È finalmente in uscita oggi “Drastic Symphonies”, l’atteso nuovo lavoro dei Def Leppard, un album particolare, che include tracce originali dai master mixate con nuove incisioni eseguite dalla Royal Philarmonic Orchestra di Londra, insieme a nuove parti vocali e chitarristiche aggiunte (la nostra recensione). Un lavoro molto complesso, articolato, pensato, riflettuto, fatto di incastri, prove, decostruzioni, nuove forme, partorito da una delle più grandi band del firmamento rock. È un’emozione per me, non lo nego, poter intervistare il loro frontman, Joe Elliott. Sono, per utilizzare le sue stesse parole, one of those kids from the eighties, ovvero una delle fortunate persone che, all’epoca ragazzina, si è vista il tour di “Pyromania” arrivare in città, ed è stato un concerto ancora vividamente impresso nella memoria dei rocker fiorentini. We rocked until we dropped, letteralmente.
Joe, qual è stata la tua reazione quando hai sentito per la prima volta la Royal Philarmonic Orchestra suonare le vostre canzoni?
Emozioni forti, e per essere onesto non me le aspettavo proprio mentre nasceva l’idea di fare un album così, un anno fa. È successo esattamente mentre stava per uscire “Diamond Star Halos” (la nostra recensione), siamo andati negli Abbey Road Studios, dove l’Orchestra registrava, e tutti abbiamo pensato che fosse una cosa grandiosa! La storia è iniziata però prima, nel 2020 quando la pandemia ci ha fermato, impedito di suonare live, dandoci l’opportunità, direi bizzarra per noi, di preparare un album in studio in modalità a distanza, eravamo tutti chiusi ognuno a casa propria; quando “Diamond Star Halos” è stato finito, la pandemia era ancora lì, e noi non volevamo rilasciarlo in un momento come quello. In questo nuovo momento di stallo ci è stato suggerito di lavorare a qualcosa di diverso per noi, di preparare un album per l’anno successivo, di provare a interfacciarci con la Royal Philarmonic Orchestra, che aveva, negli anni, già lavorato a tanti album rock di artisti immensi. L’idea ci ha entusiasmato subito! Però abbiamo subito deciso che avremmo portato avanti il progetto soltanto con il nostro pieno controllo. Non volevamo assolutamente che qualcuno mettesse un po’ di archi sul un nostro greatest hits, e pretendere che fosse un nuovo album dei Def Leppard.
La prima cosa che abbiamo fatto è stata importare tutte le tracce dal nastro nel formato digitale, ovvero nel formato utilizzato ora per registrare; abbiamo poi fatto dei demo, simulando l’orchestra utilizzando Pro Tools. Questo ci ha permesso di “provare” come un’orchestra avrebbe interagito con i nostri pezzi, e fatto capire quali non avrebbero funzionato, su quali sarebbero stati necessari dei cambiamenti, o nuove parti vocali, o addirittura cambiare tutto per ottenere ciò che volevamo. Una volta messo tutto a punto, fatto la nostra scelta, quando eravamo a Londra per promuovere “Diamond Star Halos” abbiamo fissato uno studio in Abbey Road per registrare le partiture dell’orchestra, e abbiamo passato due giorni a guardarla mentre eseguiva le 16 canzoni che avevamo scelto per l’album. È stato un momento indescrivibile, stavamo sulla terrazza che si affaccia sulla sala di incisione, e gli sguardi complici che ci scambiavamo con i musicisti erano evidenza che tutti eravamo consapevoli che funzionava! Penso che i musicisti quando sono arrivati si aspettavano la solita routine, in fondo sono abituati a sedersi, leggere gli spartiti ed eseguire, senza metterci particolare attenzione, per loro è un lavoro come un altro. Ma stavolta è stato un viaggio musicale completamente diverso, sia per noi che per loro, che di solito suonano musica di artisti morti da almeno 200 anni, e invece noi eravamo lì con loro in sala, alive & kicking, filmando ciò che facevano.
La track list di “Drastic Symphonies” comprende vostri brani ben conosciuti ma anche gemme nascoste della vostra discografia. Ci dici qualcosa di più di questa scelta finale?
Abbiamo ascoltato i nostri cuori per scegliere le canzoni della track list. Abbiamo scorso la lista delle nostre canzoni, e già a un primo sguardo abbiamo capito quali non avrebbero funzionato. Ovviamente era chiaro che la casa discografica ci avrebbe richiesto alcuni dei nostri hits, ma non volevamo che il disco vendesse per la lista della canzoni sul retro della copertina, quindi abbiamo selezionato davvero solo ciò che aveva un senso compiuto, che poteva prendere la forma desiderata. Per esempio sarebbe stato banale includere “Two Steps Behind” che già aveva un’orchestra nella versione originale. Per spiegarti il lungo lavoro su ciascuna delle canzoni scelte, per esempio in “Too Late for Love” abbiamo dato le tracce in STEMS a Eric, che ha separato individualmente ciascuno strumento, così da poter rimuovere batteria, basso, cori, e sostituire la chitarra con il violoncello. Suonava coma una sigla di un Tv show, tipo “Penny Dreadful” (ride), e quando abbiamo abbinato la mia voce al brano al violoncello, suonava sbagliata. Allora ho preso questo laptop e questo microfono dal quale ti parlo, mi sono seduto nella mia camera, e l’ho ricantata con una voce più delicata. Esperienza strana, il me di 62 anni che cantava insieme al me di 22, fuck to be quite honest, but a good one, you know.
Abbiamo provato a ri-arrangiare “Photograph” e “Rock of Ages”, ma davvero niente da fare. Nel caso di “Pour Some Sugar on Me”, la versione sinfonica iniziale sembrava una marcetta militare, ridicola, e noi volevamo fare un album glorioso e drammatico, come lo è la musica classica. Allora abbiamo cambiato totalmente arrangiamento, ispirandoci alla versione che ne aveva fatta al piano Emm Gryner, l’aveva trasformata in una ballata alla Nina Simone, e quando l’avevamo sentita ce ne eravamo tutti innamorati.
C’è connessione tra la musica classica e il Rock?
Beh, niente di nuovo. Siamo tutti consapevoli che noi non stiamo esplorando nuovi territori; recentemente ci sono stati album sinfonici dei Metallica, i KISS hanno fatto uno show così in Australia, i Deep Purple l’hanno fatto nel 1968. Ma per noi è stata una cosa nuova, diversa, sai, musica sinfonica con Rock funzionano insieme ma non sempre, dipende dalle partiture, non basta semplicemente mettere archi su un qualsiasi brano, a volte la combinazione suona fantastica, altre volte stupida. Questo spiega la scelta della track list dell’album; non è un greatest hits dei nostri brani più noti, volevamo che non fosse un’accozzaglia di vecchi brani ri-arrangiati con gli archi. Come ho detto, abbiamo provato e riprovato con demo, grazie a Eric Gorfain che si è occupato delle programmazioni su Pro Tools potevamo già immaginare il risultato con la vera orchestra; lui è un arrangiatore incredibile, viene da un altro pianeta, ha iniziato il suo percorso musicale da rocker per poi passare alla musica classica, quindi era perfetto per noi, ha immaginato glia arrangiamenti esattamente come noi li desideravamo.
Al momento comunque il nostro spettacolo live resta rock e non prevede tour promozionali di questo lavoro, il world tour prevede solo concerti rock nel nostro stile; chissà, un giorno faremo forse qualcosa con l’orchestra anche dal vivo, forse una serie di eventi stabili a Las Vegas, forse una paio di date alla Royal Albert Hall a Londra, o all’Hollywood Bowl a Los Angeles, magari in qualche teatro storicamente famoso per la musica classica, e forse registreremo un DVD, ma al momento non abbiamo pianificato davvero.
Il nuovo World Tour farà tappa anche in Italia, al Milano Summer Festival, il 20 giugno. Ci saranno in scaletta anche brani da “Diamond Star Halos”?
Si, saremo da voi con il tour insieme ai Mötley Crüe co-headliner, e ci aspettiamo di suonare, come ovunque, davanti a un pubblico di età mista, vecchi fan, nuovi fan, genitori con figli, tutti insieme. Il tour è lavoro per noi, vediamo soltanto venues, alberghi, mezzi di viaggio, al massimo uno Starbucks, ma fortunatamente ogni tanto riusciamo ad avere qualche giorno di pausa qua e là per visitare le città d’arte, da normali turisti. Ma quello che veramente conta per noi è fare uno spettacolo fantastico.
La dimensione live oggi è ancora più importante per avvicinare le persone tra loro, che altrimenti se ne stanno chiuse nella loro stanzetta comunicando tramite l’invio di file. Quando eravamo ragazzi noi si compravano i dischi, ci si scambiavamo, si andava a casa degli amici per ascoltarli insieme, e questo adesso non esiste più, ognuno fa le sue cose in solitudine. A un concerto la dimensione torna collettiva, reale, le persone si strusciano, stanno attaccate, sudano, cantano insieme.
Ci saranno assolutamente in scaletta brani da “Diamond Star Halos”; se questo tour si fosse svolto nel 2020, come in origine programmato, non ci sarebbero stati brani nuovi, quindi abbiamo girato una situazione negativa in una positiva, ora con il tour possiamo anche promuovere il nuovo album e mostrare una band più fresca che mai. Non un legacy tour quindi, anzi. Ma non potranno mancare i brani che tutti i fan si aspettano, perché il concerto è intrattenimento, non vogliamo annoiare suonando per intero “Diamond”, altrimenti la gente va al bar o a comprarsi una maglietta…
Vi sareste aspettati quarant’anni fa di raggiungere questo successo e di mantenerlo così a lungo?
La nostra carriera musicale dimostra che se hai ambizione puoi raggiungere il successo. Se non compri un biglietto non puoi vincere alla lotteria; noi abbiamo comprato quel biglietto, e siamo stati tra i più grandi di tutti, nel 1988 sicuramente lo eravamo, ma è stata comunque dura, e sapevamo che non sarebbe durata per sempre. Abbiamo attraversato momenti difficili, ci siamo separati, ma poi siamo riusciti a restare insieme nonostante gli eventi drammatici. Rick ha perso un braccio, Steve ha perso la vita, Vivian ha avuto il cancro, dal quale sta guarendo, io ho perso la voce. Le cose accadono nella vita quando passi 46 anni insieme, e noi abbiamo avuto più momenti buoni che cattivi, abbiamo passato davvero momenti bellissimi.
La vita è un continuo viaggio, e non puoi sempre trovare il sole, anzi spesso il tempo che ti accompagna in questo viaggio è freddo e ventoso. Stessa cose succede nell’industria musicale, ma noi abbiamo uno spirito di cameratismo, ci vogliamo bene, ci rispettiamo. Suoniamo, ridiamo, scherziamo, facciamo concerti con le nostre canzoni per condividerle con il nostro pubblico, e spero che questo continui a lungo. È ciò che abbiamo sempre voluto, e per averlo devi averlo desiderato fortemente. Ora abbiamo le nostre famiglie, e la vita viene prima della musica, sembrerà strano sentirmi dire questa cosa, ma è così, e così deve essere. La vita è più importante di qualsiasi cosa.
Articolo di Francesca Cecconi