Il concerto di Steve Wynn a Lugagnano di Sona (Vr) di lunedì 23 gennaio è stato per l’artista anche l’occasione per riproporre la nuova edizione del suo libro, auto prodotto (lo potete acquistare su Amazon), “Complete Lyrics 1982-2017”. Un bel volume, essenziale e semplice. Come d’altronde le sue canzoni, o quanto meno i testi che, come è noto, rimandano alle poetiche dei grandi autori della musica americana, da Dylan a Reed passando per Young. Diverso, invece, il suo mood e la sua esperienza sonora che, però, al Giardino 2.0 Music Club è ridotta all’osso. In scena, infatti, Wynn è nudo, e cioè solo con la sua chitarra. Nessun effetto, nessuna scenografia, nessun artificio e nessun complice al suo fianco. Scarno ed essenziale, come d’altronde il volume che raccoglie i testi delle sue canzoni.
Nessuna introduzione, pochissime fotografie, tranne quelle in apertura con un simpatico Steve Wynn, leader dei The Dream Syndicate, da bambino e da giovincello, e poco più. Tutto il resto sono solo le sue canzoni, e cioè le sue storie made in America. Dal 1982, e cioè da “The Days of Wine and Roses”, primo folgorante album dei The Dream Syndicate, fino al 2017, data di uscita del penultimo album da solista, e cioè “How Did Find Myself Here?”, il volume ripropone testi che sono difficili solitamente da reperire anche in rete. La bellezza dei gruppi fuori dai grandi circuiti è proprio il fatto che restano ai margini, anche di un mondo, quello della comunicazione attuale, che vuole che tutto sia online e reperibile. Qui, invece, nel caso di Wynn, non molto si trova in rete, soprattutto per quanto riguarda la produzione con i The Dream Syndicate. Difficile invece, trovare e reperire la produzione solista che vanta, ad oggi 14 album (senza contare i live). Per questi testi, spesso, serve avventurarsi in siti underground americani. Qui, invece, con questo bel volume c’è tutto, e in rigoroso ordine cronologico. La ristampa, che ha un prezzo accettabile di 22,64 euro, nei live, viene proposta a 20 euro, prezzo ottimo per 434 pagine di ottima scrittura. Occasione ghiotta, insomma, per avere sotto mano la quasi totalità dei testi scritti da Wynn.
Quella musica che, il 23 gennaio, Wynn ha proposto al Giardino. Location che esalta Wynn, e lui stesso lo ricorda all’inizio del concerto. Qui, in questo spazio, il cantautore americano torna a contatto diretto con il pubblico. È la situazione ideale, lo dirà più volte, per il suo repertorio da solista. Ma è anche la soluzione ottimale perché richiama quel “Solo Acoustic Vol. 1”, album che Wynn ha dato alle stampe di recente, che sarà l’ossatura di questo concerto.
Un’ora e mezza di live, con 18 canzoni eseguite sulle 22 previste in scaletta (un testo scritto a mano, di difficile interpretazione, quasi una Stele di Rosetta del Nostro, che non riporta per alcuna traduzione, ma solo parole singole per identificare le canzoni). Comunque Wynn non ha nessuna intenzione di risparmiarsi e, infatti, oltre a regalare un excursus della sua produzione solista, ha anche voglia di parlare, di raccontare e ricordare gli amici Jeff Beck e David Crosby, recentemente scomparsi. Il concerto, infatti, è tutto dedicato a loro.
La prima parte dello show è intima, con Wynn che non eccede mai nei tocchi, e che scandisce bene accordi e parole. Sembra davvero un concerto classico, di quelli che si vedono nei film, nei pub americani. La dimensione narrativa, poi, fa la differenza. Si sente a casa Wynn, lo ricorda, lo fa capire, lo si percepisce. Saluta il pubblico, quasi personalmente. (Ri)conosce alcuni delle prime file, ed è davvero una bella sensazione. Sembra sia un cantante locale, assente da quelle tavole da alcuni anni. E invece è uno dei più importanti rappresentanti della canzone e del Rock d’autore che qui, nella provincia veneta, si sente a casa.
E così c’è spazio anche per aneddoti sulla sua carriera da solista, come l’incontro con il manager di Bob Dylan (Wynn ha realizzato un bell’omaggio a Dylan, nel recente passato), o come i racconti sui camerini di Las Vegas, paragonati a quelli del Giardino (e, da quanto si capisce dal suo slang americano, lui sembra proprio preferire quelli di Lugagnano). È un Wynn disteso, sereno e che si trova a suo agio con un pubblico, e una location, che non lesina a definire home, e cioè casa in senso affettivo.
La prima parte dello show risente di questo clima, che ne è parte integrante. I suoni sono soft, la chitarra è accarezzata, non troppo suonata. Si respira aria di poesia. Ci si lascia cullare, perché davvero Wynn si propone in una veste insolita, se si pensa alla recente tournée che lo ha visto protagonista, con la band, di tre concerti in Italia. Certo, quella dimensione è più rock, più elettrica. Wynn, dunque, nella prima parte regala un concerto intimo che il pubblico ascolta in religioso silenzio, tanto quanto, al termine delle canzoni, non risparmia applausi e grida. Il cantautore apprezza e raccoglie tutta l’energia che, nella seconda parte del concerto, trasforma in un’esibizione calda e più coinvolgente. Da “Tears Won’t Help” del 1990, fino alla più recente “Gilde”, che chiude il concerto (prima dei quattro bis), sarà tutta una tirata con un gran ritmo rock – blues. Una bella serata che viene completata, come capita sempre al Giardino, con l’artista a disposizione dei fan per autografi e foto. Wynn non si tira indietro, e autografa anche una discografia completa (solista + The Dream Syndicate) nelle mani di un estimatore arrivato da molto lontano.
Un artista così, a portata di mano, capace di emozionare, e di dialogare con tutti, è merce davvero rara. Quanto meno a questi livelli. Onore al merito di un Wynn davvero capace di incarnare sperimentazione, novità e ottima musica.
Articolo di Luca Cremonesi
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