Molti pensano che io non esista, che sia una leggenda metropolitana. Inizio migliore non si poteva sperare. Perché per molti, anzi, per tanti, Mauro Repetto è questo. Una leggenda, un’immagine sfuocata dietro a Max Pezzali. Per anni sparito, fino al San Siro di qualche anno fa, quando, all’improvviso, riappare sul palco. Sì, ma prima che fine aveva fatto? Dove era sparito? Esisteva davvero o, come si auto-prende in giro nell’incipit del suo libro, o era un’apparizione? Ecco, il suo testo. Il volume colma il vuoto, risponde alle domande, e accende i riflettori su questa vicenda.
“Non ho ucciso l’uomo ragno”, uscito per Mondadori il 19 settembre 2023, racconta tutto quello che è accaduto. In modo onesto? Questo è il grande mistero di ogni auto-biografia. Mi sento di dire, una volta letto, dopo aver fatto alcune ricerche, e aver assistito alla presentazione di Brescia, al Teatro Der Mast il 12 ottobre, e con alle spalle, come garante di quanto scritto nel libro, Massimo Cotto, giornalista che non ha bisogno di presentazioni (spero), che il volume se non onesto, quanto meno sia un racconto sereno di quanto accaduto. Nessun rancore, nessun’acredine, nessuna nostalgia.
Il libro è il racconto di un ragazzo di provincia, di Pavia, famosa per essere stata la capitale del Regno Longobardo e, in tempi contemporanei, per essere la città degli 883. Molti amici e amiche, che hanno studiato all’Università di Pavia, raccontano che erano soliti trovare i due amici nei bar. Questa, insomma, è la storia di chi ha coltivato un sogno, lo ha raggiunto; poi, all’improvviso, ha deciso di uscirne, di andarsene. Già questo rende interessante il volume, dato che, da insegnante, posso testimoniare che qualsiasi ragazzo o ragazza di seconda generazione stia cercando, in queste ore, mentre scrivo e voi leggete, di diventare influencer, sui social tradizionali o, peggio ancora, su Only Fans; oppure di sfondare nel mondo dei video su YouTube con canzoni pseudo rap-trap e compagnia bella. Leggere di chi, negli anni ’80/’90, ci ha provato, quando serviva andare di persona dai produttori, con le cassette in tasca, in un’epoca dove non esistevano talent, mail, pagine Facebook, YouTube, Bandcamp, e altri mezzi, ed è riuscito a farsi strada fino a Claudio Cecchetto, il Re Mida della musica di consumo italiana, a sfondare e, poi, a sparire, ha davvero dell’incredibile. Se non fosse che, la storia iniziata da Repetto con Pezzali, oggi riempie San Siro come, per esempio, Ligabue non riesce più a fare.
E pensare che, per molti puristi, gli 883 sono stati l’inizio della fine. Della fine cioè della musica d’autore, ad appannaggio della musica di consumo, costruita a tavolino. Eppure, a conti fatti, non sono mai stato convinto che fosse davvero così. Un fondo di verità c’è, certo, ma se dopo quasi 30 anni, si riempie a più riprese San Siro, non si può essere così arroganti da credere che 160 mila persone (alle quali si aggiungono tutte le altre negli stadi riempiti nei due ultimi tour, e nel prossimo venturo), siano tutti poco furbi.
Partiamo da un dato, extra libro: la musica è anche divertimento. Non è solo impegno, non è solo nicchia, non è solo alta cultura. Basta recarsi a un concerto di musicisti sud americani per rendersene conto. Poi, venendo al libro, Repetto, che di persona è un uomo gentile, educato, non usa un linguaggio volgare, saluta e sorride a tutti (questo ho visto a Brescia), è chiaro nel suo racconto. I due amici, e questo concetto è ribadito allo sfinimento nel volume, hanno messo in musica quello che vivevano, giorno per giorno, a Pavia, nella provincia tentacolo e oscurata dalla maxi Milano. Un poco, con le dovute proporzioni (per via del genere musicale) con quello accaduto ai bresciani Timoria. La provincia, lo racconta bene Repetto, come fabbrica di gioia, di storie mitiche – dalla sala giochi al provarci con le ragazze, fino alla ricerca notturna di locali, al far di conto dei soldi in tasca, alla voglia di evasione… vi ricordano nulla? – che, la mattina, diventavano trame di canzoni scritte da due giovani che, di fatto, sognavano di sfondare nel mondo della musica. Un desiderio non lontano da chi li aveva preceduti, e da chi li sta seguendo. Solo che un tempo si cantava di anarchici sulle locomotive, di banditi e campioni, di soldati morti in guerra, di generazioni sconvolte, di Emilia Paranoica, e così via. Ma, negli anni ’80 e ’90, le cose erano ormai cambiate. Decontestualizzare è sempre un errore gravissimo, da non perpetrare e perseverare.
Questi due ragazzi, dunque, hanno un sogno, in un’epoca che è figlia del disimpegno, e non di certo per causa loro (ed ecco perché contesto che questa avventura musicale sia l’inizio della fine). Anzi, a ben vedere, ne sono i cantori, loro malgrado. Questo è quello che emerge dal volume. Repetto, fino a quando è rimasto negli 883, con Pezzali non voleva di certo cambiare il mondo. Non c’erano riusciti Guccini, De André, De Gregori, Paoli e non ci stava riuscendo, per certi versi, Vasco, allora davvero potevano farcela loro? No, nessuno, nemmeno Cecchetto lo ha mai pensato (come di nessuna sua creatura d’altronde). C’era lo la voglia di cantare quegli anni e, allo stesso tempo, di ricavarsi un posto nel mondo. Quel mondo.
Proprio questo posto che arriva dopo tanta, ma davvero tanta gavetta (in questo è un volume propedeutico, di un’epoca nella quale fare musica non era avere 4 “Sì”), è quello che porta Repetto, che degli 883 all’inizio era destinato a essere il cantante, allo spaesamento. Una crisi di identità forte. Se non sai suonare – e lui ammette le proprie colpe nel volume – e ti ritrovi a essere il biondo che balla dietro a quello che canta, del quale però tutti sanno il nome, e ci sono le interviste su “Cioè” (le ricordo bene all’epoca); quello che, imbarazzato, parla nelle trasmissioni del pomeriggio; se sei anche protagonista di fumetti (quello uscito a Lucca 2023, non è l’unico fumetto sugli 883, esiste un altro volume, introvabile, pubblicato dalla Liberty del compianto Ade Capone); è chiaro che, a un certo punto, non sai più chi sei. Resti il biondo per tutta la vita? Oppure, presi i soldi in banca, provi un’altra avventura?
Qui si va nella parte finale del volume, dove Repetto racconta tutto, mantenendo però anche un certo pudore nel mettersi a nudo in questa sua avventura extra 883. Il tentativo del cinema Los Angeles, una parte di nuovo sogno a New York, un disco che vende poco, ed è – per chi scrive – la vera occasione mancata, già più di quella del film, se non fosse per i soldi spesi (c’è da fidarsi solo dei numeri che ci fornisce l’autore). Chissà, se l’avventura del disco fosse stata diversa, forse la sua storia avrebbe preso altre vie. Positive? Negative? Chissà… Resta il fatto che il suo vagare lo riporta in Italia, alla corte di Cecchetto, ma finisce male. Non sempre le zuppe riscaldate sono buone. Spesso funziona bene il duo, ma da singoli… Lo insegnano anche i Litfiba.
Alla fine l’arrivo a Parigi, la nuova vita, il lavoro, prima umile, poi di prestigio, a Disneyland Paris. Il tutto per tornare su un palco, con l’amico di sempre, anche se sembra di capire che i rapporti siano cordiali, ma di certo non più caldi come in tempo. Trent’anni sono comunque passati, per tutti. Ed è molto tempo. Però non sembrano essere trascorsi per i fan che, a San Siro, lo accolgono con un’ovazione. Lo chiamano, lo fanno sentire parte della famiglia. A Brescia, lo ripeto, la folla si accalcava all’ingresso ben prima dell’inizio della presentazione, cantata in alcuni passaggi, del volume. Non sono mancate le lacrime per chi non è riuscito a entrare.
Un libro che, nel mondo della narrativa musicale, desta così tanto clamore, è cosa rara. Nei numeri, e vorrei vederli, credo che abbia già venduto almeno il doppio del bellissimo testo di Nick Cave (la nostra recensione). Questo vorrà pur dire qualcosa, o si deve per forza proseguire ad essere snob? Io credo che gli 883, nel loro mondo, nella loro epoca, abbiano non tanto dato il via alla decadenza, quanto chiuso un cerchio che partiva con l’idea che la musica fosse per forza impegnata, alla quale si era chiesto tanto, ha ricordato Ferretti a Modena (la nostra recensione alla mostra), e che è arrivata, alla fine, a essere depotenziata, indebolita e relegata nell’ambito del divertimento. Solo che quello degli 883 era sano, genuino, fatto di cose semplici. Non certo di droga, malavita, psicofarmaci, e giovani signorini capaci solo di balbettare poche parole…
Articolo di Luca Cremonesi