È da poco uscito “Mephisto Ballad” (qui la nostra recensione), il tardodiscodark di Antonio Aiazzi e Gianni Maroccolo, peraltro anche in un’edizione vinile curatissima da Contempo Records, che ci ospita per l’intervista. Un disco che esce a 40 anni dalla nascita della band che ha segnato la storia della musica di questo paese, i Litfiba, di cui i nostri sono fondatori. Ma esce anche a 39 anni dalla Mephistofesta, un evento archetipo impresso nella storia della Firenze degli anni ’80 che era allora una delle capitali europee della creazione, innovazione, produzione e fruizione di cultura.
Si tratta della loro prima collaborazione che sia sfociata in un progetto discografico dai tempi dei Beau Geste, non contando ovviamente il tour celebrativo della Trilogia del Potere. Una lunghissima chiacchierata su “Mephisto Ballad”, e molto di più.
Il vostro disco è nato da una storia un po’ strana … Bruno Casini (qui la nostra intervista) voleva fare una festa al museo Marino Marini di Firenze per celebrare i 40 anni della Mephistofesta, causa pandemia, non si è potuta fare e voi avete trasformato il progetto in un disco. Avete colto l’attimo, avevate già comunque l’idea di farlo questo disco e passata la pandemia lo ritravaserete nello spettacolo?
Maroccolo: Avevamo voglia da tempo di lavorare insieme e poi ci mancava l’album dei ricordi, il piacere di condividere musica dopo anni in cui ci si è persi di vista – solo musicalmente non umanamente – e per tirare le conclusioni siamo partiti da come eravamo, il primo pezzo da cui abbiamo iniziato a lavorare è un vecchio pezzo dei Litfiba meno conosciuto di altri, si chiama “FS44” e da lì ci abbiamo preso gusto…Bene, siam partiti che eravamo in quel modo, narriamo musicalmente e con i suoni come siamo oggi!
Quindi come eravate e come siete?
Aiazzi: In verità non siamo partiti dall’idea dell’anniversario della Mephistofesta; Bruno Casini, come organizzatore, ci ha chiesto di intervenire come ci pareva a noi, da lì è partito tutto il processo che è sfociato in questo disco. All’inizio era tutto assolutamente nebuloso però ci divertiva e ci piaceva farlo, si è sviluppato davvero dopo che abbiamo iniziato a sonare.
È l’aver mantenuto una forte sintonia personale che questo progetto è potuto concretizzarsi con questa forza?
Aiazzi: Io e Gianni è 43 anni che suoniamo insieme e abbiamo la grossa fortuna di poter suonare anche senza parlare, siamo talmente in sintonia che è sempre tutto molto semplice. Diciamo anche se ci sono dei periodi che non ci si vede, la sintonia musicale rimane sempre.
Vi siete fatti accompagnare da due pezzi grossi, pure loro: Flavio Ferri ai synth e alle chitarre e Giancarlo Cauteruccio alle voci, sono anche loro compagni di alchimia, si sono inseriti portando del loro?
Maroccolo: Giancarlo fa parte delle nostre alchimie da tempi non sospetti, dagli anni ‘80 ci ha aperto un po’ la mente, ci ha fatto scoprire cose che non conoscevamo, la condivisione fra varie arti e linguaggi, teatro sperimentale, le colonne sonore, insomma è nato tutto da lui; è stato bello ritrovarsi dopo tanto tempo, lui da qualche anno oltre alla regia ha iniziato a fare l’attore, a utilizzare la voce in maniera particolare, a fare degli speech teatrali, perciò dove la narrazione sonora aveva bisogno di essere più definita abbiamo chiesto a lui di occuparsi di questo aspetto. Fabio Ferri è la parte psichedelica del disco, che mancava, noi siamo a volte seriosi e obscuri, lui è appunto più psichedelico. La cosa bella di Flavio è che ha aggiunto un cortometraggio di una quarantina di minuti, che sta realizzando, di cui abbiamo visto i primi 12 minuti di montaggio ed è di una bellezza sconvolgente.
Si può dire allora che voi due eravate la vera anima dark sperimentale dei Litfiba e che questo disco sia un pochino una messa in luce di quell’anima? Oppure no?
Maroccolo: Dark non credo, se dark significa fare delle atmosfere che ogni tanto hanno delle armonie in minore, dove il 60% della musica lo prevede… in quegli anni se ti vestivi in un certo modo eri un darkettone e se ti vestivi in maniera più eccessiva eri un pankettone, fondamentalmente mi hanno sempre dato noia queste categorie e queste definizioni. Io ho sempre pensato che i Litfiba in quegli anni avessero trovato, anche per casualità, una miscela esplosiva unica e che fosse anche poco definibile. Infatti ci siamo sentiti timbrare in Rock Mediterraneo, Rock Zigano, Post Punk, After Punk, New Wave, Dark, Dark Wave, Dark Gothic, insomma di tutto.
Aiazzi: Ci interessa tutto, poi è la curiosità che ti porta ad andare a vedere un po’ di qua anche un po’ di là, poi… Dark, sperimentali, per i Litfiba era un giocare, un divertirsi, sconfinare e fare delle performance, anche in case private, fino a fare le colonne sonore firmate Litfiba. Chiaramente, ognuno, quel che si porta dietro, quello che vuol fare era differente, se analizzavi i Litfiba, singolarmente, uno diceva “questi non sono uniti” ma era il “tutto che faceva l’unico”. Ghigo aveva una parte che veniva da un percorso diverso.
Maroccolo: Anche lo stesso Piero era curiosissimo, leggeva, guardava film, quando c’era da fare le performance si divertiva, questa è una cosa che ha accomunato tutti. Poi andando avanti col tempo si cresce, ci si forma caratterialmente, si inizia a pensare cosa si vuole dalla vita e lì piano piano si sono definiti dei gusti diversi.
Avete parlato di feste, avete parlato di performance, avete parlato anche di divertirvi a fare queste performance. Purtroppo nel caso della Mephistofesta non c’è neanche una foto quindi non ci resta che appellarci ai racconti. Bruno Casini che la organizzò, ne parla volentieri. Voi che ricordo avete di Piero Pelù che esce da una bara?
Aiazzi: io poco, Gianni se lo ricorda bene, rimase abbastanza allucinato.
Maroccolo: Antonio ha un ricordo più vicino, perché nel concepimento della performance Piero andò a casa sua per costruirsi la bara, in giardino. Le performance vivevano di motivazioni estemporanee, non calcolavi tutto, avevi un’idea e poi andavi a improvvisare. La prima parte della performance, con un magma di nastri rovesciati, synt analogici e un bellissimo riff di Ghigo, era una sorta di accompagnamento a un ipotetico funerale; ricordo che iniziarono ad aumentare il fumo, con delle lampade particolari vennero simulati i lampi del temporale, una via di mezzo tra grottesco e il concettuale, in effetti ha fatto rabbrividire tutti anche in mezzo alla platea, non dico abbiano provato sentimenti come la paura ma del disagio sì, e quello che Piero voleva ottenere era questo. Un forte disagio, e lo ha raggiunto, coinvolse anche noi che eravamo sul palco, avevamo il timore che ci scappasse la risata e invece no! Siamo rimasti lì al pezzo inchiodati in maniera fantastica, questa è stata la prima parte, poi una volta che la bara era sul palco abbiamo fatto i pezzi, i più oscuri che avevamo.
È bello sentire raccontare le cose, ora che invece basta fare clic sul web e si vede tutto…
Maroccolo: Noi siamo sempre stati indipendenti, non ideologicamente, indipendenti nel senso che avevamo dei sogni, spesso dei desideri, ci tiravamo su le maniche per riuscire a renderli concreti. Siamo cresciuti e tuttora operiamo, opero, così. Si può operare con indipendenti, con etichette indipendenti, belle e storiche come la Contempo Records. Questo per arrivare a dire che “Mephisto Ballad” nasce con quello spirito, come se fossimo ancora negli anni ‘80. La produzione del disco è stata fatta quasi tutta a casa mia, con una scheda che mi ha prestato l’amico Lorenzo Tommasini, e un Mini Mac. Fine. Lo stesso Flavio Ferri sta lavorando cosi, da casa, con un vecchio computer e ci sta facendo un film.
Negli anni ‘80 eravate liberi e liberi vi siete mantenuti.
Maroccolo: Esattamente! Ogni qualvolta c’era una strettoia, io personalmente mollavo il branco e iniziavo a lavorare con altri.
Aiazzi: Lavorare così ti accresce molto, perché hai una visione completa del progetto, poi ci sono i momenti dove chi deve fare fa, la Contempo deve fare l’etichetta, Ala Bianca deve fare l’editore. Visto che questo progetto è nato dal nulla, la prima cosa che ci siamo detti è “che musica visuale stiamo tirando fuori”, quindi la parte visuale è diventata molto importante. Vedere ora la musica immersa nelle immagini che sta montando Flavio e capire cosa sta venendo fuori, ti serve per capire cosa farai dopo, altrimenti perdi il contatto con il nocciolo caldo, quindi anche nella previsione dei live … già stiamo capendo cosa sarà il live.
Maroccolo: C’è questa differenza, che ci è permessa perché abbiamo barba e capelli bianchi, di esperienza ne abbiamo fatta e anche perché abbiamo un nome rispettabile che ci permette di poter avere delle belle collaborazioni. Poi c’è un equipe di lavoro dietro tutto il progetto che non si occupa di trovare i contenuti, perché i contenuti siamo noi, e loro, che sono delle magnifiche persone, ci danno una mano a comunicarlo attraverso i media, a trovare le situazioni per fare i concerti, e Alessandro della Contempo, che finita l’intervista, va a casa sua per finire di confezionare i dischi. C’è questa via di mezzo tra un lavoro artigianale e passionale, e comunque un equipe professionale vera e propria che si sta occupando di rendere giustizia al progetto.
Hai detto due parole belle: “live”, quindi che questo progetto andrà sul palco, e “disco” ovvero – con molto coraggio – non è stato solo fatta la versione digitale ma anche il cd e il vinile, e anche questa è una scelta visiva, di sostanza, perché il vinile suona diverso.
Maroccolo: non è solo il suono, è anche il fatto che se vuoi dare una visione totale di un piccolo progetto artistico, non oso chiamarla una micro-opera d’arte, però un progetto creativo, devi avere la possibilità di comunicarlo nel modo più ampio possibile, quindi fare delle belle considerazioni per chi vuole una musica fluida o liquida, e invece per chi ama i particolari, la grafica, il tatto col cartone fare un vinile e fare anche dei cd. C’è chi ancora, come me, preferisce tenersi i vinili dentro uno scaffale e riutilizzare i cd invece per una chiavetta, o le cassine del computer. È bello poter dare la possibilità a chiunque di entrare nel nostro piccolo mondo con i mezzi che preferisce. Io per esempio devo mettermi gli occhiali per leggere al computer o leggere un libretto di un cd per assaporarmelo, nel vinile invece no, io me lo apro e riesco a leggerlo tranquillo e già questo a me fa la differenza.
Basta Firenze che si piange addosso perché gli anni ‘80 non ci sono più?
Aiazzi: È stato un momento speciale, noi siamo stati fortunati a essere lì ed essere in una bella posizione, ce lo siamo goduto senza problemi, senza rosicare niente, proprio eravamo “Wow, open!” infatti eravamo aperti a tutto, poi però le cose sono andate in questo modo.
Maroccolo: Noi non l’abbiamo solo vissuta, in qualche modo abbiamo anche contribuito a creare questo fenomeno sia a Firenze che in tutta Italia; però devo dire che fra “17 Re” e intorno a “Litfiba 3” erano finiti gli anni ‘80, si passava ad altro. Per noi era evidente, era una bella storia finita. Poi dalla morte di un fenomeno si rigenera comunque altro, anche gli anni ‘90 non sono stati così male. È stato anche un fatto di pubblico, è cambiato tutto, la città invece che accogliere il nuovo che avanzava come aveva accolto noi negli anni ‘80, non ha saputo accogliere gli anni ‘90, ci ha messo un po’ di tempo a capirlo. Negli anni 2000 ha iniziato a ricostruire piano piano, e ora la situazione mi sembra sia decente in confronto ad altre città.
Solo che negli anni ‘80 ci è passato il mondo musicale da Firenze…
Aiazzi: Era un punto di riferimento, la gente veniva da fuori per venire a Firenze, sia per suonare ma anche per vedere cosa succedeva. Chiedevano espressamente di venire a Firenze come tappa. C’erano i locali, c’era moda, teatro, video, musica, tante cose.
Voi oltre a fare musica la seguite. Come vedete i giovani artisti?
Maroccolo: Da qualche anno c’è della musica giovane che parla della loro generazione, avendone viste e sentite tante è difficile farsi coinvolgere emotivamente da tutte a livello di gusti, ma ciò non significa che il livello sia basso, come dicono in molti. A volte mi sembra di risentire le stesse cose che dicevano a noi quando abbiamo iniziato a suonare, perché era pieno di musicisti jazz, rock, fusion, ce ne dicevano di tutte “dove volete andare?”, “fate schifo” “questa non è musica” “è musica per cretini” eccetera.
Andavi a chiedere nei locali di suonare, “no, non siete adatti per suonare in questo locale”, sbattevi la testa; le etichette, figurati “no la musica non va bene, il cantante non è a fuoco.” Le stesse cose che dicono di questi poveri ragazzetti, ma lasciateli in pace! Noi siamo nati in una cantina, perché probabilmente non c’era X-Factor, comunque, noi alla prima occasione siamo andati a fare un contest a Bologna che casualmente lo abbiamo anche vinto. La musica si divide in due fasce, “quella che piace a me e quella che non piace a me!” e vale per tutti, non solo per me. C’è sempre stato, questo, noi ci si scannava “che cavolo ascolti, ma fa schifo!”
Ora cosa ascoltate?
Maroccolo: Io di tutto, poco, ascolto la radio e su You Tube, preferisco girellare su YouTube o Spotify. Però non ascolto tanta musica del passato. Un po’ perché me la ricordo, un po’ perché non mi solleverebbe lo stesso tipo di emozioni che provavo in un determinato contesto. Cerco di ascoltare musica non conosciuta, di giovani. Nei limiti ascolto, e a volte gioisco. Se però esce un disco di Brian Eno, Philip Glass, Paolo Conte, Battiato, di artisti che mi hanno cambiato la vita, Yann Tiersen, e allora si, quello me lo vado a prendere, perché mi piace l’idea di avere tutto quello che hanno fatto quegli artisti. In generale cerco di evitare la musica che ti impone il mercato.
Aiazzi: Anche le sonorità sono importanti, quando senti queste cose ti fa pensare a chi ci potrebbe essere dietro. È quella la cosa che poi ti fa partire questa ricerca alla fine, tu ascolti una cosa e poi cerchi su Shazam e scarichi tutto. Vieni catturato, non dal brano, una voce particolare, un suono, una soluzione, qualcosa che ti faccia dire “Wow! questa è nuova”.
Maroccolo: Io veramente l’unica cosa che non sopporto è il chiacchiericcio che c’è intorno alla musica, rimpiango questo aspetto degli anni ‘80, cioè che c’erano meno media e quelli che c’erano non ci consideravano proprio, fino a che piano piano hanno capito che qualcosa era cambiato musicalmente in Italia, non solo per noi ma per un sacco di musicisti. È come se questo terzo occhio che ci controlla e ci domina ci voglia mettere l’uno contro l’altro. Al giorno d’oggi, non c’è dialettica e se non c’è dialettica non c’è voglia e curiosità di approfondire. Il problema è che questo non è circoscritto solo alla musica.
Per concludere due domande personali a voi. Una direi Gianni visto che è finito Sanremo da poco, due tue canzoni sono state coverizzate, una scritta e una prodotta da te, che effetto ti ha fatto questa cosa, come l’hai vissuta?
Maroccolo: L’ho vissuta con un po’ di sorpresa e riconoscenza, perché in quel contesto lì dove tutto ti converrebbe fare tranne un pezzo di CCCP o dei CSI, se decidi di farlo sei coraggioso al di là delle motivazioni che ti hanno spinto a fare quella scelta. Mi stai facendo un dono immenso, non in termini di SIAE ma perché viene ascoltata da milioni di persone, mi fa accapponare la pelle. È stato emozionante, ho ringraziato tutti, non penso che da parte di chi compone i pezzi sia lecito parlare dell’interpretazione se ti piace o non ti piace, non mi pongo il problema. Credo che qualsiasi chiave di lettura sia legittima. Quella dei Maneskin è stata ancora diversa, è stata criticata perché un po’ tamarra, a parte che hanno vent’anni e noi a vent’anni non suonavamo come i Maneskin, suonavamo molto peggio, e poi una critica del genere forse era il caso di farla a Gianna Nannini quando la fece, non a loro, perché la Nannini era un artista affermata, con esperienza. Federico Fiumani, che ringrazio, mi ha fatto notare che hanno cambiato una frase del testo che cambia anche vagamente il significato, se non me l’avesse detto lui io non me ne sarei accorto.
Ad Antonio invece chiediamo: stai collaborando alla composizione di un’opera rock dedicata alla storia della Congiura dei Pazzi, ci vuoi dire qualcosa? Sai, qui a Firenze le voci circolano….
Aiazzi: sono stato coinvolto da Daniele Trambusti dentro un progetto, dove siamo io, i Killer Queen più Diego Ribechini. È un bel progetto, il mio apporto dentro a questa cosa è proprio Classic Rock, mi ci sento bene dentro e quindi mi vengono proprio cose con organi, pianoforti; è una cosa molto work in progress, tutta la storia è bellissima. Ci doveva essere quest’anno una prima rappresentazione dal vivo in Corsica, per adesso l’abbiamo fatta solo in sala prove, e l’abbiamo tutta registrata. È un lavorone ancora da capire come deve sbocciare, però il materiale c’è tutto.
Articolo, foto e video di Francesca Cecconi