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Ferretti e Zamboni a “Il Rumore del lutto”

I due sono fra gli artisti più importanti che la musica italiana ha avuto nella parte finale del secolo scorso

La XVI° edizione del Festival parmense “Il Rumore del lutto”, intitolata quest’anno “Curami”, ha ospitato il secondo storico incontro, dopo quello di Roma in estate, fra Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni. Spero non serva far premesse, ma dato che ci siamo, tanto vale fare un sunto veloce. I due sono fra gli artisti più importanti che la musica italiana ha avuto nella parte finale del secolo scorso. Gli anni ’80 con i CCCP, e i ’90 con i C.S.I, hanno visto il duo Ferretti – Zamboni stravolgere, e cambiare per sempre, la musica italiana. Poi, sul finire degli anni ’90, i due si separano. Un’esplosione nucleare, e non solo per i danni provocati sui fans, ma anche per le macerie che sono rimaste sul terreno. Si rompeva un sodalizio magico, che aveva prodotto musica eccellente, performances uniche e, non ultimo, gruppi ed esperienze musicali che hanno rinnovato il panorama musicale del Bel Paese. Da quel momento partono due strade separate, quella cioè di Ferretti, e quella di Zamboni, che non si incroceranno più. Da quello che si sa, né da un punto di visto artistico, ne umano. Un vuoto colmato solo grazie a buoni (in alcuni casi anche ottimi) progetti da solisti, gruppi di varia natura, libri e, in tempi recenti, documentari e trasmissioni televisive.

Poi, all’improvviso, a Roma il 5 luglio 2022, i due tornano insieme su un palco. L’occasione è la nuova edizione dell’introvabile “Libretto Rozzo dei CCCP” (la nostra recensione). Da quel momento voci e rumors si susseguono. Anche se in modo impreciso, rispetto a quanto vogliono e impongono i biografi ufficiali, quello che si sa è che i due si sono riavvicinati un poco. Di sicuro stanno parlando. Si viene a sapere che si sono ritrovati, anche con gli altri CCCP, per un documentario legato alla trasferta in Russia negli anni ’80. Poi, sempre all’improvviso, esce sui social una locandina che annuncia che i due saranno ancora insieme, su un palco, a Parma, il 24 ottobre, in occasione del Festival dedicato, recita l’opuscolo ufficiale, alla Cultura in Death Education. Il biglietto costava 20 euro, come un concerto, ma di musica non ce ne è stata, e in pochissimo tempo sono andati a ruba. Quindi, questo è il racconto di un non-concerto di reunion che, spoilerando un poco, e citando le parole dello stesso Lindo Ferretti, ha di fatto svegliato una cellula dormiente. Cosa succederà ora si vedrà… Capite che è lecito sognare? Staremo a vedere cosa ci regalerà il 2023…

Chi scrive è rimasto dalle 15.53 fino alle 20.38 in piedi, davanti al cinema che ospitava l’evento. Nonostante sia arrivato prima che aprissero le serrande, e sia stato il primo a ritirare il biglietto, sono riuscito ad entrare dopo 10 persone e a finire in quarta fila. Poco male dai, pur se un poco più avanti avrei voluto stare. Sta di fatto che l’ultima volta che ho fatto un’attesa del genera era il “Rock sotto l’assedio” di Vasco nel 1995, a San Siro. Poco male. L’occasione comunque lo meritava.

I due entrano in scena puntuali. Ferretti è Ferretti. Sarà un montanaro, come ormai si definisce, ma sa ancora stare su un palco, e la sua presenza riempie. Zamboni è più timido. Lo dirà nel corso della serata. Quando ci siamo divisi ho dovuto parlare, far sentire la mia voce. Prima c’era Giovanni. E ora, dopo vent’anni, Giovanni c’è. C’è anche Massimo. Soprattutto ci sono Ferretti e Zamboni. Ed è come dire che c’erano Stanlio e Ollio. Marx ed Engels. Piero e Ghigo. Deleuze e Guattari. Paul e John. Capite? I due sono senza dubbio singolarità meravigliose, due artisti capaci di regalare ottime cose anche da solisti (cosa non sempre facile), ma ciò che conta è sempre stato il loro essere due, essere coppia. Questa potenza si vede, si sente e si percepisce. Il ritmo della conversazione è brillante.

Sia chiaro. Non hanno parlato di nulla che non si sapesse già. Non hanno rivelato nulla di più di quello che, in libri, interviste e video, già si conosceva. Tuttavia, che bello sentirselo dire da loro due. E vedere, nel contempo, come il ritmo del raccontare non fosse forzato, posticcio, e dettato dalla circostanza. I due si sono davvero divertiti e, allo stesso tempo, si stavano davvero parlando. Dunque, non solo parlavano con il pubblico. Ferretti e Zamboni si sono parlati anche fra di loro. Hanno ritrovato il ritmo. O meglio, stanno ritrovando il ritmo.

E così Ferretti parla, parla, parla, ed è un fiume in piena. Ha dell’incredibile, davvero. Zamboni si fa da parte, ma non per riverenza. Si capisce che quello che l’amico racconta è la loro storia, e riguarda tutti e due. Non necessita di due voci, ne basta una sola. Perché è quella di un due, di una diade che ha fatto sognare, per vent’anni, fan che sono in sala, e che pendono dalle loro labbra. C’è il classico religioso silenzio, cosa che capita raramente ormai; e anche quando uno finisce di parlare si stenta ad applaudire. Quasi a non voler portare via tempo a una coppia che si attende, su quel palco, da troppo tempo.

E così, con il ritmo dettato dal biografo Michele Rossi, molto attento e con costruzioni ricche di dettagli, la serata è un riassunto, in diretta, di quanto fatto da CCCP prima, e dai C.S.I. poi, con un accenno, nel finale, ai due primi album da solisti. Da Berlino, dove tutto è iniziato, come raccontato più volte nei libri di Zamboni, a Reggio Emilia (e qui vi consiglio, fra gli altri, di recuperare i libri “Io e i CCCP” di Umberto Negri, e “Fellegara dove sono nati i CCCP Fedeli alla linea”) per passare alla Russia, dove tutto finisce la prima volta. Poi, Prato, dove si riparte come nucleo dei C.S.I., fino a Monstar, alla Mongolia e, ancora una volta, a Berlino, dove questa volta, però, tutto finisce. Ferretti e Zamboni si dividono. Questo è successo. Io volevo tornare a casa. Spiega Ferretti. Come tutte le storie. C’è un inizio, e c’è una fine. Ricorda Zamboni.

I due non si soffermano, ed è giusto così, sulla scissione. Bene. I perché sono motivi di varia natura, senza dubbio. Le vite e le carriere dei due, come degli altri, dopo quella rottura, credo siano la garanzia di quanto Ferretti e Zamboni vanno dicendo. Nessuno è finito a fare il giudice ad X-Factor; nessuno è finito tronista; nessuno è finito a dirigere orchestre a Sanremo; nessuno si è messo a fare il verso al gruppo che non c’era più, dando vita di fatto a una cover band. No. Tutto questo non c’è stato. Tutti, come Ferretti e Zamboni, hanno proseguito a fare musica, partendo da strade nuove e da consapevolezze. Eravamo diventati grandi. Avevamo cominciato tardi rispetto agli altri. Era ora di diventare adulti e tornare a casa, concordano i due.

Una cosa è certa, dopo aver assistito a questo incontro. Se qualcosa si dovesse (ri)mettere in moto, sarà solo CCCP. Quando Ferretti, infatti, pronuncia la frase con la quale si apre questo racconto, e cioè è come se ci fosse una cellula dormiente che ora si è risvegliata. Vedremo cosa succede, lo dice in relazione all’incontro fra i 4 CCCP, e cioè lui, Zamboni, Fatur e Annarella. Aggiunge anche che ho riascoltato alcune cose e sono davvero belle. EEEP, poi, è davvero un grande album, bello. Si tratta dell’ultimo capitolo dei CCCP, e cioè Epica Etica Etnica Pathos. Tutte le domande del moderatore, poi, sono attorno a quella storia. I C.S.I. vengono liquidati in una sola questione, come se fossero un corollario. Ferretti e Zamboni, se la diade dovesse riformarsi, (ri)partiranno dal loro inizio. Ma nulla di più, nel corso della serata, vien detto e, soprattutto, viene lasciato intendere o trasparire. C’è solo quella frase. E stop. Poi ci sono molti reduci in sala, concetto caro a Ferretti (che ci ha pure scritto un libro), vestiti di nero, invecchiati, come i due d’altronde. Il tempo è passato per tutti, già.

Il finale è comunque un poco amaro. Zamboni veste di nero, come gran parte del pubblico. Ferretti da guardiacaccia con gli anfibi da punk. I due sono i reduci di un’esplosione nucleare che ha separato un atomo, formato da due elementi. Le forze e l’energia che tenevano insieme questa diade erano potenti. L’esplosione non poteva che essere disastrosa. Per certi versi “Montesole” lo certifica. Album magnifico (davvero!), ma senza chitarre. Un colpo al cuore. Poi ci sono le schegge, i cocci. I lavori da solisti. Per quanto “Co.Dex” (Ferretti), e “Sorella sconfitta” (Zamboni), siano ottimi album, a detta anche degli stessi autori, sono lavori della mancanza. Di ognuno dei due all’altro. Poi anni, lustri, e due decenni completi da reduci, in cerca dei cocci e di sentieri, da bravi montanari, per trovarsi o ritrovarsi. Non in modo voluto, è chiaro. Non viene nascosto. Ma appena l’occasione si presenta, nessuno dei due la vuol perdere. Si cade in tentazione.

Questo è quanto è stato davvero affascinante della serata di Parma. Vedere due singolarità che si ritrovano, e subito risuonano. Certo, si vede e si percepisce che c’è ancora da fare. C’è della strada da ripercorrere insieme. Ma c’è passione. Voglia. Sorrisi. Qualcosa accadrà, e qualunque cosa sia, il loro pubblico non mancherà. Perché loro due, Ferretti e Zamboni, si sono mancati. Sono mancati. A tutti. A tutte. Per troppo tempo. C’è stato un risveglio. Ora dobbiamo gestirlo. I due ne sono consapevoli…

Una sola nota conclusiva. Mi verrebbe una battuta, e cioè “Emilia Paranoica”, citando una nota canzone dei Nostri due protagonisti. L’evento era tale, data l’attesa, da generare un poco di confusione, nonostante il tentativo di far funzionare tutto come si deve. Come testata giornalistica nazionale, inoltre, ci auguriamo che per future occasioni si possa collaborare e, allo stesso tempo, costruire un dialogo, utile a tutti, con gli organizzatori e i promotori di questo Festival.

Articolo di Luca Cremonesi

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