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Martin Popoff “Whitesnake”

Il libro descrive la fitta ragnatela di intrecci musicali e personali dei membri del gruppo

“Whitesnake”, sottotitolo “Il viaggio del serpente bianco”, di Martin Popoff (Tsunami edizioni) è la traduzione dell’opera “Sail Away – Whitesnake’s Fantastic Voyage” pubblicato originariamente da Soundcheck Books LLP, (2015 edizione usata per la traduzione, 2014 data di prima pubblicazione). Il libro traccia l’intera storia dei Whitesnake, ma più che altro descrive la fitta ragnatela di intrecci musicali e personali dei membri del gruppo, primo fra tutti il cantante e fondatore David Coverdale, con altri musicisti del panorama rock, su un percorso temporale di oltre quaranta anni. Il testo è costruito a partire da un insieme di interviste sia con i membri del gruppo nelle varie fasi, sia con altri artisti, ma anche con produttori e altri soggetti del mondo musicale.

Volume senza dubbio interessante per chi già conosce il gruppo, in questo caso il lettore può approfondirne la conoscenza con la scoperta degli sfondi di relazioni musicali ed umane sottostanti ai vari pezzi, così come di intrecci impensabili con gli artisti di altri gruppi, ma anche di insospettate sovra-incisioni dovute a musicisti neanche citati nei vari album. Chi invece vuole avvicinarsi per la prima volta a questa coinvolgente musica, scoprendo quell’intreccio molto particolare fra Rock e Blues che la contraddistingue, dovuto principalmente a Micky Moody, il chitarrista degli inizi, oltre che allo stesso Coverdale, può trovarsi in difficoltà. L’opera risulta infatti eccessivamente aneddotica, probabilmente perché ricavata dalle interviste, senza che l’autore sia riuscito a fornire un filo conduttore solido per chi vuole comprendere il percorso musicale e umano di un gruppo veramente particolare dal punto di vista artistico. L’intreccio di episodi di vita è interessante, ma fin troppo fitto e mancante di un supporto che guidi a livello temporale la comprensione dell’evoluzione del gruppo musicale.

Va anche osservato che, forse nel lodevole intento di rendere il testo fresco e più diretto, il traduttore ha operato alcune discutibili scelte, da una parte rendendo il linguaggio più colorito, dall’altra inserendo fra parentesi discorsi al presente, entrando così in contrasto con la narrazione che li contiene, all’imperfetto, quando nella versione originale vi era invece una collimazione di tempi perfetta.

Quasi niente poi si dice sulla domanda che qualsiasi lettore si farebbe: perché il nome Whitesnake? Il libro spiega che il nome deriva dalla unione delle due parole White Snake, il titolo di un precedente singolo di Coverdale, ma non ne spiega il significato.Pur abbondando di particolari si sarebbe potuto rilevare che il nome del gruppo e, prima di questo, il nome del singolo, viene dal testo stesso della canzone, dove si dice: Ho un serpente bianco mama, vuoi un serpente bianco, lascia che ti strisci addosso (Got a whitesnake mama / You wanna shake it mama / Got a whitesnake mama / Come an’ let it crawl on you, …); un abbastanza evidente riferimento sessuale, anche se non chiaro, ma avvalorato in modo ambiguo da Coverdale in una intervista alla BBC.

Il testo fornisce anche un interessante spaccato sulle strategie che, giuste o sbagliate, stanno dietro alla produzione musicale dei Whitesnake e a come David Coverdale ha portato avanti, nel corso del tempo, la propria visione del Rock: più melodica e con qualche elemento che lui stesso ha definito un buon aggancio commerciale. L’autore si inoltra in descrizioni accurate di singoli pezzi dei Whitesnake, spiegando come alcuni pezzi, ad esempio “Walking in the shadow of the blues”, si spingano ben oltre al momento musicale dello specifico periodo, in quel caso oltre l’Heavy Metal, per inoltrarsi in territori sonori più ampi, con la capacità di legarsi ad altre istanze artistiche; nel libro viene rilevata anche l’importanza fondamentale di alcuni elementi non prettamente musicali, come le copertine dei dischi, fra queste quella di Chris Achilleos per “Lovehunter”.

Viene evidenziato come l’intero percorso dei Whitesnake sia fortemente legato alla primigenia esperienza di Coverdale nei Deep Purple, con un collegamento che a più riprese verrà rinnovato, fino alla registrazione di un disco intero, “The Purple Album”, una sorta di tributo al passato, un ringraziamento di Coverdale ai Deep Purple, senza il quale il gruppo Whitesnake non sarebbe potuto esistere. Simpatico pensare che il successo del gruppo, definito come la macchina blues metal di Coverdale, è dovuto a quel ragazzo di allora, che pur vendendo pantaloni andava vestito abbastanza male, e che fu costretto a dimagrire e a mettersi le lenti a contatto per entrare negli allora già famosissimi Deep Purple, che lo avevano scelto, in confronto a cantanti più quotati, sulla base di una cassetta dove lui cantava ubriaco.

Un interessante capitolo aggiuntivo è quello scritto dal giornalista Gaetano Loffredo, dove si intravede uno spaccato interessante sul Coverdale uomo, personaggio estremamente riflessivo, che si interroga dopo la morte di Jon Lord sul fatto che la vita sia troppo corta per provare rancore, amarezza e risentimento e che riferendosi a “The Purple Album” esprime in quest’opera un senso di completezza, un ringraziamento a quel passato che lo ha portato ad essere l’arbitro del proprio destino, il capitano della propria anima della famosa poesia di William Ernest Henley. Insomma si mostra un David Coverdale artista a tutto tondo, di una profondità inaspettata, capace di far navigare la nave Whitesnake per oltre quarant’anni. Apprezzabile infine la discografia selezionata così come gli album “vicini” ai Whitesnake, in quanto partecipati da Coverdale, le interviste con soggetti e date, la citazione delle fonti.

Articolo di Sergio Bedessi

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