“Rock is the answer” è il nuovo libro di Massimo Cotto che racchiude riflessioni e affermazioni di oltre centocinquanta musicisti del panorama rock internazionale, pubblicato per la Marsilio Editori il 14 ottobre 2021. Intervistarlo è come fare una chiacchierata con un amico che conosci da sempre e con cui parleresti per ore, tanto è immediato il rapporto che riesce a creare con il suo interlocutore. Mentre parla, emerge la capacità di mantenere viva l’attenzione che caratterizza la sua scrittura, oltre alla piena consapevolezza degli argomenti che tratta.
Hai scritto e scrivi molto, in un contesto in cui sembra che ci sia un’inarrestabile emorragia di lettori ormai attirati da passatempi più tecnologici, tanto che scrivere un libro possiamo vederlo come un atto rivoluzionario. Cosa ti spinge a scrivere e perché credi che sia ancora importante scrivere di musica e dei suoi protagonisti invece di limitarsi a semplici biografie?
Io non riesco a fare a meno di scrivere. Scrivere è una necessità, non un lavoro, né una curiosità, né una professione, perciò continuerò a farlo fino a che ci sarà qualcuno che leggerà i miei libri. Hai ragione a dire che sono cambiati i tempi, si legge molto di meno, si legge in maniera diversa e molto più frammentaria: l’immagine romantica del lettore immerso per tre ore di seguito nella sua poltrona con un libro in mano è anacronistica, ormai. Oggi si legge nelle stazioni della metropolitana, in treno, a volte per venti minuti oppure meno per poi riprendere ciò che si stava facendo. Questo ha determinato un cambiamento anche nella struttura dei libri. Se ci fai caso, anche i miei ultimi libri hanno tutti racconti che si possono leggere in un arco di tempo molto breve. Naturalmente, scrivere biografie è facile perché le scrivi insieme agli artisti: loro si raccontano, tu prendi appunti e registri, sbobini e confronti le varie versioni. Scrivere un libro di questo tipo è un po’ più complicato soprattutto perché vuol dire andare nel proprio archivio mentale: le parole degli artisti mi tornavano in mente magari a distanza di tempo, mi accompagnavano nelle giornate, nei momenti più strani, anche quando mi trovavo in compagnia degli amici. Quindi ho riascoltato tutti i miei nastri, che sono tantissimi, ho scelto centocinquanta rockstar e ho provato a creare questo libro.
Nel libro, infatti, troviamo pillole di saggezza di oltre centocinquanta musicisti di ogni generazione e per ogni gusto. Puoi raccontarci qualcosa su come sono state raccolte queste pillole e perché?
Io sono diversamente giovane e ho avuto la fortuna di appartenere a quella generazione di giornalisti che quando doveva intervistare qualcuno aveva tanto tempo a disposizione. Era più facile far uscire da loro dei pensieri che non fossero banali. Ho scelto delle risposte anche quando non ci sono le domande, perché non volevo un libro di aforismi, volevo che fosse un libro di osservazioni degli artisti che noi riteniamo essere delle divinità, perché consideriamo solo quello che fanno sul palco, per poi essere molto più vulnerabili di noi non appena ne scendono. Volevo raccogliere tutte quelle affermazioni che ognuno di noi può utilizzare come crede, un po’ come un libro delle risposte che apri a caso per trovare qualcosa che ti serve. Gli artisti hanno due cose che noi non abbiamo: la prima è la capacità di sentire molto più in profondità, e questo è un aspetto molto affascinante, ma anche una dannazione perché questo vuole dire percepire gli estremi sia del bello che del brutto. Noi navighiamo le onde medie, mentre loro si trovano sempre sull’orlo, che può essere anche quello di un burrone. La seconda è loro capacità è trasformare in arte ciò che sentono, perciò i loro racconti di vita e le loro frasi hanno un valore doppio: perché sentono il mondo e le emozioni molto più di noi.
Tra tutte queste pillole, ce n’è una che ritieni molto più vicina a te?
Te ne dico una che ritorna spesso e un’altra che non ricordavo di aver raccolto. La prima è di Elton John che mi ha confessato che nel suo periodo più brutto di dipendenza da alcol e droghe, quando pensava di non farcela, si rifugiava nella stanza in cui teneva i dischi e prendeva “Don’t Give Up” di Peter Gabriel cantata da Kate Bush, si faceva il suo pianto di un’ora e questo lo faceva recuperare. Questo è, per me, un esempio di come la musica, e il Rock in particolare, ti aiuta ad andare avanti anche nei momenti più drammatici, quando pensi che la tua dipendenza sia più forte di qualsiasi cosa. Invece, riascoltando i nastri, non mi ricordavo di una frase di Tom Waits molto bella di quando si era innamorato di un disco di Marcel Marceau, che era un mimo, disco che io non conoscevo. Il disco è un po’ strano, sono due facciate ognuna di venti minuti di cui diciannove di silenzio e uno di applausi. Non sapevo se Tom Waits mi stesse prendendo in giro, ma poi ho scoperto che il disco esiste davvero e il messaggio che voleva trasmettere è che noi cerchiamo la bellezza dove pensiamo di trovarla, come un tramonto, ad esempio, mentre invece dovremmo abituarci a trovare la bellezza anche nei luoghi più impensati.
Una pillola che applicheresti alla realtà pandemica attuale?
Tutte le affermazioni che ho raccolto per me sono universali, ma ci sono delle eccezioni ed una di queste risponde alla tua domanda. La prima volta che ho incontrato Roger Waters è stato a Berlino per il concerto di “The Wall” e si è lanciato in una serie di previsioni di quello che era il mondo che sarebbe arrivato, ovviamente secondo lui, e devo dire che ci ha azzeccato. I suoi toni erano abbastanza cupi e pessimisti, ma in qualche modo prevedeva dei tempi difficili. L’arte è anche questa sensibilità strana di riuscire ad anticipare i tempi. Fondamentalmente l’arte fa due cose: o racconta il mondo oppure racconta una sua visione del mondo, come faceva Andy Warhol. Nel caso specifico, Roger Waters era già pessimista allora, forse più di quanto fosse lecito essere. Oggi si è leggermente ammorbidito, ma non più di tanto, e questo mi fa sperare che forse, con il tempo, tutti noi potremo vedere il mondo con lenti un po’ più colorate, nonostante il periodo ora sia molto difficile.
A ogni mese dell’anno è associata ad una riflessione che a sua volta nasce da un brano importante nella storia della musica. La sequenza di queste riflessioni con l’associazione ai mesi ha un fine ben preciso, oppure segue un’ispirazione?
Io vedo questo libro come un grande mosaico con infinite tessere, però non è un puzzle, nel senso che nel puzzle ogni tessera deve andare in una determinata posizione affinché il puzzle venga. Non ci sono delle figure chiare, anche se ci sono delle linee guida, puoi anche capovolgere tutto perché i temi con cui ci confrontiamo tutti i giorni sono sempre gli stessi: ci sentiamo a volte inadeguati, abbiamo bisogno di essere amati, affrontiamo fallimenti, vorremmo essere più ottimisti, ogni tanto ci sentiamo abbattuti anche senza un vero motivo, abbiamo questo piccolo malessere. Si tratta dei piccoli mali e sentimenti quotidiani che ci attanagliano e che ci fanno porre interrogativi che non sono poi grandi domande esistenziali, ma solo molto semplici. Quindi ogni dichiarazione può essere qualcosa che metti in un sacchetto, estrai a caso e ci ritrovi qualcosa di tuo.
Nella tua prefazione tu scrivi il Rock ti cambia la vita anche perché non si lascia mai afferrare fino in fondo. Al di là della tua professione, cosa è per te il Rock nella tua vita? Cosa credi che sia per gli altri e soprattutto per i giovani?
Il Rock mi ha dato pienezza. Oltre alla mia famiglia di origine, e insieme alla pallacanestro, è qualcosa che mi ha fatto capire la bellezza della condivisione e dello stare insieme agli altri. Certo mi ha dato un posto nel mondo e mi ha permesso di fare il lavoro che volevo fare, ma, a parte questo, mi ha fatto capire che il Rock è uno di quegli amici che non ti tradiscono mai e anche se non li vedi per molto tempo, quando li incontri di nuovo sembrano passati solo pochi minuti. Il mio rammarico è che i giovani non conoscono la storia del Rock, che è stata una sorta di ribellione de è ancora una forma di cultura e non solo di intrattenimento. Uno strumento fantastico che i ragazzi prima sceglievano per esprimere il loro malessere ma anche la voglia di cambiare il mondo. Purtroppo ora si va in un’altra direzione che è quella del mordi e fuggi consumando un prodotto discografico in pochi mesi e gli artisti si bruciano subito. Si potrebbe ovviare a tutto questo portando il Rock nelle scuole, andando dai ragazzi per parlare di quando è nato, cosa significava e come si è sviluppato.
“Rock is the answer”, il Rock è la risposta, è il titolo che hai scelto per il tuo nuovo libro. A cosa può rispondere il Rock? Possiamo ancora considerarlo ancora una risposta?
Fino a quando continueremo a chiederci se il Rock è morto, vuol dire che non è ancora morto. Però è vero che, essendo cambiato tutto, il mondo, soprattutto quello musicale, è cambiato anche il Rock e quindi è più complicato rispetto a prima. Le priorità sono cambiate, prima si cercava di cambiare il mondo, ora è già tanto se riusciamo a cambiare qualcosa di noi. Il titolo è ovviamente una provocazione, le risposte non esistono, non esistono risposte assolute a niente nella vita. Ci sono delle risposte di tappa, temporanee, che ti portano qualche passo avanti, che ti conducono a riflettere oppure a qualche altra domanda. E comunque non ci devono essere risposte assolute nella nostra vita, perché questo ci spinge ad evolverci, in un modo o nell’altro.
Articolo di Alma Marlia
Massimo Cotto bio. Nato ad Asti nel 1962, è autore di 71 libri, giornalista professionista, DJ radiofonico, autore televisivo e teatrale, presentatore e direttore artistico di numerosi festival e rassegne. Oggi è una delle voci più note di Virgin Radio, ma in passato ha parlato ai microfoni di Radio Rai (con cui ha collaborato per oltre vent’anni e dove è stato per quattro anni responsabile artistico di Radio Uno), Radio 24 e Radio Capital. Ha collaborato con diversi quotidiani e scritto per le principali riviste italiane e internazionali, tra cui l’americana Billboard e la tedesca Howl!. Nell’estate del 2021 ha debuttato a teatro il suo ultimo spettacolo dal titolo “Decamerock”. Dopo essere stato tra gli autori del Festival di Sanremo 2010, da più di dieci anni è alla guida di Sanremolab e Area Sanremo, l’unico contest che seleziona i giovani per il Festival di Sanremo. Dal 2017 al 2019 ha presieduto la giuria del Primo Maggio di Roma. Per Marsilio ha pubblicato “Rock Therapy. Rimedi in forma di canzone per ogni malanno o situazione” (2017) e “Decamerock. Ribellioni, amori, eccessi dal lato oscuro della musica” (2020).