Il giornalista e critico musicale Donato Zoppo torna in libreria con “Eroi nel vento” (Compagnia Editoriale Aliberti, 16,90 euro), volume uscito il 5 febbraio scorso. Diciamolo subito: tanto siamo stati severi con Zoppo e il suo “CSI. È stato un tempo il mondo” (la nostra recensione), senza nessuno sconto – perché, in questo spazio libero che è la nostra testata, siamo soliti anche proporre riflessioni critiche – tanto questa volta ci togliamo il cappello, e ringraziamo, per un volume davvero ben fatto, e che racconta molto di un disco, di un ambiente, di una band e di tutto quello che vi ruotava attorno.
Donato Zoppo decide infatti di concentrarsi solo sulla genesi di “Eroi nel vento”, primo album ufficiale dei Litfiba – in realtà, chi segue il gruppo, sa bene che prima c’è stato “Eneide”, ma è una colonna sonora, poi ci sono stati singoli ed ep, belli tanto quanto ormai rari e oggetti da conservare nei caveau delle banche – uscito nel marzo del 1985, e cioè esattamente 40 anni fa, per I.R.A. Nel marzo 2025, esce l’ennesima riedizione, con la copertina della versione francese. Niente inediti, niente bonus track, niente live dell’epoca. Spoglio, solitario y final, citando il poeta. Forse è meglio così, anche se ha davvero dell’incredibile che per questi 40 anni non si metta sul mercato nulla di inedito, e ben curato, di quel periodo. Evidentemente il tutto deve restare affidato alle mani, esose, di collezionisti.
Il volume, dunque, racconta la genesi degli incontri che hanno permesso sia la nascita della band, che il parto del disco. Dal granitico Ghigo, il cui ritratto è un bel mix fra il Ghigo dell’epoca e quello che oggi è Ghigo che racconta il se stesso di anni fa. Stessa cosa per Pelù, istrionico e leader carismatico, personaggio che, in un altro paese, sarebbe al pari di Bowie, non tanto per creatività, quanto per tenuta di palco. Invece, siamo in Italia… Zoppo, però, è molto bravo a far emergere il peso specifico di questa figura, non nascondendo nulla della sua famiglia, e tanto meno trasformandolo in una macchietta, come spesso accade quando si vuole depotenziare un vero artista nostrano. Altro pregio di Zoppo è quello di aver lasciato fuori da queste 160 pagine ogni possibile rimando ad attuali polemiche.
I ritratti del resto della band, e cioè Gianni Maroccolo, Antonio Aiazzi e Ringo De Palma, con l’aggiunta di Francesco Magnelli, sono dipinti più da un chirurgo che da un biografo, senza però dimenticare il lato umano di persone che, da sempre, hanno fatto di questo aspetto – l’umanità appunto – un tratto distintivo. Stride, mi sia concesso, il ritratto di Maroccolo, soprattutto se si pensa al Marok attuale. Il tempo, però, segna tutti, e così è anche per il grande bassista toscano, un tempo treno e fiume in piena; oggi silente produttore e musicista raffinato. Ottimo, poi, il ritratto di De Palma, personaggio che, forse, meriterebbe una monografia a parte, anche e soprattutto per quello che Zoppo mostra senza mai appesantire la sua narrazione, e cioè la grande poliedricità di questo personaggio che, con Maroccolo, era il motore della band.
Non mancano poi i ritratti di Alberto Pirelli (I.R.A.) e Bruno Casini, giornalista e primo aiuto Litfiba per date e concerti. Insomma, la galassia Litfiba è ben raccontata e mappata, con il focus sempre attorno alla band e al disco. Altro elemento centrale nella narrazione è la cantina di via De Bardi, luogo iconico, come lo furono le ville degli ultimi CCCP e dei CSI, per la nascita di quell’avventura e di quel disco. Il tutto, si diceva in apertura, senza il gioco di continue citazioni che, nel libro precedente, aveva preso spesso il posto del racconto dei fatti. Zoppo qui fa reagire la band con il clima culturale dell’epoca, con la musica di quegli anni, e con ciò che ruotava attorno a quel mondo fiorentino che vedeva giovani band all’opera, con negozi specializzati e case discografiche indipendenti, che si muovevano da pionieri, senza i contemporanei mezzi di comunicazione e produzione.
Il risultato è un bel saggio, ricco di informazioni, messe tutte insieme, e allo stesso tempo arricchite di aneddoti, racconti e legami con quanto si muoveva attorno a quella situazione. Ed ecco che questa volta ci sono gli ascolti di Maroccolo, di Ghigo, di Pelù e di Aiazzi, che aiutano a comprendere quello che Zoppo porta a galla, e cioè che si è trattato di un’alchimia speciale, nata da persone eterogenee, con ascolti divergenti che, però, in quella cantina, all’umido dell’Arno, con alle spalle serate live a ripetizione, ha permesso di distillare 8 pezzi immortali.
Non mancano i limiti, che vengono raccontati senza però essere mai usati come alibi. Dall’eterogeneità dei singoli musicisti, alla registrazione dei brani, con piccoli incidenti, fino alla copertina, la cui immagine per l’edizione francese è di gran lunga migliore dell’edizione italiana, fino ai primi dissapori fra i membri della band in fase di mixaggio. Il tutto, però, funziona, un po’ come l’inconscio macchinico di Deleuze e Guattari, nel loro “Anti-Edipo”, e il risultato è stato così un album che, pur se dal suono in parte datato – lo riconoscono alcuni degli stessi musicisti – è ancora una pietra miliare; un lavoro che ha saputo dare dignità al rock nostrano, senza per questo – come scriveva all’epoca Guglielmi, citato da Zoppo a fine lavoro – scimmiottare i rocker di altri paesi.
Un bel libro, che arricchisce il lettore e che porta ad ascoltare, ancora una volta, “Desaparecido”. In questo caso, però, con attenzione e consapevolezza diverse da quelle che si avevano prima della lettura di queste 160 pagine.
Articolo di Luca Cremonesi