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Christine Herin intervista

L’album è pieno di colori e suoni, e lo si può definire un lavoro di respiro internazionale

Dolche

La vigilia di Natale incontriamo Christine Herin, in arte Dolche, perché il suo ultimo eclettico album “Exotic Diorama” (qui la nostra recensione), ci è piaciuto enormemente: è un pop raffinato e poetico, dove  tutte le sue esperienze di vita e le numerose prestigiose collaborazioni musicali trovano spazio ed espressione compiuta.

Ciao Christine, prima di parlare del tuo bellissimo disco “Exotic Diorama” dicci un po’ di te e del percorso che ti ha portato a un bagaglio così ampio di esperienze e collaborazioni, come cantante, musicista, autrice, produttrice, direttrice artistica.

Sono nata in Val D’Aosta, praticamente in cima a una montagna, in una famiglia di estrazione contadina dove la musica non era semplicemente prevista. incontrandola così attraverso i suoni della natura e pian piano scoprendomi sempre più musico-dipendente. Con il mio primo progetto –  Naïf Hérin – ho girato e fatto esperienze a giro per il mondo, sviluppando tutta una serie di conoscenze, sempre da autodidatta, che poi penso siano normali per chi fa il mestiere di musicista.

Sono arrivata al progetto Dolche in un periodo in cui viaggiavo molto, lavorando come musicista fra Parigi e New York; ho sentito che era il momento di tirare fuori quello che avevo dentro e ho cominciato, lavorando con alcune produzioni internazionali, a mettere insieme le canzoni, che poi sarebbero diventate il mio disco.

A proposto del disco, la nostra recensione dice Approcciarsi a Exotic Diorama, non significa semplicemente ascoltare un album. Vuol dire entrare in un mondo: quello di Dolche.

Grazie, che bello! In effetti io speravo che fosse così, il mio obbiettivo era proprio quello di prendere l’ascoltatore e portarlo dentro a un mondo, fra l’altro la copertina dell’album, uscito anche in vinile, è un diorama, una specie di patchwork, di composizione di un habitat. In questo caso ci sono delle montagne, dei fiori, degli animali, della vegetazione anche incongruenti fra loro, una moltitudine di colori e questo è un po’ il disco. È un mondo nel quale ci si può anche perdere e ogni brano è molto diverso, molto distante l’uno dall’altro perché il mondo è fatto così, è pieno di colori, di profumi, di retrogusti e io ho cercato di inserirli tutti nel mio disco, tutto quello che amo e che ho ricercato riletto attraverso quello che è il mio stile musicale.

Apro una parentesi ringraziandoti di aver stampato il disco anche in vinile, la redazione di Rock Nation tutta ama i dischi fisici e in particolar modo il vinile! L’album è pieno di colori e suoni, e lo si può definire un lavoro di respiro internazionale, dando a questo termine il significato avere la capacità di uscire dai propri confini per merito di una scelta sonora eclettica e dell’uso anche coraggioso di strumenti tradizionali e non convenzionali. Un album che rifugge da definizioni di generi particolari … tu come definiresti il tuo lavoro, se definirlo fosse possibile?

L’autodefinizione è sempre complicata, il mio obbiettivo era quello di dare agli ascoltatori, quelli che già mi conosco e quelli che invece si accostano per la prima volta alla mia musica, tutta una serie di sorprese. Credo che infatti quello che manca nella odierna musica pop sia proprio la sorpresa, la musica si è un po’ adagiata su tutta una serie di suoni, di soluzioni ritmiche e di arrangiamenti che vanno per la maggiore e che quindi la definiscono. Quello che ho tentato di fare io è stato di non cadere in quel tipo di scelte e di soluzioni di tipo standard, ma cercare di fare musica pop attingendo a un bagaglio musicale che comprendesse anche la musica popolare e una scelta di strumenti tradizionali e inusuali.

Ho cercato anche di mischiare ritmi e arrangiamenti diversi come si fa a esempio nella cucina gourmet, dove si fondono esperienze e sapori diversi che provengono da lontano e che poi si fondono in unico piatto inventando un sapore nuovo e unico, così come nella musica elementi diversi fra loro diventano componenti di un unico linguaggio. L’umanità è grande e bella da condividere in ogni suo aspetto e questo è quello che ho cercato di fare nel mio disco.

Credo che la più grande forza di “Exotic Diorama” sia proprio quella di aver creato un progetto omogeneo usando però molti elementi diversi fra loro, e va detto che questo è un disco multilingue dove si canta non solo in inglese, francese e italiano ma anche spagnolo e ci sono inserti in cinese, giapponese, arabo e alla base di tutto questo c’è comunque un messaggio, non si tratta solo di una scelta estetica, giusto?

Il mio desiderio era proprio quello di arrivare a più gente possibile, per comunicare una serie di messaggi che ci riguardano tutti e che coinvolgono appunto, la sfera dei diritti umani, e la salvaguardia del mondo animale e del nostro pianeta che in qualche modo ultimamente ci sta presentando il conto. Per fare questo mi sono affidata anche all’aspetto visivo producendo alcuni video, insieme e a mia moglie e alla mia casa discografica Crisalide Records, che aggiungono dei punti di vista in più rispetto a quelli fornita dai testi e dalla musica.

Ci sarebbe da parlare molto della tua produzione video, che si capisce travalicare la funzione promozionale, divenendo in realtà parte integrante di tutto il progetto. Progetto all’interno del quale figura anche un omaggio ai Talking Heads, e prendendo spunto da questo ti chiedo quali sono le tue maggiori influenze musicali.

Da amante della musica sono passata attraverso molti generi musicali che ho apprezzato e approfondito nel corso degli anni fra questi il punk, con cui mi sono anche cimentata anni addietro con un gruppo milanese di cui facevo parte, per cui i Talking  Heads e altri artisti di quel periodo fanno parte del mio background musicale. Inoltre ho pensato a cosa fosse diametralmente opposto alla mia vocalità e al mio tipo di composizione e la risposta è stata appunto il punk. Ho preso  “Psycho Killer” e l’ho destrutturato, disintegrato, l’ho risuonato come se fosse uno dei miei pezzi. Ero scettica che questa cover venisse bene accolta, invece il pezzo al momento è il più ascoltato in rete.

C’è speranza di ascoltarti dal vivo in futuro?

Beh lo spero davvero, c’era in programma un tour italiano e estero per portare in giro “Exotic Diorama”, aspettiamo di vedere se prima possibile si riesca a tornare a suonare dal vivo e in che modo.Al momento stiamo lavorando per riuscire a mettere su un set live dove io da sola possa proporre il materiale dell’album, speriamo proprio di riuscirci, non vedo l’ora.

Benissimo, in attesa quindi di poter ascoltarti dal vivo, ci godiamo “Exotic Diorama”! Grazie Christine 🙂

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Christine Herin, neo-mamma di un bimbo avuto portando avanti una gravidanza no gender, da anni risiede e lavora tra Roma e New York, ha all’attivo 5 album e si è esibita in centinaia di concerti in tutta Europa sotto lo pseudonimo di Naïf Hérin. Negli anni ha collaborato con importanti musicisti, produttori e artisti internazionali. Il progetto Dolche è un omaggio alle atmosfere retrò e nostalgiche raffigurate nel capolavoro cinematografico di Federico Fellini “La Dolce Vita” con l’aggiunta delle iniziali di Christine (C e H). L’artista si presenta con un particolare look impreziosito da una corona di fiori e corna di mucca come tributo alle sue origini valdostane.

Dolche spicca per il suo stile musicale eclettico in grado di toccare diversi generi – folk, chanson française, world music, classical music, funk, electronic music – scrive tutte le sue canzoni e suona diversi strumenti tra cui il pianoforte, la chitarra, il basso e le tastiere. All’attività musicale affianca da sempre l’impegno nel sociale sostenendo numerose cause che difendono la libertà e i diritti degli esseri umani e degli animali, e da anni insieme alla moglie Chiara è ambasciatrice della comunità LGBTQ+.

Articolo di Francesca Cecconi

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