È appena uscito “Give One Take One”, terzo album dei ’68, duo di Atlanta con oltre 300 live in tutto il mondo, tra festival e aperture a importanti band, di cui su Rock Nation potete leggere la recensione. Tanto ci è piaciuto questo lavoro che non potevamo mancare l’intervista con Josh Scogin, voce e chitarre nonché fondatore della band di enorme potenza sonora.
Intervista a Josh Scogin
Quand’è che hai incontrato Nikko (il batterista) e com’è successo che avete deciso di fare musica insieme?
Nikko e io abbiamo frequentato gli stessi giri per un lungo periodo, le nostre vecchie band suonavano insieme di tanto in tanto. Mi è capitato di produrre un album di una sua vecchia band ed è stato così che ho davvero conosciuto pienamente la sue capacità e la sua personalità. Dunque quando è stato il momento di avere un mio batterista lui è stato il primo a venirmi in mente
Avete deciso subito di formare un power duo e suonare questo potente muro di suono?
Avevo già suonato in altre band ed erano sempre composte da 5 elementi con due chitarre e basso, ne risultava un esperienza potente sul palco. Per fare qualcosa di fresco e nuovo sapevo che volevo metter su un duo ma sapevo anche che non potevo rinunciare al suono che viene prodotto da tanti elementi, quindi dovevo trovare un modo di avere un suono “grosso” anche dal vivo. Una volta avute le idee chiare, è stata solo questione di tempo ed esperienza per migliorarsi e crescere a ogni tour.
Che cosa rappresenta il ’68 per voi?
Libertà.
Quali sono le vostre maggiori influenze musicali?
Le mie maggiori influenze vengono dalle performance e non necessariamente musicali. Amo quindi James Brown e Jerry Lee Lewis (le prime cose) e anche Elvis Presley. La cosa importante è lo spettacolo dal vivo.
Puoi parlarci in modo approfondito del nuovo album? Del processo creativo di scrittura, incluso i testi, la registrazione, la produzione …
Ho lavorato come in tutti i miei album precedenti. Si comincia a buttar giù cose e vedere cosa resta attaccato, cominciamo con 3 o 4 brani che davvero ci piacciono e quando si arriva a 5 o 6 si intravede la forma dell’album, si inizia ad avere visioni del prodotto finito ed è poi solo questione di far tornare i pezzi del puzzle. Ho scritto i testi nell’estate 2019 mentre ero a Nashville in studio, li lascio sempre per ultimi perché sono convinto che la musica debba essere capace di stare in piedi da sola, solo in un secondo momento aggiungo le parole.
La dimensione live vi si confà totalmente. Sono le vostre performance a influenzare la vostra scrittura o viceversa?
Tutto viene dalla performance live, sempre. La maggior parte delle band registra un album e poi passa i seguenti due o tre anni a provare di restituire quel lavoro dal vivo. Noi invece prendere i nostri spettacoli e fare del nostro meglio per rappresentarli nelle canzoni che registriamo in un album. La performance dal vivo è la radice di tutto nei ‘68
E dunque abbiamo speranza di vedervi dal vivo in Europa?
Lo spero certamente, ma al momento è difficile fare programmi.
Ultima domanda, la classica di Rock Nation: quali sono i tre dischi che salveresti dalla distruzione del mondo?
The Beatles “Abbey Road”, Portishead “Dummy”, Led Zeppelin “IV”.
’68 interview, March 2021
When did you meet Nikko and how happened that you wanted to play music together?
Nikko and I have ran in similar circles for a long time. Our old bands would play shows together from time to time. I actually produced one of his old bands albums which is how I really got to know his full ability and personality. So when it was time to make a call for a drummer he was first on my mind.
Did you decide immediately to be a power duo and play this terrific heavy wall of sound?
I had been in bands before this one and they were always 5 piece bands with 2 guitarists and bass and it just made for such a loud experience on stage. To make things fresh and new for myself I knew I wanted to do a 2 pice band but I also knew I could not give up the sound that came with more members, so I had to figure out a way to make my sound big on stage. Once I sorted that out it was just a matter of time and experience to make it better and bigger with each tour and with the more knowledge I got on the topic.
What ’68 represent to you?
Freedom.
Which are your main musical influences?
Most of my influences are performance based, not necessarily the music. So I love James Brown and Jerry Lee Lewis (early stuff) and even Elvis Presley. It is all about the live show.
Can you take us in depth of the new album? The creative writing process (including the lyrics please), the recording, the producing …
This album is the same as all my previous albums. You start off just throwing stuff against the wall to see what sticks and eventually you end up with 3 or 4 songs you really like and by song 5 or 6 you start seeing the color of the album and you start to have visions of the end product and then it is just a matter of finishing off the puzzle. Lyrics were written in the summer of 2019 while I was in Nashville, TN recording. I always save the lyrics for last because I believe the music should be able to stand on its own 2 feet first. Then you add lyrics.
Live dimension suits you very much. Do your performances influence your writing or viceversa?
Everything comes from the live performance first. Most bands record an album and then spend the next two or three years trying to perform that album live. We like to take our live show and do our best to represent that in the songs that we record on the album. The live performance is the root of everything in ‘68.
Are we going to see you live here in Europe in some near future?
I sure hope so. But nothing is a certainty as of yet.
Final question, the signature Rock Nation one: which are the three records of life, the ones you would save from world destruction?
The Beatles “Abbey Road”, Portishead “Dummy”, Led Zeppelin “IV”.
Article by Francesca Cecconi