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Umberto Negri “Io e i CCCP – Storia fotografica e orale”

Il libro ha questo pregio: ricordarci che dietro alle storie, anche le più belle, ci sono sempre uomini

Ogni ortodossia ha la sua eresia. Ecco, basta poco e ci si ritrova a scrivere come fanno tutti i recensori dei CCCP. Inizio migliore non ho trovato per parlare di questo libro, da tempo carsico, che ora, in occasione della mostra di Reggio Emilia, e dei prossimi 40 anni (nel 2024) dal primo ep della band emiliana, viene finalmente ristampato. In forma accresciuta, e in brossura (purtroppo si sfalderà negli anni, era meglio una rilegatura vera, data la mole del lavoro), “Io e i CCCP” di Umberto Negri, primo bassista della formazione originale della band, pubblicato da Shake Edizioni, è uscito il 6 ottobre scorso, con una sezione rinnovata di fotografie, e qualche nuova pagina ad arricchire una storia che, per chi lo aveva letto, era già chiara e definita. Ora torna finalmente disponibile, a 24 euro. In questo modo, ribadiamolo, alla narrazione ufficiale, si affianca anche quella eretica. Anche i Vangeli hanno la loro versione apocrifa, non vedo perché non possano averla i CCCP.

Al netto della rilegatura, i 24 euro sono davvero ben spesi, anche per chi ha già in casa la versione originale del libro, sia per chi ama collezionare materiale sulla band, e allo stesso è utile anche per chi non ha mai recuperato, nei mercatini dell’usato, il volume dell’epoca. Le foto, e l’impaginazione, sono davvero belle. Si tratta di un buon libro, davvero ben curato, con una ricerca grafica figlia di quell’estetica, quella cioè dei primi CCCP e degli anni del loro debutto. Sembra davvero di sfogliare opuscoli di inizio anni ’80.

Questa nuova versione si arricchisce molto di materiale che Negri ha tenuto nascosto in 37 rullini, dei quali racconta nelle prime pagine del volume. Andandosene da Reggio Emilia, buttò via tutto, tranne quei rullini. Oggi, da quello che confessa, sono stati sviluppati e in buona parte scansionati. Ed ecco materiale inedito che, a ben vedere, con quello che c’è nella mostra di Reggio Emilia, sono le uniche novità di questa celebrazione. Non ci sono live, non ci sono tracce inedite, non ci sono brani sparsi. Solo immagini. Era belle all’epoca, quando uscì questo volume nei primi anni 2000, e lo sono ancora oggi. Le fotografie sono tutte in bianco e nero, per questo hanno sempre grande fascino; allo stesso tempo non sono montate, in pagina, come nella classica gabbia ordinata alla Bonelli. Tutto questo contribuisce ad avere nelle mani un volume che sembra davvero una fanzine alternativa di fine anni ’70 e inizio anni ’80. L’unico difetto, poi non lo dico più, la rilegatura. Pace.

L’eresia dell’ortodossia è presto detta. Negri racconta, ma in questa versione addolcisce molto rispetto a quanto fatto nella prima stampa, gli albori della band, gli anni pionieristici, la Reggio degli ’80, il via dell’avventura musicale di tre amici che, per divertirsi, fondarono un gruppo, scelsero un’estetica, e un immaginario, e partirono a suonare. Gli inizi, duri e puri insomma, ma fedeli alla linea dell’underground provinciale. Nella prefazione e nell’introduzione questo fatto viene evidenziato: sfondare in provincia vuol dire essere davvero universali, perché non è la grande metropoli, dove sei libero di sperimentare. In provincia sei tenuto sotto controllo, sotto un patto di Varsavia composto da famiglia, ambiente, conoscenze e amicizie.

Il via dell’avventura avviene per strada, si suonava fra amici, senza tante pretese. Non c’era neppure la batteria, storia nota. Una dimensione underground che piace sempre al mondo snob della musica italiana. Per certa critica, infatti, la musica italiana vera dovrebbe sempre e solo restare underground, nascosta. Anzi, ci vorrebbe poi un Max Brod poco fedele, non come l’amico di Kafka, che, una volta avuto successo, abbia il coraggio di distruggere tutto, cancellare ogni traccia, e far vivere solo il ricordo della vita carsica, sotterranea e lontana dal successo. Invece, grazie a dio, non va così.

Le band evolvono, con esse i musicisti, e in questo modo si fa la storia. Come nel caso dei CCCP, con buona pace dell’eresia. Ferretti, additato nella prima edizione come causa di tutti i mali, qui invece, in questa seconda stampa, si giunge a posizioni meno radicali. Il passaggio alla major viene letto come una strada da prendere, nella quale però chi scrive non credeva. Forse il tempo ha portato quella stabilità che tanto si cantava. O ha fatto capire a fondo quel produci, consuma e crepa. Anche se, sia chiaro, qui nessuno è ancora crepato. Se non un sogno, che si è fermato a fine anni ’80. Per Negri, lo dice nel finale, altra parte risistemata, non ci sono reunion possibili, non ci sono feste, perché non c’è nulla da festeggiare. Però, va detto, questa storia è un po’ anche nostra, e non solo dei protagonisti. Anche noi fans ci siamo dentro, e una festa, con i nostri idoli, la vogliamo. Per questo ritengo che sia giusto che Negri ne faccia parte, pur se da eretico, e abbia dato alle stampe questa nuova edizione, e ci abbiamo messo dentro foto inedite, e abbia avuto la forza di riprendere in mando il testo. Non so, forse alla fine avrà ragione Negri. Chissà…

I suoi compagni, Ferretti soprattutto si sono venduti? Chissà… Forse lui è quel “Battagliero, un concorso al ministero…” che Ferretti & co. prendono per i fondelli? Nella prima edizione ne era certo, ora spiega che non può essere lui (e tutti ne sono sempre stati convinti, per quanto è dato sapere). Non so che dire. Questioni di stile, di famiglia e di amicizie che si rompono. A ben vedere, è stata così anche fra Ferretti e Zamboni. Negri lo dice, alla fine tutti si sono sciolti. Litigi. Guerre intestine. Fedeli alla linea, anche se la linea non c’era. Lo avevano sempre detto, perché rivendicare allora una purezza? Chissà…

Nel mezzo, però, ci sono stati due decenni di innovazione totale, su tutti e due i fronti, quello dei CCCP prima, e quello dei C.S.I. dopo. Piacciano o non piacciano a Negri, che sul post CCCP pare avere le idee chiare. Non so, come sembra far trasparire Negri, se la dimensione da strada perenne, da feste fra amici e quant’altro, avrebbe fatto davvero la differenza, come invece hanno saputo fare chi è rimasto, e ha sfidato uno star system nascente, figlio di una musica diversa, l’elettronica imperante di quegli anni. Come si cambia, per non morire, cantava qualcuna. Questo ha permesso ai suoi compagni di fare successo, e a Negri di restare in un’altra dimensione. Sapere che tutti sono contenti sarebbe bello. In questa nuova edizione del libro pare che Negri abbia trovato la giusta motivazione per essere felice di aver fatto la storia della musica con due album epici: “Ortodossia” e “Affinità e divergenze”. Bene così, ma serpeggia sempre e comunque un malessere.

Il volume aiuta comunque a capire, sempre in questa seconda edizione, soprattutto grazie alla nota finale, che il rancore un poco è venuto meno. Dal 1982 al 1985 sono anni che non torneranno, scrive nel nuovo finale Negri. Confessa poi di aver portato in giro la prima edizione del volume in tutta Italia, suonando, ovviamente, i brani dei suoi CCCP, dei quali anche lui – e nessuno lo può negare – è stato ideatore. Rivendica una cosa importante, non di poco conto, e cioè la ruvidezza di quel suono che si trova nei primissimi lavori della band. Ero proprio io il motore del suono di Ortodossia e di Affinità e divergenze, questo suono povero, ma unico. Sicuramente è una bella consapevolezza, visto la fama dei due album in questione; visto i prezzi che hanno nel mondo del collezionismo; e visto quanta strada hanno fatto fare alla band. Ognuno ci ha messo del suo, per creare ciò che ha fatto la storia. E in queste vicende le beghe personali possono trovar posto, anche per diventare giusto un libro interessante che racconta ciò che è lontano dall’ortodossia. Ma la domanda è lecita: il valore di quelle opere cambia, al netto di queste storie ortodosse o eretiche? Non credo, ma questo è il mio punto di vista. Quelle parole, e quelle nuove immagini, sono solo una terapia, solo una terapia, mi verrebbe da dire, citando proprio i CCCP.

Leggere, o rileggere, questo libro aiuta a comprendere un fatto. Il mito dei CCCP è reale, è lì da vedere, anche grazie alla mostra di Reggio Emilia, alle filiazioni, agli album usciti, e in quanto fatto prima, durante e dopo. Alla fine, però, come dicevano già i vecchi dinosauri spazzati via anche dai CCCP, sono solo canzonette. Poi tutti le cantano. Vero. E si diventa ricchi, conosciuti e famosi. Ma sempre di canzonette si tratta. Se diventano l’unico scopo vero della vita, tutti hanno sbagliato lavoro, anche i fans che le ascoltano. Ferretti lo ha colto, da tempo.

Il libro di Negri ha questo pregio: ricordarci che dietro alle storie, anche le più belle, ci sono sempre uomini. Con i loro pregi, le loro fragilità, e i loro – tanti – difetti. Tutti, nessuno escluso. Per questo, in conclusione, ogni ortodossia, si merita la sua eresia. Spara Juri, e allo stesso tempo spera che non sia così. Ma sono cose umane, solo questioni umane. Queste 460 pagine lo dimostrano. Da avere, per completezza e onestà.

Articolo di Luca Cremonesi

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