“Mi ero perso il cuore” è il primo album solista di Cristiano Godano, fuori il 26 giugno 2020 in digitale, CD e doppio vinile da collezione 180gr che contiene una bonus track, su Ala Bianca Group/Warner Music. Una collezione di canzoni che raccontano i demoni della mente, un disco molto intimo e personale, che ha il coraggio della paura e esibisce questa poetica vulnerabilità.
Godano, artista poliedrico, è cantante, chitarrista, autore, attore e scrittore. Oltre a essere il cantante dei Marlene Kuntz, band che ha segnato la storia della musica italiana in 30 anni di carriera, è l’autore di tutti i testi (oltre 130) della band. Nel 2008 ha esordito come scrittore, con i sei racconti de “I vivi” (Rizzoli), dai quali ha tratto un reading che ha portato in tour in tutta Italia. Nel 2019 ha pubblicato il racconto biografico in prima persona “Nuotando nell’aria. Dietro 35 canzoni dei Marlene Kuntz” (La Nave di Teseo). È docente all’Università Cattolica di Milano e tiene lezioni e workshop in ambito musicale e poetico.
Una conferenza stampa in streaming, e non poteva essere diversamente in questo momento. Abbiamo così avuto la possibilità di intervistare Cristiano Godano a casa sua, e gentilissimo ha risposto a tutte le domande di noi giornalisti musicali connessi, con pazienza e cura.
Ci sono voluti davvero molti anni perché tu decidessi di fare un disco solista senza i tuoi Marlene.
Prima di accettare d’avventurarmi in questo cimento ho desiderato essere sicuro di quello che facevo, e poi ho anche desiderato trovare il momento giusto senza turbare quello dei Marlene Kuntz, che è il mio progetto principale, amo la creatura Marlene Kuntz, sono nato musicalmente con Riccardo De Luca quindi volevo essere molto cauto. E poi c’è un’esigenza di natura proprio artistica, io 7-8 anni fa ho iniziato a fare situazioni solitarie, in realtà un’ibridazione fra musica e parole, io mi ritrovo con interlocutore che mi fa domande alle quali rispondo, inframmezzando con delle suonate dal vivo e questa cosa poco per volta mi ha fatto sempre più prendere entusiasmo nei confronti della suonata solitaria con la chitarra acustica ho trovato un suono, una mia interpretazione. A quel punto sono arrivato a capire che non potevo continuare a suonare i pezzi dei Marlene Kunts, che era doveroso avere dei pezzi miei personali per continuare questo percorso.
Tu riesci a esprimere quello che pensiamo mentre noi non troviamo le parole … come ci riesci?
Come io ci riesco di preciso non saprei, c’è di mezzo l’esperienza e anche la consapevolezza, che per me è un valore molto importante e io ne parlo in un libro che ho scritto un anno fa, s’intitola “Nuotando nell’aria”, insisto molto sul valore della consapevolezza che io ho capito molto presto nel mio percorso che era molto importante, cioè fin dall’inizio mi sono trovato a rispondere a un’affermazione impegnativa, mi si dava del poeta, già dopo i primi due dischi noi avevamo un dialogo serrato con il nostro pubblico che ci scriveva. Io ho immediatamente capito che non potevo ringraziare e basta, che dovevo prendermi la responsabilità, e ho cercato di capire perché me lo dicevano, quali sono i meccanismo della poesia, quali sono i tratti che accomunano la poesia e il testo della canzone. Quando scrivo i miei testi ci metto un’esperienza che mi consente di governare quello che dico, proprio come fanno gli scrittori di romanzi.
Ascoltando il tuo disco ci ritroviamo e il Cristiano Godano che conosciamo, il tuo cantato, la tua scrittura, pur con un approccio intimista che non sfocia mai nel fragore dei Marlene. Io non ho notato che è molto diverso l’arrangiamento, come l’hai pensato?
L’arrangiamento del disco è opera dei musicisti che hanno suonato con me, e li ringrazio tantissimo per quello che hanno fatto, Luca Filippi, Gianni Maroccolo e Luca Rossi. Io semplicemente prima di entrare in studio ho provato molto con loro, soprattutto con Gianni e con Luca , perché volevo proprio fargli capire che cosa mi aspettavo da queste canzoni. Loro conoscevano il mio songwriting, avevano sentito la canzone nuda e cruda, chitarra e voce, e gli avevo spiegato qual era il mondo mio di riferimento, quello che avrei adorato sentire sia dal punto di vista del suono che degli arrangiamenti. Addirittura, parlando con Gianni, lui spingeva quasi più di me ad andare nella direzione dell’essenzialità, della scarnificazione, perché lui sapeva che queste canzoni stanno in piedi anche da sole. Quindi non avevano bisogno di arrangiamenti fastosi, di sezioni d’archi, è un disco che si potrebbe anche pensare arrangiato in un altro modo, penso a certi dischi con forti componenti orchestrali che amo, ma è stato un chiaro intento sin dall’inizio ho voluto mantenere questa intimità del songwriting originario. Poi da lì in avanti abbiamo semplicemente suonato insieme in studio, alcune take sono anche proprio riprese insieme, quindi ancora grazie ai musicisti per aver creato questo risultato insieme, e dunque gli arrangiamenti sono l’esito di un lavoro comunitario.
Il 2 luglio ti esibirai live a Bergamo, la città più colpita dalla pandemia. Che spettacolo hai in mente?
Sarà un’emozione tornare sul palco, lo sarà anche per la sensazione che finalmente questa situazione sta finendo, noi musicisti abbiamo passato il tempo a confabulare tra noi sul sentimento della paura, “quando ci lasceranno suonare?” Finalmente accadrà, siamo riusciti a passare un momento senza certezze. E sarà un’emozione decuplicata dall’essere a Bergamo, in un luogo che nell’immaginario degli italiani è diventata una città martire. Non suonerò tutto il disco, sarà una chiacchierata con un interlocutore, mischiata a pezzi scelti dal disco che penso più comunicativi, per me sarà un modo per prendere dimestichezza con pezzi nuovi che non ho mai suonato dal vivo, che nessuno ancora conosce.
Com’è stato suonare con una squadra musicale diversa dai Marlene?
Nessun senso di distacco, perché ho fatto un disco con un’atmosfera diversa dalla musica dei Marlene, se avessi voluto fare qualcosa di simile avrei solo rimpianto di non essere con loro a quel punto. Io desideravo fare un disco che impedisse alla gente di dire “beh, poteva farlo coi Marlene”. Poi ho suonato con persone che conosco, Gianni Maroccolo lo conosco da 25 anni, lui ha fatto anche dei tour con noi, ci intendiamo a meraviglia. Simone e Luca fanno parte degli Ustmamò, e sono ottimi musicisti con cui ho condiviso la scena degli anni ’90. Non avevo mai suonato con loro, e la curiosità era tantissima. La loro sensibilità e il loro acume musicale sono state cose che mi hanno messo a mio agio fin dalle prime battute, e ho capito subito che con loro il disco sarebbe andato nella direzione giusta.
Questo pensi che sia un album da leggere oltre che da ascoltare?
Io penso che anche gli album dei Marlene Kuntz andrebbero letti. Io scrivo un certo tipo di testi che non sono per tutti, non lo dico con il sussiego di voler essere elitario perché non lo sono. Io vorrei che i nostri pezzi fossero graditi dal mondo intero, mi rendo conto però che i miei testi vanno letti se si vogliono comprendere: sono intensi e hanno pathos, io gioco e ammicco con le parole, faccio riferimenti ipertestuali, utilizzo degli intendimenti meta-letterari che rischiano di non venir compresi nel loro intento artistico se non vengono letti con attenzione. I testi di questo mio disco sono forse più immediati rispetto a quelli dei Marlene, ma se li si legge appagano indubbiamente di più.
Articolo di Francesca Cecconi