Riuscire a spiegare il mondo che c’è dietro al termine “Mod” è impresa ardua, e non poteva dunque che esserci Antonio Bacciocchi dietro “Mod Generation”, riedizione deluxe del mitico libro del 2009, dato di nuovo alle stampe da Interno4 Edizioni. Bacciocchi infatti, oltre a essere un musicista di tutto rispetto, è stato il primo a sdoganare in Italia questo tipo di approccio culturale, anche in qualità di autore della più importante “modzine” del Belpaese: “Faces”.
“Mod” è innanzitutto l’abbreviazione di “Modernism”, e nasce dalla controcultura giovanile che si sviluppò a Londra alla fine degli anni ‘50, affermandosi poi nei ‘60 in maniera sempre più ampia. Dunque, siamo di fronte a un tumulto che potrebbe racchiudere davvero tutto e niente, ma che si appropria subito di punti di riferimento ben precisi, a iniziare dal logo che ne identifica l’appartenenza: il simbolo della “Royal Air Force”, molto spesso presente sui parka ampiamente usati.
Ma se la partenza della tendenza è da attribuirsi all’Inghilterra, presto il movimento diviene così ampio da oltrepassare i confini anglosassoni, includendo anche una bella dose di influenza italiana visto che l’abbigliamento tricolore dei ‘60, nonché l’uso delle Vespe e delle Lambrette, divengono presto emblemi per eccellenza di quella sub-cultura.
Questa nuova edizione del testo parte con una graditissima novità: la riproduzione di una sorta di quadernone su cui vengono appuntati articoli, interviste, foto d’epoca che segnarono le fasi più emblematiche dello spirito Mod, un vero e proprio collage che ci riporta ai nostri vecchi metodi di archiviazione casalinga, e che descrive alla perfezione quello che fu l’intenso interesse dei più giovani riguardo il neonato movimento. Dopo l’incipit colorato, vario e nostalgico, il libro torna nei ranghi più classici con un bel salto indietro nel tempo, per affrontare in maniera meticolosa le dinamiche da cui partì tutto.
Il lettore sarà felicemente traghettato fino alla scoperta del primo germe di musica Mod, ascrivibile al dopoguerra, per la precisione al ‘48, quando a Soho si creò la frattura fra i “Trads” (jazzisti legati ancora ai suoni tradizionali delle big band) e, appunto, i “Mods”, i modernisti che spalleggiavano il Be Bop di Miles Davis, Charlie Parker, Dizzie Gillespie e John Coltrane, col loro suono nuovo e lo stile americanista. Aprirono i primi jazz-club e, spinti dalla ventata di freschezza sonora nonché dalle sperimentazioni sempre più azzardate, presto i locali si popolarono di una generazione che amava la notte, adorava il ritmo e il ballo, e cercava in questo modo di gettare lo sguardo verso il futuro, lasciandosi alle spalle le ferite aperte del conflitto bellico, ancora vivo negli occhi, nel corpo e nell’anima.
Il lavoro contestualizza gli eventi in maniera molto chiara, riuscendo sempre a fornire una giusta valutazione storica e sociologica. L’appeal musicale, infatti, si riversò presto anche nello stile: occhiali scuri, giacche, strette, pantaloni a tubo, cappelli a cupola piatta e falda rialzata, tutti simboli che vedevano l’America come portatrice di progresso e ricchezza. E la contaminazione non finì certo lì, perché a sommarsi alla commistione arrivarono anche i bluesman neri e l’esplosione della Motown, con le perle inarrivabili di Ray Charles, Ike & Tina Turner, Wilson Pickett, Aretha Franklin, Otis Redding, Sam Cooke e James Brown.
Il testo snocciola una ad una le influenze principali della “Mod Generation”, passando dall’impatto che ebbe lo Ska fino all’importanza di una band seminale quale gli Who, soprattutto per via dell’album “Quadrophenia” (1973). La descrizione delle derive musicali, dei rimandi, dei revivalismi e delle ingerenze sullo stile e la socialità giunge sino agli anni ‘90, con l’avvento di “Oasis” e “Blur”, accennando poi ai nomi principali che caratterizzarono anche i primi 2000.
La pubblicazione dedica quindi un’intera preziosa sezione al Mod italiano, accuratamente suddivisa per decenni, dagli anni ’60 al nuovo millennio, con tanto di discografia riepilogativa consigliata. Non mancano le testimonianze dirette, attraverso gli ultimi capitoli a cura di Francesco Ficco e Fabrizio “Pallino” Carrieri. Il capitolo di Ficco è un’attestazione di prima penna che parte dalla difficoltà di essere un Mod a Cosenza e diventa emblematica rispetto a situazioni analoghe vissute in ogni angolo d’Italia. Risulta quasi dolce rivivere l’esperienza genuina dei “Lager” nel mondo musicale anni ’80, dai primi concerti alle successive soddisfazioni nei festival. La conclusione di Carrieri sposta l’attenzione a Taranto, ma emozioni e calore viaggiano su vibrazioni molto simili, attraverso la rievocazione degli anni formativi che condussero alla formazione dei The Act.
Un altro collage, composto da alcune copertine della fanzine “Faces” e da articoli d’epoca, chiude una pubblicazione diversa, coinvolgente, che appassionerà qualsiasi lettore curioso e non solo i nostalgici che ai tempi hanno portato i capelli a caschetto, indossato un parka dell’esercito pieno di spille, o calzato le mitiche Clarks.
Articolo di Simone Ignagni
Antonio Bacciocchi – Scrittore, musicista, blogger, ha militato come batterista in una ventina di gruppi (tra cui Not Moving, Link Quartet, Lilith), incidendo una cinquantina di dischi e suonando in tutta Italia, Europa e USA, aprendo per Clash, Iggy and the Stooges, Johnny Thunders, Siouxsie, Manu Chao ecc. Ha scritto una decina di libri tra cui “Uscito vivo dagli anni 80” (premiato al MEI come miglior libro indipendente), “Paul Weller l’uomo cangiante”, “Rock’n’Goal”, “Gil Scott-Heron il Bob Dylan nero”. Collabora con i mensili “Classic Rock” e “Vinile” e i quotidiani “Il Manifesto” e “Libertà”. Da sedici anni aggiorna quotidianamente il suo blog www.tonyface.blogspot.it dove parla di musica, cinema, culture varie e sport.
La playlist curata dall’autore per accompagnare la lettura del libro: