Ponderoso. Come tutti i testi voluminosi, anche “Ascolta – La musica, il suono e noi” di Michel Faber, edizioni La Nave di Teseo, maggio 2024, implica un atto di fede. Lo si acquista e, o lo si legge subito, o è destinato a diventare un porta polvere, fra i tanti, nella nostra libreria. Le 600 pagine (590 per la precisione, alle quali si aggiunge l’apparato note), sono dunque una bella sfida. Senza scordare che le rilegature di questa casa editrice sono famose per non essere eccellenti. Poi, il volume pesa.
Quindi, la sfida non è facile. Però, c’è da dire che l’autore de “Il petalo cremisi e il bianco”, romanzo splendido di alcuni lustri fa, è la garanzia che quello che si andrà a leggere non sarà tempo perso. E così è, infatti. Anche se, chiusa l’ultima pagina, serve fare i conti anche con quello che si è appena letto. Faber, in estrema e massima sintesi, scrive 600 pagine, in epoca Covid (il libro è stato redatto nel 2020), dedicate alla sua passione per la musica, e sulla sua avversione allo snobbismo che permea il macro-mondo dell’arte. Questa seconda traiettoria del volume è quella più interessante, e comporta che si debba poi fare i conti con tutto quello che si andrà a scrivere, anche e proprio su questo testo.
Faber, nelle 600 lunghe pagine del suo saggio, ricorda che il male senile della musica, ma in generale dell’arte, è la critica, e in particolar modo la critica tecnica. Allo stesso tempo, anche chi scrive senza essere un tecnico non passa l’esame di Faber. Poi, nel calderone entrano anche quelli, come noi, che si spendono per raccontare libri, dischi e concerti, dedicandoci tempo, passione e competenze. Insomma, un libro che mette in fila molte questioni, e tante, dopo la lettura di questo setaccio, diventano meno pesanti e pressanti.
Per dire: la questione dei vinili vs cd. Faber è chiaro, e serviva qualcuno che lo ribadisse. I tecnici lo sanno, ma per definizione sono una nicchia troppo ristretta per essere ascoltati. I tifosi non valgono, perché sono tali per definizione: di parte. Faber, da saggista e da esperto, lo può dire, e far sì che arrivi, ancora una volta, il messaggio a tutti. Poi, dalla sua, ha gli strumenti della narrativa. In sostanza, fra vinile e cd non c’è alcuna reale differenza, soprattutto dal punto di vista del suono. Il lungo capitolo passa in rassegna i vari supporti, dalle gommalacca agli mp3, e spiega tutta la genesi di un vinile. Sempre in quelle pagine, con grande arguzia, si ricorda che registrare un suono con i microfoni, cosa che oggi accade normalmente, è già digitalizzare un suono. Dunque, credere nel calore del suono del vinile, è stregoneria. Semmai, in questo Faber è chiaro, il famigerato calore è dato dai fattori esterni: graffi, puntina, polvere, carta, giradischi ecc…
Altro mito che viene passato al vaglio è quello della musica che piace agli animali. Tema delicato, sul quale non perderò tempo, onde evitare messe al bando. Faber spiega bene, con tanto di citazioni e rimandi a testi autorevoli, come in realtà la musica che noi ascoltiamo viaggi su frequenze che non hanno nulla a che vedere con quelle percepite dagli animali. Non solo, le reazioni di questi, che noi solitamente umanizziamo, la maggior parte delle volte sono l’esatto contrario di quello che pensiamo.
Ne deriva, ma non solo da questo capitolo, che spesso siamo noi umani che mettiamo in essere e rendiamo predominante il nostro modo di vedere il mondo. In questo Faber ricorda gli studi di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale, che ha mostrato al mondo intero come esista anche il punto di vista del mondo delle piante. Altra questione che Faber fa emergere, e che personalmente ritengo la parte forte del volume in questione, è che c’è un dominio assoluto del mondo musicale di matrice anglo-americana. Ha ragione da vendere, su questo passaggio. Tutti e tutte noi ci siamo caduti dentro, e vederlo scritto mi ha di fatto risvegliato, facendomi finalmente affermare tranquillamente che il francese Léo Ferré è mille volte meglio di pseudo-cantautori inglesi; che lo spagnolo Joaquín Sabina è un cantautore di gran razza; che l’italiano Gianmaria Testa merita di essere sempre nelle classifiche dei migliori artisti del pianeta; e che l’argentina Mercedes Sosa è ora che ascenda all’Olimpo della musica mondiale. Ecco, proprio quest’ultimo concetto è uno dei pilastri portanti delle 600 pagine di Faber.
La musica è così grande e vasta che, prima di tutto, nessuno può ambire a essere sempre aggiornato sulle ultime uscite (grazie Faber di averlo specificato!), e allo stesso tempo pretendere di avere uno sguardo, direbbe Cartesio, di sorvolo e d’insieme su tutto quello che viene prodotto. Dunque, scrive Faber, al bando classifiche e le famigerate riviste con “I 100 migliori…”. La musica è tale perché si muove e si produce in tutte le culture; un mondo così ricco che avere la pretesa di ridurlo a una piccola fetta è davvero ridicolo. Se non fosse, poi, che il mondo inglese e statunitense, fino a poco più di un secolo fa, manco aveva una tradizione musicale, che invece era ben radicata in Paesi quali il Sud America, l’Africa e gli stati dell’Europa centrale. Insomma, la musica parla molte lingue, racconta molti mondi, e non c’è una seria A, e tanto meno una serie B. Faber lo dimostra raccontando il suo amore per, fra gli altri, Franco Battiato.
Nelle 600 pagine, poi, c’è spazio anche per la questione femminile, per la sudditanza della lingua inglese, per il predominio di una certa critica musicale, per lo snobbismo della musica classica, per i sentimenti che la musica muove, per i concerti e le esperienze dal vivo, per il collezionare album, libri e cd; ci sono interviste a musicisti neri, utili a capire i parametri di riferimento nel mondo musicale spesso, spiega Faber, dettati da musicisti e ascoltatori bianchi.
Non ultimo, ed è un altro capitolo che ho amato tanto, la questione delle cover band che, ora, imperversano nel mondo della musica. La tesi è forte: in fin dei conti, anche le orchestre che eseguono alla perfezione la musica classica, sono delle cover band. Credo che questo passaggio comporterà che il libro venga bruciato su pubblica piazza. Tuttavia, prima di giudicare, vi consiglio di leggere le oltre 100 pagine – spazio non manca in questo malloppo – dove il tutto viene ben argomentato e spiegato. Sono convinto che, alla fine, facendo leva sul punto chiave di questo discorso, sarete d’accordo anche voi con Faber. Nel mentre pensateci: Cosa vuole chi ascolta musica classica? Sarebbe disposto ad ascoltare componimenti nuovi? E i musicisti di questo mondo, sono bravi quando? Quando propongono qualcosa di nuovo, o quando eseguono bene il vecchio? Pensateci, mentre acquistate il volume che, va detto, se fosse stato sforbiciato di 150 pagine, allora sarebbe un saggio davvero eccellente.
Articolo di Luca Cremonesi