A due anni dall’uscita dell’album “Polaris”, i Casino Royale regalano un nuovo brano realizzato con Marta Del Grandi, la cantante Italiana che unisce la scuola di canto jazz al Pop d’avanguardia; nasce così “Cospiro”, un brano che riprende e attualizza le sonorità care al gruppo milanese. Il leader della band, Alioscia Bisceglia ci spiega tutto.
Alioscia mi fa piacere sentirti perché siete un gruppone dalla storia un po’ altalenante, quindi sono contenta che siate di nuovo attivi!
Sì, anche perché compariamo, poi scompariamo tre anni, poi ricompariamo e così via, hahaha!
L’occasione è l’uscita del nuovo singolo, “Cospiro”, che avete fatto con Marta Del Grandi, della quale abbiamo parlato di recente in occasione del suo ultimo disco solista (la nostra recensione), quindi siamo felicissimi di sentirti raccontare questa esperienza.
“Cospiro”, è una traccia nuova, anche se proprio nuova non è, però sicuramente è un pezzo, diciamo, alla Casino Royale che non si brucia radiofonicamente, e lo dico con accezione positiva. Ho incontrato Martache ormai mi sembra da una vita, ma alla fine saranno due, tre anni fa, in una residenza a Biella, dove io facevo il coordinatore e questa ragazza, che era presente insieme ad altri musicisti bravissimi, a un certo punto mi fa questa battuta e mi dice That’s football? Io dico Ma scusa, tu come fai a sapere questa cosa? Perché è un giochino che accade sempre nel dialogo via Whatsapp o via social con il nostro produttore. Allora scopriamo di avere questa amicizia in comune, e questo è stato un punto di incontro che ci ha avvicinati.
Poi, durante quel processo creativo abbiamo legato abbastanza, nel senso che quelli che erano i miei suggerimenti, i miei tentativi di tirare le fila erano percepiti in maniera positiva da parte di Marta e siamo entrati in sintonia. Io ho scoperto questa ragazza che tutti guardavano con una certa distanza, era molto femminile con questa voce angelica, ma aveva le idee molto chiare, molto determinate, si autoproduceva tutto, un grande talento e siamo rimasti in contatto. Lei era lì, questa cosa accadeva il giorno esattamente in cui c’è stata la release di “Polaris”, e l’abbiamo ascoltato insieme, con tutti i ragazzi, con me in un angolo un po’ che mi vergognavo, un po’ con il batticuore, perché sicuramente ero sicuro del progetto, ma poi, come ogni artista, sono metà convintissimo e dall’altra parte, oddio, oddio, oddio. È una questione forse caratteriale.
Comunque, scherzi a parte, siamo rimasti in contatto. Io sono rimasto molto affascinato dai suoi lavori precedenti. Me li aveva mandati, gli mandavo dei feedback. L’ho visto un paio di volte dal vivo con il progetto Fossick Project, che è un suo side project, che è molto bello, molto romantico. Mi sono un po’ appassionato a lei come artista. Poi, un giorno mi sono detto, ma noi abbiamo già avuto un paio di volte un’esperienza con delle voci femminili…. Una era una ragazza di New York, afroamericana, bravissima, che aveva suonato con noi nel 2002. E poi, quando abbiamo cominciato il progetto della nuova era di Casino Royale, in scia alla ristampa del ventennale di “CRX”, c’era una ragazza, metà italiana, metà inglese, che sta in Toscana, che si chiama Maya, che aveva fatto delle parti vocali che noi mandavamo dal vivo registrate. E devo dire, l’esperienza in tutti e due i casi era stata, come dire, positiva.
Per cui ho preso un po’ coraggio e ho detto a Marta, guarda, io ho questa base e sto scrivendo questo pezzo nuovo, sull’essere un po’ persi, senza un punto di riferimento, in una società e un mondo un po’ la deriva, molto individualista. E un po’ le ho raccontato quella che era la mia visione di quello che volevo esprimere con il nuovo lavoro “Polaris”. Lei è tornata su degli accordi di questo pezzo che era rimasto fuori, ed è tornata con quello che è l’incipit, quella parte vocale, su cui noi poi abbiamo messo il pianoforte, dove poi Francesco Leali, il nostro produttore, ha inserito una parte di archi. Marta è protagonista di questo intro, questo pezzo molto energetico, e io poi gli do un’ulteriore spiegazione per immagini di quello che è il momento storico e di quello che come comunità dovremmo fare, visto che siamo legati gli uni agli altri, visto che non c’è fuga o rifugio da questo tempo e da questo pianeta.
Il fatto di mettersi insieme a ricercare una luce, e forse la luce è il buon senso, la logica. A me sembra che quello che dobbiamo fare è respirare insieme, quindi cospirare. Lei un giorno mi chiama e mi dice che sta scrivendo, secondo me stava leggendo anche il libro di Mancuso, lo scienziato che ha scritto tutti i giorni sulle piante. Questo è il dietro le quinte, sia dell’incontro con Marta, che della costruzione di “Cospiro”, che ha un video, un edit del footage raccolto da un film di cui adesso stiamo facendo la colonna sonora, che speriamo si riesca a terminare e far uscire presto.
Noi abbiamo progetti che cominciano due, tre, quattro anni prima e che finiamo con tempi un po’ biblici, ma questo perché veniamo anche un po’ alla modalità Casino Royale, perché siamo persone e musicisti impegnati su molti e diversi fronti. Noi ci riuniamo sporadicamente, questa cosa è un po’ nelle mie mani, a seconda un po’ dell’urgenza che ho e della visione che ho, dell’urgenza nel comunicare qualcosa, ma non ci perdiamo mai veramente di vista, intanto viviamo dei pezzi di vita, immagazziniamo storie, importanze, frustrazioni, bisogni e ogni tanto ci ritroviamo e condividiamo questa cosa innanzitutto tra di noi. Questa cosa chiaramente si esprime musicalmente facendo dei brani.
La gestazione dei nostri album non è casuale, certo abbiamo altri lavori, famiglie, altre cose da sbrigare di sopravvivenza, perché noi non viviamo con la musica, per cui siamo un gruppo di persone che si ritrova in tre, poi magari se guardi al lavoro fatto con “Polaris” ci hanno collaborato 20 persone. Questa è la maniera che più mi interessa per portare avanti il lavoro musicale, visto che non riempiremo probabilmente i palazzetti, non faremo una hit radiofonica, ma la musica è un’espressione di un’urgenza di comunicare cose, di trovare riscontro in pezzi della società nuovi, vecchi, e in coetanei che ci seguivano quando abbiamo cominciato quando avevamo 19 anni e adesso che siamo, nel mio caso, over 50.
È un bisogno personale, poi viene fuori un progetto artistico che è un’attività live, l’attività live magari si porta dietro qualche altra sperimentazione come la produzione di poster, una performance dove noi andiamo in giro e tappezziamo muri con delle frasi che servono a far pensare. Noi abbiamo cominciato nell’87 con questo spirito. E continuiamo come se fosse la prima volta, magari con un po’ meno fiato ma con un’energia che secondo me è l’energia che riconosci a chi ha un certo DNA, perché è nato in un certo periodo per gente che vive la musica in un certo modo, come un veicolo di comunicazione con un’attitudine che arriva dal Punk, dal Post-Punk, dalla New Wave, comunque da un movimento in cui la musica era controcultura e non semplicemente uno dei mezzi per arrivare al successo.
Io penso che ci stiano instillando una cultura divisiva a tutti i livelli, devi stare di qua o devi stare di là…
Il tema nuovo del nuovo lavoro, che è già a buon punto, è esattamente questo, cioè ci vogliono polarizzati, ci mettono uno contro l’altro. Questa cosa fa solo il gioco di terzi che hanno interessi a vederci così e che mentre noi ci litighiamo tra di noi alimentando paure, e curano i propri interessi. Questo l’abbiamo visto con il Covid, tra vaccinati e non vaccinati, poi con la guerra in Ucraina, pro-Ucraina, pro-Russia, lo vediamo adesso con la questione israelo-palestinese, è tutto un polarizzare, un fregare con approfondimenti zero perché tutto è diventato come dire uno scroll che fai sul cesso, capito? E il prossimo disco parlerà di queste cose.
“Cospiro” è la chiusura di “Polaris”, ma anche un trait d’union con il prossimo lavoro. E la narrazione in “Polaris” è più di autoanalisi del singolo e una fotografia del contesto. Quello che sarà il lavoro nuovo sarà forse con dei focus un po’ più sulla paura, la voglia di essere inclusivi, ma anche lo stato di minaccia, il disagio in cui ci ritroviamo, perché poi alla fine c’è da dire che noi in teoria quando siamo in casa siamo inclusivi, siamo buoni, capiamo tutte le colpe post-colonialiste che ci portiamo dietro, poi quando sei in strada e vengono cinque tipi di magrebini a rapinarti con il coltello ti gira il cazzo. E lì c’è una reazione a uno stato di paura e pericolo che è oggettivo, capisci? Per cui lì cominci a sentire che reagisci in una maniera differente e reagisci magari come quello che tu definisci il tuo nemico. E lì le cose si complicano, i tuoi valori vanno in confusione. Lo dico perché ho avuto situazioni di strada in cui mi sono trovato a reagire in un certo modo e avere un fastidio tale, e mi sono detto: ma sono io che sto pensando queste cose, con la mia formazione, con il mio background, con la mia consapevolezza? Ma se io mi sento minacciato, che devo fare? Devo farmi bullizzare? Ci sono delle reazioni istintive che sono basate su questo. Tutta questa cosa mi ha creato un cortocircuito e mi sono messo a scrivere di queste cose.
Progetti live a breve?
Suoneremo a Reggio Emilia al Festival della Fotografia, e al festival Heroes, a Bologna. Poi ci sono altri appuntamenti estivi in ballo. Conta che non c’è operazione discografica che giustifichi un tour, però noi non abbiamo l’aspettativa di fare 500 date, preferiamo suonare in pochi posti, in certe condizioni. Se sono rassegne, eventi particolari, preferiamo. Ci sta bene questo tipo di ritmo. Tra l’altro Heroes è appunto un festival con questi temi di cui abbiamo parlato finora, espressione della comunità, scambio culturale, inclusione …
Articolo di Francesca Cecconi