La 42 Records è un’etichetta discografica che emana creatività e passione. Nata per dare spazio agli artisti emergenti, ha conquistato un posto di rilievo nella scena musicale italiana. La filosofia è un mix di innovazione e sperimentazione, con un catalogo musicale variegato che abbraccia ogni genere e stile. Con quasi 20 anni di esperienza, la 42 Records continua a sorprendere e ispirare, dimostrando che nella musica, così come nella vita, la vera bellezza risiede nella diversità e nell’autenticità. Abbiamo intervistato Emiliano Colasanti, co-fondatore assieme a Giacomo Fiorenza dell’etichetta.
Emiliano, partiamo con la prima domanda, la 42 Records nasce nel 2007. Ci racconti la storia di come è nata l’etichetta?
Sì, è innegabile, siamo ormai considerati dei veterani. È sorprendente rendersi conto che sono trascorsi quasi vent’anni, perché per molto tempo, e persino fino a pochi anni fa, quando i media parlavano di noi, ci riferivano sempre come la giovane etichetta, l’etichetta non convenzionale. Questo mi faceva sempre sorridere, perché magari già da dieci anni facevamo questo mestiere. Ma l’etichetta è nata perché in quel momento storico volevo provare a fare qualcosa di diverso. Avevo già una lunga esperienza nel giornalismo musicale, avevo cominciato molto giovane. Successivamente, a seguito di un cambiamento nel mio lavoro che mi aveva portato un po’ di incertezza, ho pensato, dato che conoscevo bene l’ambiente e c’erano gruppi musicali che mi piacevano e di cui nessuno stava pubblicando i dischi, che forse era il momento di fondare un’etichetta discografica.
Ovviamente, non potevo farlo da solo e ho trovato un socio in Giacomo Fiorenza, uno dei fondatori della Homesleep, un’etichetta italiana di rilievo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. La storia di come siamo arrivati fin qui è lunga, ma è così che abbiamo iniziato. Anche Giacomo aveva alcune band che aveva registrato nel suo studio e che piacevano sia a lui che a me. Ci siamo uniti, abbiamo pubblicato i nostri primi quattro dischi, tutti realizzati insieme alla fine del 2007, e li abbiamo ufficialmente lanciati sul mercato a partire da gennaio 2008. Quindi è iniziato tutto così. Non si tratta tanto di resilienza, termine che detesto, quanto della volontà di fare le cose a modo nostro, magari colmando un vuoto. Non che non ci fossero etichette indipendenti in quel periodo, ce n’erano, ed erano anche molto valide, come la Tempesta, per esempio. In quel momento il mondo della musica stava cambiando, internet stava diventando una risorsa, un modo per diffondere la voce, parliamo di una rete più libera rispetto a oggi. Quindi l’idea era provare a fare le cose in modo un po’ diverso, pur prendendo spunto da molte etichette che ammiravamo, italiane e internazionali. Quindi, più che resilienza, è la nostra voglia di fare le cose che ci piacciono nel modo in cui ci piace farle. Questo, per me, è ancora la vera essenza dell’indipendenza, a prescindere dalle collaborazioni e dalle circostanze. In altre parole, fare le cose che ci appassionano nel modo che riteniamo più opportuno, cosa che continua a caratterizzarci, credo.
Possiamo dire che la 42 Records è stata e continua a essere un punto di riferimento nell’ambito dell’Indie, soprattutto nella scena romana. Ma la mia domanda è: nel 2024, ha ancora senso parlare di Indie? Come si è evoluta questa definizione fino a oggi?
Siamo abbastanza vecchi da pensare ai Dinosaur Jr e ai Pavement quando leggiamo la parola Indie e sicuramente le nostre radici sono quelle lì. E per me quel mondo ha senso anche nel 2024, mentre se invece si parla di un certo tipo di musica italiana che è emersa nel corso degli anni 10 il discorso si fa più complesso. Per noi quella parola ha un senso etico e di approccio ma non di genere musicale. Per quanto riguarda quello che facciamo noi penso che a caratterizzare il tutto ci sia un approccio obliquo alla forma canzone.
Che caratteristiche deve avere secondo te una band o un artista per emergere nel panorama musicale e discografico ai giorni nostri?
Penso che oggi sia estremamente difficile esordire nel mondo della musica. Uscire e farsi notare in mezzo a questa massa musicale uniforme che domina il mercato, e che ha influenzato anche gli ambiti indipendenti, è un’impresa ardua. Non consiglierei a nessuno di tentare ora, perché la competizione è davvero spietata. Tuttavia, credo che ci siano ancora delle caratteristiche fondamentali che una buona musica deve possedere per attirare la mia attenzione: identità e personalità. Deve avere qualcosa che mi colpisca, sia a livello emotivo che intellettuale. Sì, è vero che sembra che tutto sia già stato inventato e fatto, ma io cerco sempre di privilegiare gli artisti che riescono a creare la propria strada, che non si uniformano al panorama circostante ma che fanno le cose a modo loro. Se la loro musica diventa popolare, ben venga, ma l’importante è che mantengano la loro autenticità artistica.
Quindi, se dovessi dare un consiglio a un giovane artista oggi, direi che è fondamentale fare le cose a modo proprio, senza cercare di emulare gli altri solo perché hanno avuto successo. Viviamo in un’epoca in cui la musica è molto omologata, ma io personalmente mi lascio colpire da chi prende dei rischi. Ci sono artisti, come Billie Eilish o Bad Bunny, che osano nelle loro produzioni, indipendentemente dal fatto che siano molto popolari. Per me, la chiave del successo è il coraggio, è fare la propria musica nel proprio modo e lasciare che sia il pubblico a decidere se piace o no. Il pubblico è democratico, non si può influenzare.
Come gestite il bilanciamento tra l’innovazione e la sperimentazione da una parte, e la necessità di mantenere un pubblico fedele dall’altra? So che avete una base di fan molto devota, quindi come affrontate il compito di soddisfare le loro aspettative musicali mentre esplorate nuove direzioni creative?
Personalmente, ho una visione diversa riguardo a questo. Ritengo che solo una piccola percentuale di coloro che ascoltano i nostri dischi presti attenzione all’etichetta che li pubblica. Alla fine, sono i dischi stessi e gli artisti a essere in primo piano. Nel nostro catalogo, abbiamo una vasta gamma di opere molto diverse tra loro, che spaziano in ambiti molto variati. Tuttavia, credo che ci siano dei tratti comuni che collegano queste produzioni, come per esempio un’attenzione particolare al suono, che può essere sia innovativo che volutamente retrò, o un certo tipo di coolness, se mi permetti il termine. Questi elementi, almeno secondo me, sono presenti in tutte le nostre produzioni, e non sono legati a un particolare genere musicale o altro. Quello che mi piace della mia etichetta è che siamo in grado di mettere insieme progetti estremamente diversi tra loro. Non voglio correre il rischio di autocelebrarci, ma penso che il pubblico cerchi e si aspetti da noi qualità, per dirla come Pierluigi Pardo.
Parlando degli ultimi singoli o meglio quello dei Cani con i Baustelle, ho notato che avete scelto un approccio interessante nel distribuire le copie, con una prima tiratura di 100 copie nei distributori, seguita da ulteriori uscite. Puoi spiegarmi come è nata questa decisione?
È importante sottolineare che non facciamo mai nulla senza coinvolgere gli artisti con cui lavoriamo. In questo caso, c’era una volontà comune di provare qualcosa di diverso, di uscire dagli schemi e di creare un’esperienza più significativa per chiunque decidesse di acquistare il singolo. La natura stessa del disco riflette questa volontà: senza titoli, senza spiegazioni, è semplicemente lì, pronto a essere scoperto e apprezzato. Da un po’ di tempo cerchiamo di far vivere la musica che produciamo anche al di fuori delle piattaforme di streaming, che sono sì utili ma che privilegiano anche un tipo di ascolto e di target che spesso non è quello in cu ci riconosciamo noi e gli artisti con cui collaboriamo. Per cui per noi è diventato fondamentale non limitarci a fare uscire i singoli e sperare che finiscano in qualche playlist ma trovare delle modalità che siano più vicine alla musica che stiamo promuovendo in quel momento.
Inizialmente, abbiamo stampato una prima tiratura di mille copie e ne abbiamo inviate circa cento a una decina di negozi in Italia. La decisione di limitare la distribuzione è stata dettata dalla volontà di mantenere un certo livello di segretezza attorno al progetto, Abbiamo evitato la distribuzione standard attraverso i canali tradizionali, poiché volevamo evitare che il singolo fosse disponibile troppo facilmente prima della data di uscita. Molte volte, i negozi ricevono i dischi prima della data prevista e potrebbero metterli in vendita in anticipo o farli prenotare dai clienti. Per questo motivo, abbiamo scelto di mandare il singolo solo ai negozi di nostra fiducia, con l’accordo che sarebbero stati messi in vendita in un giorno specifico e a un’ora prestabilita.
Successivamente, abbiamo pubblicato altre due tirature, una per i negozi e una per la vendita online. L’intenzione era quella di incoraggiare le persone a visitare i negozi di dischi e dare un senso di esclusività all’uscita e finire sulle piattaforme solo dopo qualche mese e per completezza di catalogo. Inoltre, abbiamo scelto di non venderlo su piattaforme online come Amazon o Feltrinelli, limitandone l’accesso alle sole vendite nei negozi indipendenti e per un breve periodo online solo su Bandcamp.
Siamo consapevoli che questa strategia non sia stata compresa da tutti, ma l’obiettivo era quello di dare un valore speciale al singolo e alla collaborazione tra i Cani e i Baustelle, piuttosto che concentrarsi esclusivamente sull’aspetto commerciale. È stato un esperimento, un tentativo di fare qualcosa di nuovo che nessuno aveva mai fatto in Italia prima d’ora. Sono soddisfatto del risultato complessivo, anche se ammetto, che se dovessi ripeterlo oggi, probabilmente lo farei in modo leggermente diverso. L’obiettivo era incoraggiare le persone a visitare i negozi di dischi e a vivere un’esperienza più autentica rispetto alla semplice ricerca online del singolo.
Hai menzionato diverse volte lo streaming e le piattaforme digitali. Qual è però la vostra posizione e il vostro rapporto nei confronti dello streaming?
Il nostro rapporto nei confronti dello streaming è positivo. Lo vediamo come uno strumento essenziale che porta la musica nelle vite di molte persone in modo conveniente e accessibile. Tuttavia, non riteniamo che lo streaming sia l’unica forma di distribuzione musicale. Crediamo fermamente che la musica possa essere diffusa in molteplici modi e luoghi, non limitandoci esclusivamente alle piattaforme digitali.
Per noi, lo streaming è solo una parte del panorama musicale, equiparabile alle copie fisiche. Cerchiamo di non concentrarci esclusivamente su di esso, poiché il nostro obiettivo è raggiungere un pubblico variegato e interessato alla scoperta musicale. Non ci conformiamo alle tendenze odierne che promuovono brani brevi con intro minimi. Il nostro pubblico non è solo quello dei giovani che utilizzano esclusivamente lo streaming, ma anche individui curiosi e desiderosi di scoperta. In definitiva, seguiamo la nostra visione della musica e ci adattiamo alle esigenze del nostro pubblico, mantenendo sempre uno sguardo aperto a tutte le possibilità di diffusione musicale.
Tra poco festeggerete i 20 anni di carriera, un traguardo davvero significativo. Avete già in mente qualche idea per celebrare questo anniversario?
Onestamente, quando abbiamo avviato l’etichetta, non avrei mai immaginato di arrivare a cinque anni, figuriamoci a venti. Non so nemmeno se raggiungeremo quel traguardo, anche se spero di sì. In realtà, preferirei non pensarci troppo. Personalmente, non sono incline alle celebrazioni, quindi non ho un piano preciso in mente. Tuttavia, mi fa piacere vedere che l’etichetta continua a produrre musica interessante e ad avere un impatto positivo sul pubblico. Se raggiungeremo il ventesimo anniversario, penseremo a qualcosa per festeggiare, magari proprio l’anno prima. Ma è ancora troppo presto per pensarci ora.
Come faccio sempre, ti chiedo di descrivere la tua etichetta con un solo aggettivo o una parola.
Dopo tutto quello che ho detto prima, mi piacerebbe definirla “artigianale”. Sì, artigianale, mi piace. A dire il vero, non so se è questa l’impressione che viene trasmessa, ma a me piace l’idea di affrontare l’industria nel modo in cui lo farebbe un artigiano. Per esempio, quello di cui abbiamo parlato prima riguardo ai Cani, spedire le copie direttamente ai negozi, controllare che vengano esposte in un certo modo, tutto questo richiama l’idea di artigianato che abbiamo in mente. Ci piace l’idea di essere artigiani, ma all’interno dell’industria.
Articolo di Silvia Ravenda