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Phil Palmer “Session Man – Una vita da chitarrista”

Testo che aiuta a comprendere il mondo della musica grazie al punto di vista di chi si trova fra palco e realtà

Pubblicato da Minimum Fax, “Session Man – Una vita da chitarrista”, autobiografia del chitarrista e turnista Phil Palmer, uscito il 30 agosto 2024, e tradotto da Flavio Erra, è un testo che aiuta a comprendere il mondo della musica grazie al punto di vista di chi si trova proprio nel mezzo di quella zona magica che un rocker nostrano aveva definito fra palco e realtà.  Nel volume, Palmer racconta la sua vita, dagli anni dell’adolescenza e dell’avvicinamento alla musica tramite gli zii Ray e Dave Davies (The Kinks), fino agli incontri con i grandi del Rock, del Blues, del Soul, cui dedica ritratti appassionati e profondi. Scorrono davanti ai nostri occhi alcuni dei nomi più importanti della musica contemporanea: da David Bowie a Eric Clapton, dai Dire Straits a George Michael. Ampio spazio, poi, viene dedicato gli artisti italiani con cui Palmer ha collaborato negli ultimi anni della sua carriera, fra i quali, Claudio Baglioni ed Eros Ramazzotti; Pino Daniele e Renato Zero.

Phil Palmer, chitarrista britannico, racconta nelle prima pagine il suo apprendistato, che è quello del classico figlio della middle class britannica. Ukulele prima, e chitarra poi, con tanto di tensioni con la famiglia, che voleva per lui un lavoro vero, sono la base di una carriera che lo porterà, per fare una sintesi, a essere fra i chitarrista, fra gli altri, di Tina Turner, di Eric Clapton, dei Dire Straits di “Calling Elvis”, e del lungo tour che ne seguì, di George Michael, e di molte altre star del panorama internazionale.

In casa nostra Palmer vanta collaborazioni di grande rispetto e prestigio. Le chitarre del Battisti di “Con il nastro rosa” sono due, e di gran parte dell’album Una giornata uggiosa; oltre al sodalizio, lungo e prolifico, con Renato Zero. Poi, come già scritto, nel paniere, ci sono nomi del calibro di Morandi, Baglioni, Bertè, Eros Ramazzotti (ed è interessante leggere quanto Palmer sia stato importante per il lancio della carriera dell’Eros nazionale), e Pino Daniele, al quale era legato da sincera amicizia, e tanti altri ancora.

Tuttavia, la parte più interessante della sua avventura italiana non è tanto il racconto delle sue collaborazioni, quanto una pagina che emerge fra le 358 di questa ponderosa autobiografia. Si tratta del passaggio nel quale Palmer, con occhi da musicista e da addetto ai lavori, parla di Sanremo. Che dire, un certo imbarazzo, da lettore italiano, l’ho provato. Non solo perché Palmer, con estrema pulizia e realismo, racconta quello che tutti, da anni, sospettiamo, ma lo ribadisce anche in molti altri passaggi del libro, qua e là, in modo implacabile. A voi il compito di scoprire di cosa si tratta, ma seppiante che è uno dei motivi per il quale leggere questo libro.

Il contro altare di quella che non è una denuncia, ma una constatazione, è il grande rispetto per la nostra tradizione musicale che oscilla fra il nazionale popolare e il mainstream. Pertanto, belle e intense la parti dedicate a Pino Daniele e, soprattutto, alla collaborazione con Renato Zero, amico e testimone di nozze del protagonista di questo libro. Il resto, poi, è il racconto di una professione che, come spiega lo stesso Palmer, sta venendo meno per il modo di produrre, fruire e ascoltare musica. Il turnista, si evince dal testo, un tempo era alter ego, complice e anima silente di un progetto musicale; perno attorno al quale spesso si sviluppavano progetti, armonie e suoni. La cosa non era rara, da quanto emerge in modo chiaro nelle pagine di questo volume.

Di grande interesse, poi, i capitoli dedicati a quello che, a oggi, è l’ultimo tour dei Dire Straits. Palmer racconta del lavoro intenso, delle manie di Mark Knopfler, del suo diktat contro la réunion della sua band (ma si diceva così anche degli Oasis…), dei cambi maniacali di suoni e degli arrangiamenti, fino alla revisione, in sede di post-produzione, del disco live testimonianza di quella lunga serie di concerti. Le parti dedicate a Clapton sono davvero pervase da un sentimento di intimità e rispetto che commuovono. D’altronde, per un musicista turnista inglese, che da adolescente imitava gli assoli del suo idolo, ritrovarsi poi, dopo qualche anno, al suo fianco, credo che si possa trattare davvero di una delle esperienze di vita che restano indelebili. Questo si vede anche dalla delicatezza del ricordo che emerge in pagine dense, ben ritmate, dove il rispetto nei confronti di Clapton emerge chiaro e netto.

Storia nella storia è quella dei progetti da solista, e cioè album oggi cult come “Spin 1ne 2wo”, o la colonna sonora del film “Tre uomini e una gamba”; oppure la collaborazione alla colonna sonora di “Full Metal Jacket”. Lavori che lo tengono comunque ai margini, ma sempre appena dietro alle file di quelli che contano davvero. Il tutto senza saper leggere e scrivere la musica, ma solo con la passione, l’orecchio, la perseveranza, la passione e la determinazione di chi insegue un sogno.

Infine, la storia personale, dettata dai ritmi di un lavoro anomalo, che portano Palmer sempre lontano da casa, e che allo stesso tempo garantisce incassi se e solo se si lavora di continuo. Le questioni dei diritti d’autore, a vario livello, sono un’altra parte tecnica molto interessante della sua narrazione, e che Palmer spiega in modo chiaro e cristallino. Sono pagine molto utili anche per chi voglia capire come funziona questo aspetto del business musicale. Negli ultimi anni, si diceva all’inizio, la fruizione della musica è cambiata e oggi solo i live pagano bene. Il lavoro del turnista, però, va scomparendo, e i pochi che restano sono anche testimoni di una musica che è sempre più destinata – lo fa intuire bene anche Palmer in queste pagine – a diventare minoritaria, di nicchia, e per persone benestanti.

La riflessione finale dello stesso Palmer lascia intuire che una stagione in paradiso pare se ne sia andata per sempre. Il libro si chiude con piccole osservazioni, qua e là seminate, che raccontano di un mondo musicale ormai sempre meno innovativo e di ricerca, ma capace solo di replicare modelli, suoni e musiche già noti. Ora non ci resta che cercare la buona musica in piccoli locali, perché i grandi show, e le maxi produzioni di fatto sono tutte operazioni di conferma in vita, e per sempre, di quello che già esiste e che si è fatto in passato. Un libro che è testimonianza di un’epoca d’oro ormai andata, ma che ancora potrebbe resistere, e rinascere, se si decidesse di investire in cultura musicale.

Articolo di Luca Cremonesi

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