È uscito il 18 settembre “Così eravamo” (Giunti), il nuovo romanzo di Francesco Guccini, opera che torna a indagare il passato del cantautore bolognese d’adozione. Un testo che si legge velocemente e che porta diretti nelle case dei nonni, in estate, o nei giorni di festa, quando cioè ci si poteva rifugiare in questi spazi protetti dove il tempo si fermava. Un pomeriggio dai nonni, insomma, mi scrive un amico che, come me, ha letto il volume tutto d’un fiato. Siamo in tanti orfani del Guccini pubblico, pur se il Maestro è ben presente nella vita culturale e popolare del nostro paese. Si era ritirato, come è noto, eppure due dischi ce li ha regalati, e continua a scrivere, con alcune comparsate in festival e trasmissioni Tv, per marcare un territorio del quale è sovrano incontrastato: quello della parola e della narrazione del passato.
Il volume, composto da cinque racconti legati fra loro, è di fatto una sorta di nuova declinazione di una gioventù che il Nostro ha più volte narrato in opere precedenti e in canzoni che lo hanno reso famoso. Dalla passione per la balera e i suoi musicisti, a quella per il giornalismo, Guccini fa rivivere in queste pagine parte della sua giovinezza a chi si mette nella lunghezza d’onda di leggere un libro che non svela nulla di nuovo, e che conferma il potere del ricordo quale arma speciale del cantautore emiliano.
A voler trovare un difetto nel volume, si può parlare dell’assenza dell’ambiente. Guccini, che nella sua narrativa ci ha abituato ad attente descrizioni dei luoghi, questa volta sorvola sulle location. Si addentra di più nella psiche dei personaggi; guarda al tempo che passa come a una locomotiva che non è lanciata verso il progresso, ma nella direzione di una formazione che il giovane protagonista deve vivere, e con la quale deve imparare a convivere. Altra mancanza, forse la più pesante, è quella dell’ironia alla Guccini, quella che contraddistingueva i suoi spettacoli live. In queste pagine c’è un Guccini anziano, pacato, e che resta pungente, in alcune parti, e che ama più raccontare storie, che tessere parabole laiche. Può suonare strano, ma serve prenderne atto, perché il tempo passa per tutti, ma questo non vuol dire cancellare quello che si è fatto.
Guccini non deve dimostrare nulla a nessuno, tanto meno con i suoi libri. Ed ecco che “Così eravamo” richiama più i film di Pupi Avati che l’album “Radici”, dove capeggiava la figura granitica di Amerigo. In queste pagine, per esempio, il giovane uomo che si affaccia alla città si scontra con il mondo del lavoro, arrogante e superficiale all’italiana; con il mondo delle balere, testimonianze (all’epoca) di una civiltà che non voleva cedere al passo della modernità. C’è anche la consapevolezza del tempo che passa. Il primo racconto del volume ricorda molto infatti “Lettera”, canzone capolavoro del tardo Guccini cantautore. Un amico che muore, e che non potrà più vivere gioie, emozioni e vita quotidiana, e il tempo il tempo chi me lo rende, chi mi dà indietro quelle stagioni come cantava il Nostro.
In questo pomeriggio dai nonni Guccini, insomma, ci regala un libro leggero, senza grandi pretese, se non quella di presentarci e donarci cinque belle storie, ben raccontate che non hanno l’ardire di essere alta letteratura, ma la narrazione dei ricordi di un uomo colto che, del suo passato, ha fatto forza vitale. Un insegnamento importante in un’epoca nella quale i ricordi, e i legami con il passato, vengono recisi di continuo. Un libro da leggere in inverno, da soli, per ricordare quanto di bello si è vissuto nel proprio passato.
Articolo di Luca Cremonesi