Il 17 novembre è uscito “Un passato da uomo” il nuovo brano del poliedrico artista Eugenio Ripepi, cantautore, attore, regista, scrittore, direttore artistico, insegnante. Una canzone impegnata, che rivela la conoscenza della realtà giovanile. Raggiungiamo Ripepi al telefono per conoscere meglio questo suo nuovo lavoro.
Senti Eugenio, tra l’altro prima di iniziare l’intervista vera e propria ho visto che insegni in un liceo di Imperia, giusto?
Al liceo artistico sì, insegno discipline audiovisive e multimediali.
Sai che uno dei nostri redattore pure è professore a Imperia? Marco Oreggia, bassista dei Roommates, lo conosci?
Ma scherzi? Siamo amici, ma amici, amici, amici. Allora, ti dico questa cosa, Imperia è un posto talmente piccolo, è quasi impossibile non conoscersi tra musicisti!
Però tu più che d’Imperia, sei un po’ un cittadino del mondo, no?
Ormai sono qui da una ventina d’anni, meta di un viaggio che parte da Reggio Calabria e attraversa molte città …
Dopo quello che mi hai appena detto di che cosa insegni al liceo, vorrei subito sapere del tuo essere un artista molto più completo che il solo musicista: riesci a spaziare su tanti fronti dell’arte e dell’espressione artistica, tra i quali la scrittura. Dove è nato il seme di ciascuna di queste tue espressioni artistiche, come le integri tra loro, ci sono momenti in cui è una più forte dell’altra?
Ti ringrazio molto della domanda; ti direi che è preponderante la scrittura. Sì, è così, è preponderante la scrittura, anche come “fattura di testi”, quindi io sono un “testificatore” prima di tutto; le prime canzoni che ho scritto erano dei testi su cui ho messo la musica, perché io non sono un musicista colto, sono un autodidatta. Inizialmente, quando ancora ero completamente inesperto dell’aspetto musicale, avevo già dei testi che avevo scritto e pubblicato; un paio d’anni prima di iniziare a fare canzoni, quando ero adolescente, avevo composto componimenti poetici in rima, quindi è stato abbastanza facile il salto dal componimento poetico di rima, che ha già una musicalità interna, alla canzone vera e propria.
Il rapporto tra poesia e musica è sempre stato complesso, ma in questo nuovo panorama musicale e discografico, in cui non esiste un prodotto disco, perché è diventato un bene sostanzialmente gratuito che non pretende un impegno produttivo, è fortemente necessario un impegno per la ricerca all’interno della forma canzone, di una forma testuale che possa essere anche una forma di ricerca, se vuoi. C’è sempre meno questo tra i cantautori, con ottime eccezioni, chiaramente, ma non è la tendenza. C’è stato un lungo periodo, dopo gli anni ‘60/ ‘70, e in parte gli anni ‘80, in cui chi non dava una sorta di espressione impegnata alla forma canzone, era quasi recluso, e ora forse c’è un po’ una nostalgia, rispetto a quel tipo preponderante di contenuto letterario, di vera prova musicale, che oggi è veramente desueto. Però sì, quindi per me al centro è sempre il testo, espressione sintetica nella forma canzone. Musica e scrittura sono un unicum: possono essere due forme d’arte e di espressione artistica separate ma lo possono essere anche inscindibili una dall’altra.
Inoltre io continuo a pubblicare libri. Diciamo che la scrittura è qualcosa che mi interessa primariamente, che si sente poi nella forma canzone, dove cerco di coniugare l’aspetto musicale con le parole, dandogli forma e struttura. Da quando ho preso più di confidenza con la musica, la canzone è diventata testo e musica insieme, l’ispirazione è stata di una musica che veniva riempita da un testo e viceversa di un’idea che andava insieme con la musica e non c’è stato mai più una separazione così netta, ma sostanzialmente il nucleo della scrittura è fondamentale per me. La scrittura è preponderante anche perché io mi sono formato come attore di prosa al Teatro Stabile del Veneto e ho fatto questa carriera, la sto ancora facendo. Parlavamo di libri, e sono felice di aver da poco scoperto che l’Università di Verona in un corso ha adottato il mio libro che ho scritto sul teatro e la canzone per le persone di teatro. E questo è una sorta di prima trattazione organica dell’argomento, erano i miei studi nel dottorato quando ho cominciato a lavorare per l’Università di Genova e all’epoca qualcuno diceva che non doveva essere un tema accademico il teatro/canzone perché era troppo vicino a noi e perché non aveva dignità… Essere addirittura studiato in un corso universitario è una cosa che mi inorgoglisce!
Passando invece al tuo aspetto artistico più visuale, quanto di questo poi ti fa avere il controllo sulla direzione artistica della tua musica?
Io ho fatto il Dams a Genova, era un’università molto buona, il presidente di facoltà, di cui sono diventato assistente durante il dottorato, teneva lui gli esami di storia del teatro, ho avuto come docente di regia Dario Argento, e c’era Gino Paoli che insegnava canzone autore, poi ho seguito il corso di spettacolo e tecnologie multimediali, un percorso complessivo che mi ha formato veramente da tutti i punti di vista, anche umano. Mentre studiavo storia del teatro in realtà andavo definendo un altro aspetto della disciplina, quello visuale, che mi ha portato poi per concorso ad avere una cattedra in un liceo artistico a insegnare ai ragazzi che scelgono il percorso multimediale, e sono tutti molto attenti, sono delle piccole truppe a livello operativo, a cui si insegnano le discipline teoriche anche, ma realizziamo veramente dei prodotti audiovisivi ed è un insegnamento straordinario, è molto pratico.
Io ho scritto il soggetto e la sceneggiatura del mio ultimo videoclip “Un passato da uomo”, ho scelto il regista perché l’avevo visto lavorare con dei bambini, fare un film straordinario che è stato portato in vari festival e quindi ho deciso di farne uno spin-off. Pensarla già in video, la musica, mi piace molto, infatti di ogni singolo io sinceramente penso già al video mentre compongo, e ne ho girati veramente tanti, vi invito ad andare a vedere il mio canale YouTube, dove insomma ci sono diversi video che ho fatto, soprattutto di quest’ultimo singolo, a cui tengo veramente molto.
Quindi mi sembra che ti resti difficile pensare per compartimenti stagni, cioè testo, musica e video, ti prendono forma un po’ tutto insieme?
Esatto, non c’è una separazione per me. Adesso pensando al prossimo singolo, penso insieme a come si può sviluppare una storia con questo video, non a tavolino, cioè mi viene veramente in mente l’aspetto visuale, come dici tu e sono felice della tua domanda, che tu abbia accolto questo aspetto, perché è infrequente che altri possano capire questo tipo di mia declinazione, effettivamente riflettendoci con te grazie al tuo spunto, mi rendo conto che rifletto anche visivamente sull’immagine della canzone, e credo che questa sia una cosa comunque non usuale …
Vorrei farti un’ulteriore domanda su questo aspetto del visuale. Ora la musica è digitale: tu che cosa ne pensi della perdita dell’aspetto fisico della musica, e non ti chiedo in quanto prodotto fisico da vendere, non voglio andare su questo argomento quanto su l’aspetto della copertina, cioè l’art cover: la parte artistica della copertina di un prodotto musicale che si è un po’ persa, no?
Io vorrei far uscire il vinile del mio album in preparazione, non soltanto per una questione che riguarda il formato, la nostalgia, ma anche per l’aspetto visuale. Hai tanta ragione, io mi ricordo ancora una copertina degli U2 che era un’opera d’arte, e questo aspetto io lo ritengo fondamentale. Paradossalmente può tornare oggi, anche se dal punto di vista produttivo si rivolge di più agli appassionati, mentre prima poteva entrare nelle case in maniera più invadente; già il passaggio dai vinili ai cd, con immagini più piccole, ha reso le copertine meno interessanti. Io mi ricordo ancora le copertine dei 45 giri delle sigle dei cartoni animati che avevo da piccolo… Mentre con le playlist Spotify che ricordo ti resta?
Quindi senza tornare all’aspetto produttivo, e senza parlare di nuovo ancora dell’aspetto testuale, chiaramente questi prodotti fisici dovevano avere, dal punto di vista visuale, qualcosa che li accompagnasse, era una gara a chi voleva fare un’opera d’arte visiva più bella, come copertina, e questo manca, e quel poco che continua a esserci non è più rivolto a tutti, magari è solo per una nicchia, ma si può provare a riproporlo come un qualcosa di necessario. È una questione politica ma non di parte, una determinazione italiana della definizione di arte come intrattenimento puro e basta. Il cambio di paradigma nel definire cosa è cultura porterebbe all’interno della musica un cambio radicale di prospettive.
Stai preparando un album, intanto stanno uscendo dei singoli che lo anticipano …
Siamo in studio a provare e registrare con un gruppo di amici con cui creiamo insieme, partendo dalle mie idee musicali, che sono musica e testi, ma che sono anche degli indirizzi, che poi loro devono cercare di realizzare insieme a me, quindi, ovviamente li studiamo insieme, il divertimento è proprio la costruzione di una canzone, no? Facciamo uscire via via dei singoli pronti, fino a che non sarà pronto tutto l’album, e dopo potremo far uscire altri singoli dall’album, che non ha ancora una data certa di uscita, mettiamo sempre nuova carne a fuoco, sempre nuove idee, a cui poi a un certo punto bisognerà dire basta, teniamolo così, perché altrimenti, ogni volta aggiungeremo qualcosa di nuovo; mi ricordo Roberto Danè che diceva a Fabrizio De Andrè adesso tiri fuori il disco, sono nove anni che non esci, fallo uscire perché altrimenti continueremmo lì per un altro anno e sarà un disco completamente diverso. Ecco, anche noi dobbiamo metterci in questa ottica, perché dobbiamo uscire dal nostro divertimento, chiudere e poi, piuttosto, cominciare un altro lavoro, quindi auguratamente, in questo nuovo anno del 2024, uscirà, direi, al principio dell’autunno.
Perfetto, allora anche una domanda sul singolo, uscito il 17 novembre, è “Un passato da uomo”. Mi ha molto incuriosito la presentazione che ne è stata fatta, perché dice, un ritorno all’impegno sociale dopo la parentesi spensierata punk rock di “Paura di Vivere”. “Paura di Vivere” non è un brano del tutto spensierato e il Punk Rock, di solito, non è spensierato. Quindi, che cosa vuol dire questo?
Allora, guarda, il nostro Punk Rock, per mia scelta, è un po’ allegro, dinamico, elettrico. “Un passato da uomo” è più una ballata, che inizia con dei toni acustici, non sono cupi ma sono più intimi, introspettivi. Ci terrei molto che chi ascolta la canzone vedesse anche il video; il pezzo può essere ascoltato anche senza il video d’appoggio, perché di per sé racconta anche senza un’immagine esplicativa, come puoi intuire, però tengo molto a questo video, perché questo pezzo, sì, è un ritorno all’impegno civile per la tematica del racconto, rispetto al tema più spensierato di “Paura di Vivere”.
Che ne pensi del cantautorato italiano in questo momento? Sta bene secondo te?
No, sta molto male. Bisognerebbe incominciare a raccontare un po’ più le storie dei ragazzi, avere meno snobismo e avere anche un pochino di voglia di staccarsi al passato, di cercare nuove forme, perché se mi devo ascoltare una replica, un cantautore che è già esistito, vissuto, mi ascolto l’originale. Quindi il cantautorato italiano in questo momento sta davvero male. Eppure ci sono bellissimi esponenti, Max Manfredi è uno su tutti, ha scritto “Il Regno delle Fate” che è un capolavoro, ma non è troppo conosciuto. C’è una grossa responsabilità da parte delle radio, che non si occupano più di diffondere il bello, la cultura musicale e la cultura in generale.
Ti devo fare la domandaccia cattiva che faccio agli artisti quando riesco a fare una conversazione così amichevole e aperta. Quali sono i tuoi tre dischi della vita?
Noooo! Come faccio? Devo rispondere senza pensarci troppo… “Joshua Tree” degli U2, “American Idiot” dei Green Day, e “Anime salve” di Fabrizio De André. Penso che la musica del cuore di ognuno di noi sia legata a particolari momenti della propria vita, si tratta di dire che cosa è significativo per noi, non che cosa è necessario, no?
Quando intervisto i musicisti, molti mi dicono il disco che mi ha cambiato la vita, quando l’ho sentito avevo 12 anni, è “Grace” di Jeff Buckley. Io concordo che “Grace” sia uno dei dischi più belli della discografia contemporanea, ma dubito che a 12 anni possa cambiare la vita, è più facile che te la cambino i Green Day … Perché c’è un tempo per tutto, no?
È difficile capire “Grace” a 12 anni, no, non si può capire…
Articolo di Francesca Cecconi
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