Daniele Lucchini dimostra una lucidità e un acume notevoli sin dalla prefazione di “Dolores O’Riordan & The Cranberries”, pubblicato da Arcana edizioni, dichiarando a chiare lettere una grande verità: più dei dati biografici, della conta degli anni e degli interventi di critica e pubblico, a definire un autore sono innanzitutto i testi.
Nelle liriche, a leggerle bene, a sbirciare dietro la successione di lettere, rime e assonanze, si può trovare tutto il mondo dell’artista, anche (soprattutto) le parti celate al mondo esterno. O a se stesso. Ed è qui che si annida il valore di questo libro, che non si limita a riportare in bella aneddoti o gossip ma ci permette d’immergerci nel mondo della figura atipica, fragile, geniale, di Dolores O’Riordan. Un personaggio che mai è stato adatto al ruolo di star, una ragazza di provincia introversa e tormentata che è riuscita a incantare col suo timbro unico, grazie al quale ha involontariamente creato schiere di emulatrici in tutto il globo.
Il testo parte dalle origini, ci fa immergere nell’aria di provincia profonda che respirò la band agli inizi della carriera, quando nella primavera del ‘90 si ritrovò senza cantante. Il primo incontro fra lei e la band fu a dir poco epocale:
… Si ritrovano davanti una ragazza minuta e paffuta dall’aria dimessa, vestita d’una voluminosa tuta da ginnastica rosa e con una tastiera midi sotto braccio, che appare spaesata come un pesce fuor d’acqua. Forse la rimanderebbero indietro, non fosse che la prossima corriera per il suo villaggio sarà solo tra qualche ora. Non resta che metterla alla prova.
Da quel momento non ci vorrà molto affinché vengano notati dalla Island Record, che li condurrà alla pubblicazione del primo album: “Everybody Else Is Doing It, So Why Can’t We?”, del 1993, il lavoro che più di ogni altro permette di comprendere la scrittura di Dolores. In questo esordio la tematica principale gira intorno alla sofferenza amorosa, alle aspettative che crea sempre un rapporto di coppia, salvo poi deludere matematicamente a livello pratico.
Siamo ormai entrati nel vivo del libro, e l’impianto dell’opera seguirà lo stesso schema, molto preciso, quasi maniacale: tutte le scalette dei dischi verranno sezionate e analizzate, esponendo la tematica principale e mettendo in primo piano gli estratti più esemplificativi, liricamente potenti, in versione originale con relativa traduzione. Un lavoro enorme dunque, che solo un fan (prima che uno scrittore) poteva portare avanti.
Un approccio del genere conduce naturalmente a considerazioni molto interessanti che vanno oltre il particolare, riuscendo a centrare gli elementi ricorrenti della poetica della cantautrice. Come nel capitolo su “Sunday”, dove Lucchini mette in evidenza un espediente caratteristico della scrittura di Dolores: la mescolanza dei piani narrativi, il passaggio tra punti di vista e la conseguente sovrapposizione tra dialogo e monologo interiore: un modo molto efficace di accrescere la forza della lirica e l’immedesimazione personale dell’ascoltatore.
Mi fai girare come una trottola / Non tocco terra con i piedi / E non so dove appoggiarmi.
Non ha trovato le parole / Per dire «ti amo» / E non ha saputo trovare il tempo / Per dire «ho bisogno di te»
Nel secondo disco, “No Need To Argue”, del 1994, la scrittura della nostra inizia a spostarsi “fuori da sé”, e il successo conferito dal tour americano le permettono di osservare le dinamiche del suo paese da una prospettiva diversa. L’altro elemento importante riguarda l’incontro con l’uomo che sarebbe diventato suo marito, e che trasporterà l’eterna insoddisfazione sentimentale cantata nelle prime composizioni verso la prospettiva di una maggiore stabilità.
L’attentato del 20 marzo 1993, in cui l’IRA fece esplodere due bombe nei cestini portarifiuti di Warrington, colpì Dolores in maniera profonda e insanabile, soprattutto per il fatto che gli unici due morti furono bambini. Piccoli innocenti. La rabbia nella voce del ritornello di “Zombie”, le chitarre elettriche finalmente potenti, lo resero il più grande successo commerciale della band, e quelle parole risuoneranno per sempre dentro le nostre teste come un monito indelebile:
Cos’hai nella testa, in quella testa, zombie?!
“To The Faithful Departed”, del 1996, risente inevitabilmente dello stress accumulato durante gli anni precedenti, della difficoltà costante di affrontare la notorietà, di reggere i ritmi dei tour e della promozione. Il disco risulta molto vario, sia dal punto di vista musicale che lirico, spaziando dall’appello punkeggiante al non-farsi-controllare (“Salvation”), allo sfogo nei confronti di stampa e paparazzi (“Free To Decide”), fino all’invettiva contro la guerra bosniaca (“War Child”).
“Bury The Hatchet”, del 1999, parte col singolo “Animal Instinct”, e per Dolores segna un netto cambio di prospettiva: dal ricordo dell’infanzia, al dolore per le sofferenze dei figli degli altri, al materno senso di protezione per i propri figli.
È una canzone sull’amore che ti cresce quando ti porti dentro un bambino e diventi madre. È istinto animale, un sentimento protettivo mai provato prima per niente e nessun altro.
Si affacciano altri approcci alla scrittura, la O’Riordan infatti inizia a creare voci narranti e rapporti affettivi che non la riguardano personalmente. Non mancano tuttavia spunti squisitamente personali, come in “Delilah”, in cui esorcizza un episodio di gelosia nei confronti del marito, o in “Shattered”, che parla delle emozioni durante la prima gravidanza.
“Wake Up And Smell The Coffee”, del 2001, sancisce il punto più basso per la band; il disco viene criticato da pubblico e stampa e i Cranberries decidono di prendersi una pausa. In effetti gli episodi interessanti all’interno dell’album sono pochi, e anche le tematiche della O’Riordan s’inseguono in una sorta di revisionismo di se stessa. L’invito alla concretezza suggerito dal titolo, al guardarsi intorno, è una conseguenza del fatto che, a quel punto, l’intera band ha messo radici, si è accasata e ha avuto figli. Sono i momenti in cui una certa urgenza, rabbia e voglia di scoperta vengono messi da parte; nella maggior parte dei casi è sempre così: inevitabilmente ci si siede.
Nella parte finale del libro Daniele Lucchini continua a non lasciare nulla al caso, descrivendo minuziosamente le tematiche affrontate attraverso nuove sfumature, legando sempre le affermazioni ad aneddoti o dichiarazioni dirette della cantante, facendo avvicinare il lettore ai sentori che condurranno la star al triste epilogo. Il congelamento della band sancisce la fine di un’epoca: Dolores si trasferisce in Canada, lontana da tutto e tutti, immersa nei boschi e a contatto con se stessa e i suoi cari. “Are You Listening”, del 2007, il suo esordio da solista, assorbe tutto ciò che è derivato da quegli anni di sola famiglia; mentre il successivo “No Baggage”, del 2009, risulta un confronto nudo e crudo con se stessa, un urlo sussurrato.
Con “Roses”, del 2012, tornano i Cranberries redivivi, ma il disco, pur nella sua inaspettata freschezza, lascia poca traccia di sé a livello musicale.
Dal punto di vista personale il demolitore emotivo di quegli anni è senz’altro la morte del padre, accadimento che la conduce lungo sentieri di sofferenza e vulnerabilità senza ritorno. La dieta della donna diventa sempre più spesso composta da sigarette, tranquillanti e vino. Quell’equilibrio raggiunto negli anni precedenti, seppur non sempre stabile, sembra ormai un ricordo lontano. La capitolazione arriva col divorzio, dopo vent’anni di matrimonio, e il conseguente trasferimento dei figli in Canada insieme all’ex marito. Gli episodi d’instabilità diventano più frequenti, fino a quando le viene ufficialmente diagnosticato un disturbo bipolare.
Nell’ultimo atto postumo, “In The End (2019) è impossibile separare i tragici avvenimenti che hanno portato alla morte della O’Riordan dalla musica e, soprattutto, dalle sue parole. Tutto suona premonitore, come se l’unica strada possibile fosse quella indirizzata verso la vasca da bagno in cui la donna è affogata dopo uno stordimento dovuto all’eccesso di alcol.
Chiudendo l’ultima pagina risulta chiaro che il sottotitolo del libro non poteva essere migliore: “Parole di una star riluttante”. Un’anima gracile, divisa, non adatta al circo nel quale è stata catapultata, un po’ volente e un po’ nolente. Ma leggere tutto nell’ottica della “Fine” sarebbe ingiusto nei confronti di Dolores O’Riordan, che in un quarto di secolo ci ha regalato brividi variegati e complessi, un’onda multiforme che è andata dal rimpianto alla gioia, dalla leggerezza al nero abisso. Ed è anche attraverso le sue emozioni che milioni di fans in tutto il mondo hanno avuto l’opportunità di riconoscere se stessi, di analizzarsi, migliorarsi, rafforzare la corazza, e affrontare più consapevoli la dura giungla della vita.
Articolo di Simone Ignagni