Quanto ci manca Dolores O’Riordan da quel 15 gennaio 2018 quando il suo corpo venne trovato, privo di vita, in una vasca da bagno di un hotel a Londra. Un gesto estremo. Una scelta senza appello. Come tanti altri suoi colleghi. Da quel momento inizia la sua eternità e, per noi fan, la nostalgia. Perché sì, quella voce ci manca, e parecchio. Vero. Eppure, ad oggi, pochissimi sono i volumi che la ricordano e che hanno scandagliato, con attenzione, la vita della cantante e la sua parabola artistica. Altrettanti pochi sono gli omaggi e i tributi che hanno ricevuto la sua voce, unica e inimitabile. Certo, ogni voce, per definizione, è tale. Ma in questo caso timbrica e tonalità sono davvero la marca di un’unicità che difficilmente può essere imitata o presa a parametro. Va bene così. È il destino di molti. In vita giganti osannati e portati agli altari e, post mortem, dimenticati velocemente. Poi, un giorno, li si vedrà (ri)emergere con tanto di lacrime di coccodrillo, sport preferito di critici ed esperti. Lo sappiamo d’altronde, e lo possiamo sintetizzare che le parole incisive di Van de Sfroos: la coscienza è una valvola rotta troppo stanca e confusa per far dei ricatti… atteniamoci alla leggenda che conserva integri i fatti.
Edizioni Bd, casa editrice faro e guida del rinascimento di questi anni delle nuvole parlanti – dopo gli anni d’oro fra i ’60 e i ’70, e la prima rinascita del genere a cavallo fra ’80 e ’90 – dà alle stampe un’altra graphic novel dedicata ad una grande icona della musica rock. Dopo le due belle monografie dedicate a Kurt Cobain (splendida, davvero…) e a Syd Barrett, la Bd ha deciso di investire nel racconto per immagini della vita di Dolores O’Riordan, voce dei Cranberries. Un’opera ben fatta, come d’altronde le due precedenti e già citate, che non si perde in fronzoli ed estetismi (sul fronte del disegno) e che va al sodo, per quanto riguarda invece le vicende umane narrate, senza scadere mai in psicologismo da tre soldi e, soprattutto, in cliché. Una scelta stilistica che viaggia su tre piani – il presente in presa diretta, il passato al quale si aggiungono innesti di incubi e demoni – che determinano un mix grafico che funziona perché sapientemente dosato, fin dall’inizio.
La scelta del bianco e nero, con qualche pagina a colori – quella di incubi, visioni e demoni – premia questo racconto a tinte forti. Certo, della morte si è saputo parecchio, anche se non tutto nel dettaglio, ma della sua vita prima del palco e, soprattutto, durante la sua veloce parabola di successo, si è sempre conosciuto giusto l’indispensabile. La O’Riordan ha vissuto un’epoca che ancora non conosceva i social come mezzo di condivisione immediata. La sua fase di ascesa all’Olimpo del Rock si è concretizzata ad inizio 2000, ed era davvero un’altra epoca. Così il dietro alle quinte della sua esistenza è rimasto dove dovrebbe sempre restare per tutti: celato, nascosto… privato insomma.
La vita di Dolores, dunque, viene presentata per quello che è stata. Ciò che noi lettori dobbiamo ricordare è che ogni biografia è sempre figlia di una scelta narrativa che incide la carne del come e del perché dei fatti che si decide di narrare. Con il fumetto la cosa si accentua: serve selezionare, ma anche trovare il bandolo narrativo che faccia funzionare la storia e, soprattutto, vedere le immagini che poi saranno stampate sulla carta. Insomma, il compito della letteratura disegnata non è poca cosa.
Nella storia di Dolores gli elementi sono tanti, ma due sono quelli centrali che la graphic mostra in modo chiaro: la fuga da una casa di otto fratelli dove, unica femmina, Dolores avrebbe avuto ali e sogni sempre tarpati. Allo stesso tempo, il libro mostra il successo veloce, quasi immediato, e, dunque, la fragilità che – pregio di questo volume – si scopre essere componente generativa della personalità della O’Riordan. A Francesca Ciregia, autrice dei disegni, basta davvero poco per dare corpo e vita (con il suo tratto) a questa storia. Non troppe vignette sono messe in atto e così la vicenda narrata scorre e diventa subito incisiva. Nulla è superfluo nel disegno; come d’altronde nel testo. E così veniamo a sapere, quasi subito, e cioè dopo poche pagine, che la fuga da casa consente alla passione per la musica, e soprattutto per il canto, della O’Riordan di trovare la via per emergere.
La fuga da casa assomiglia a quella del torrente che cerca l’affluente per poi arrivare al mare. Dolores fugge via di casa, per poi arrivare in città e qui esplodere subito nella band che le darà fama e gloria, oltre ad essere il gruppo di ragazzi che l’ascoltano e la fanno cantare per la prima volta. Allo stesso tempo la fragilità di questa donna famosissima e bellissima (la ricordate? anche quando aveva i capelli neri… visualizzatela, per un attimo… fatelo!) viene mostrata nel suo accadere, giorno per giorno. Il doppio binario narrativo è ben costruito e le due vicende proseguono in parallelo. Purtroppo, in questo caso, le due rette parallele decideranno di incontrarsi, e questo evento decreterà la fine della O’Riordan. Non è il successo che fa sprofondare Dolores, ma è Dolores che sprofonda in un successo che non la condanna oltre a quanto già di suo fosse segnata. La sua esistenza – purtroppo – era già un modo d’essere turbato da ombre pesanti: la violenza subita e l’essere perennemente irrisolta nonostante il mondo, ad un certo punto, fosse davvero ai suoi piedi.
Nel fumetto lo studio delle inquadrature e l’uso del bianco e nero, o del colore ovviamente, sono fondamentali per sorreggere la narrazione di questa esistenza che brucia le tappe e, allo stesso tempo, sprofonda e scivola. La costruzione a pagina piena, oppure con blocchi di vignette che danno movimento alla pagina, testimoniano un’esistenza tormentata e non scandita da ordine. Anzi, nel fumetto, dato che non si può lasciare troppo spazio alla fantasia, perché quello che mostri lo fai vedere per davvero, la parabola della O’Riordan diventa davvero una discesa fisica all’inferno. Le pagine perdono dialoghi e guadagnano primi piani, frammenti di ricordi, tagli netti e sintesi visive. E così il tratto nero marcato, senza però essere troppo gotico (e neppure eccessivamente underground), è ricco di sfumature e consente di far capire che questa vita meravigliosa, che tutti noi fan aneliamo a vivere, e cioè quella della rockstar, in realtà, quando si chiude la porta del camerino e si scende dal palco, è come tutte le altre. Ne più e ne meno.
Certo, gloria e soldi non mancano, e male non fanno, ma questi elementi non bastano. Quanto meno, si può dire, non sono stati sufficienti per Dolores, come d’altronde non sono bastati l’amore vero del marito e dei suoi figli. Tutto questo non è servito a salvarla. I ricordi, come quelli della casa in fiamme (immagini legate a un album e al singolo “Salvation”, vedrete e capirete nella graphic novel… sono pagine di grande impatto narrativo e grafico) scavano trincee nelle quali Dolores si muove, da matina a sera. Senza uscire. Lì resta e lì sprofonda, nonostante tutto e tutti. Sono tavole cariche di nero che si alternano a quelle grigie, figlie del ricordo e di una dimensione di felicità che, in origine, c’era e faceva parte della vita di questa donna. Poi arriva il nero, e cioè la violenza, che tutto invade e ammanta, senza possibilità di una via d’uscita. Perché è questa la vera violenza, quella che esiste e insiste ogni giorno e che si aggiunge alla violazione della più profonda intimità che possediamo, e cioè il nostro corpo.
La violenza subita dalla O’Riordan scava. Crea trincee, non buchi che si possono colmare per poi via, ripartire. La violenza genera spazi che diventano antri e dove questa discesa all’inferno si espande e dilaga. Qui, in trincea, non è possibile trovare vie d’uscita e, soprattutto, come accadeva ai soldati sul Carso, non ci sono possibilità di fuga. Senza possibilità, lo insegna bene Gilles Deleuze, si diventa esausti… La vita è dunque condannata ad un fronte di guerra inesauribile, perenne. Mostrarsi in pubblico diventa antidoto e condanna. Si è amati proprio perché si è visti, e questa visibilità schiaccia nella trincea. La vignetta dove la O’Riordan fa il medio, scendendo dal palco, è significativa per chiarire questo aspetto. Corto circuito esistenziale. Il tempo passa e la trincea segna e logora l’esistenza, esattamente come accade in guerra.
La O’Riordan – racconta e mostra la graphic – non era in guerra con il mondo, se non quel tanto che bastava per essere una rockstar degli anni ’90/’00. La nostra eroina, in realtà, era in attesa, come Godot, di qualcosa che non poteva mai arrivare. E che non sarebbe arrivato, se non in quella vasca da bagno. Salvezza? Zombi? Amore? Chissà… Lei aspettava e, stando in questa trincea, si muoveva nella speranza, come viene fatto emerge dal testo della Beltramini, che tutto potesse andarsene: la fama, il successo, l’essere vista e l’essere visibile ovunque. Non c’era spazio però, nel mondo aureo della rockstar, per le crisi, come per l’anoressia, per la perdita di peso, per la solitudine imposta; per la lontananza dal pubblico e dalla musica. Eppure questa dimensione è diventata sempre più dominante e la O’Riordan non ha potuto farne a meno. Ecco la spada di Damocle che ferisce chi è vittima di violenza, di qualsiasi genere e, soprattutto quella che tocca il corpo. Il tutto non si può allontanare con facilità. Anzi. Poi, dopo tutto questo rumore, il silenzio. Sono pagine dure, davvero. Poi, come sappiamo, si arriva al tragico epilogo.
Una bella graphic novel, dove il disegno riesce a raccontare, in modo deciso e incisivo, il peso di quella vita in trincea che la O’Riordan, nonostante la sua voce meravigliosa, amata da fan in tutto il mondo, non ha saputo alleggerire e portare in superficie. La trincea ha vinto. Il peso l’ha schiacciata e noi abbiamo perso una voce unica e un’artista che, ora, manca davvero (si vedano i suoi lavori da solista, strada che era tutta da scoprire e da far germogliare). Tuttavia, a pensarci bene, va anche detta la verità: ci siamo anche abituati a non sentire più quella voce. Oggi torna di moda il bel canto, e l’unicità non viene premiata. Forse, allora, aveva ragione lei: da quella trincea non c’è via d’uscita e non c’è via di scampo. Si resta sempre in guerra, perenne. Anche se i cannoni non sapranno più. E allora diciamolo per renderle giustizia: dopo 4 anni dalla sua morte, neppure noi siamo riusciti a farla uscire finalmente da quella trincea, da quella buca che lei si è scavata attorno e nella quale era stata condannata a muoversi. Questa monografia è il primo gradino di quella scala che potrebbe farla uscire da quel fondo, da quella trincea … finalmente!
Articolo di Luca Cremonesi