine.

Chiuso il volume restiamo noi. A quel punto è evidente che Cobain è stato molto più di quello che voleva e credeva di essere stato. Era un uomo e un artista che ci ha raccontato, con la sua esistenza, che il limite è qualcosa che ognuno di noi deve affrontare, consapevoli però che non sempre se ne esce. Un libro che ci racconta tutto questo è di certo un volume che travalica i limiti del genere, e diventa il racconto di una possibile esistenza umana che, solo per puro caso, può riuscire ad arrivare indenne in porto. Un plauso a Cross, che ci regala un volume intenso, che vale un romanzo vero: quello che racconta una vita, così come si presenta.

Articolo di Luca Cremonesi

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