25/12/2024

Vinicio Capossela, Taneto di Gattatico (RE)

26/12/2024

Vinicio Capossela, Taneto di Gattatico (RE)

27/12/2024

Fast Animals And Slow Kids, Napoli

27/12/2024

Edoardo Bennato, Roma

27/12/2024

Quintorigo e John De Leo, Torino

28/12/2024

Fast Animals And Slow Kids, Molfetta (BA)

28/12/2024

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28/12/2024

PFM, Isernia

28/12/2024

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30/12/2024

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Flares on Film intervista

Incontriamo la band barese in occasione dell’uscita del loro terzo album

Flares on Film

I Flares on Film con “About Love, War and Electricity“ (qui la nostra recensione) sono già al terzo album. Qui il digitale e l’analogico si incontrano per creare atmosfere metropolitane intrise di forti sfumature oniriche per un effetto di totale avvolgimento sonoro e spirituale dell’ascoltatore. Un progetto creato per lasciare e lasciarsi andare che noi abbiamo approfondito con i suoi protagonisti.

Il vostro nuovo progetto si intitola “About Love, War and Electricity”, ma nessuna traccia ne è la title track. Come nasce il vostro lavoro e come mai avete scelto questo titolo?

Ho sempre trovato molto interessante un titolo che non fosse la solita title track. Un titolo che, in un certo modo, comprendesse tutti i brani dell’album e che ne raccogliesse l’idea di fondo. La title track diventa incredibilmente importante e secondo me crea enormi aspettative, deviando magari l’attenzione da altri brani dell’album altrettanto validi. Ecco, personalmente vorrei che chi ascoltasse questo disco, lo ascolti tutto, dall’inizio alla fine e magari anche seguendo l’ordine.

Questo album, diversamente dal precedente “Naive Songs”, nasce in cammino. Inizialmente, infatti, abbiamo pensato ad un mini-album di sole 4, 5 canzoni non necessariamente legate fra loro. In quel momento avevamo solo dei brani in forma di bozza, ma durante le prime registrazioni mi sono reso conto che c’era un qualcosa che le teneva insieme, un’idea di fondo. Sono brani di speranza e apertura che sembrano dire “comunque vada, andrà bene così”. Non faccio riferimento a un ostentato e ottuso ottimismo, ma a una forma di religione, di fede verso il futuro senso delle cose. L’importante è muoversi, non fermarsi, anche durante le fasi più difficili delle nostre vite. Il perché di quello che accade forse lo capiremo dopo, il senso prende forma solo nel futuro.

Abbassare il controllo e lasciarsi andare, questo è vero concetto dell’album e il titolo avrebbe dovuto essere “Control”, ma era troppo univoco. In questo album ci sono varie voci, pezzi molto diversi fra loro che creano una sfaccettatura molto elevata e quindi l’univoco concetto di controllo mi sembrava riduttivo.  Per quanto riguarda l’amore, la guerra e l’elettricità è invece più ampio, più aperto e direi quasi più evocativo. Amore e guerra vanno di pari passo e si alternano nel terreno passionale. Chiaro, se dico guerra non penso a carri armati, soldati oppure a orribili faccende di quel tipo. Elettricità invece fa il verso alla loggia nera di Twin Peaks, come quella forza invisibile che tiene unite le cose e crea quella giusta tensione da tenerci vicini tra amore e guerra. In questo modo, come è giusto che sia, il concetto di base del controllo, rimane in sottofondo, invisibile e impercettibile, ma sempre presente.

I brani creano ambientazioni fortemente oniriche eppure nascono dalla realtà. Quanto del quotidiano entra nelle composizioni durante la stesura?

La realtà come piano oggettivo non esiste, la realtà è sempre interpretazione. Certo è più condivisibile e quindi ci sembra che sia uguale per tutti, ma non lo è. Il quotidiano entra ed esce nella vita di ognuno di noi. C’è un costante dialogo fra il dentro e il fuori, fra me e voi, noi e loro. Per mia naturale propensione, mi ritengo più vicino ad un modo espressionistico di fare arte, dal dentro al fuori.

In questo fuori fortemente soggettivo, il reale e l’onirico sono liberi di mischiarsi e confondersi tra loro. È una zona di confine dove avvengono le cose in entrambi i mondi: ciò che è reale diventa fantasia, ciò che è fantasia può diventare reale. Credo che, inesorabilmente, ogni produzione artistica nasca da un’interpretazione della realtà. L’artista è, come chiunque, un’antenna, capta segnali di quello che c’è intorno a sé in quel tempo. Diversamente dal non-artista, però, ha il vantaggio di poter trasformare quei segnali in una creazione. Non c’è distinzione fra realtà e sogno, sono tutt’uno, un flusso continuo.

La pandemia ha rappresentato un momento difficile per il settore, che comunque ha dimostrato di saper reagire con l’uscita di varie produzioni. Questa reazione, però ha incontrato non pochi ostacoli, tra cui la limitazione della mobilità: quanto hanno inciso questi ostacoli sulla stesura, e come?

La pandemia è una gran rottura, ma rimanendo nel tema dell’album, ha rotto i prevedibili schemi di realtà. Nessuno si poteva aspettare tutto questo. Per molti è stato terribile, per altri meno. Personalmente, prendo ciò che viene e cerco un modo di adattarmi per esserci. Le limitazioni sono state molto faticose per la produzione di questo album, abbiamo dovuto lavorare a distanza e di conseguenza abbiamo anche dovuto posticiparne l’uscita. Eravamo sempre in video chiamata, con gli strumenti in mano, con fogli di appunti.

In un certo senso è stato anche divertente, ma quando abbiamo cominciato a mixare i brani, ci siamo accorti dei limiti dello strumento. Il dialogo fra musicisti è fondamentale e le idee hanno bisogno di circolare e scambiarsi costantemente, soprattutto in un album come questo che racchiude tante teste diverse e tante sonorità apparentemente distanti. Tutto sommato, però, credo che ce l’abbiamo fatta e posso ritenermi soddisfatto. Ora il vero problema saranno i concerti, perché chiaramente quello è il settore che nella musica ne ha risentito di più.

Avete deciso di non utilizzare i vari canali streaming, ma di creare solo formati acquistabili come il CD e successivamente il vinile, posizionandovi controcorrente rispetto alle tendenze del panorama musicale attuale. Potreste spiegarci i motivi di questa scelta?

Tu la chiami controcorrente e così sembra, ma in realtà molte nuove produzioni si muovono in questa direzione. Certamente è un rischio, perché non si arriva a molti ascoltatori, ma noi puntiamo a un pubblico elettivo che consapevolmente ti cerca e magari ti sceglie.

Lo streaming e ciò che c’è dietro di per sé credo sia una buona idea, ma purtroppo fa sì che ognuno di noi diventi così tanto visibile che per assurdo tende a scomparire. Alla fine, assumi la consistenza dell’aria: invisibile e impalpabile, ce n’è dappertutto, ma non gli dai peso e valore. C’è tantissima musica in questo momento storico, musica decisamente valida, ma questo enorme flusso diventa eccessivo da assimilare visto il normale tempo di un’esistenza. Di conseguenza, nessuno sceglie per davvero. C’è un nuovo revival dei grandi classici. Come se ci fosse l’esigenza di fermarsi e ascoltare cose sicure e conosciute. Noi, come molti altri, abbiamo scelto di essere piccoli, ma consistenti.

Progetti per il futuro?

Questa è una domanda sempre terribile. Al momento posso solo dire che ho e abbiamo bisogno di fermarci ad ascoltare quello che abbiamo fatto e dedicarci ai live.Ci sono già dei brani e un nuovo concept per un album, ma voglio lasciarlo fermentare nella mia pancia, vorrei che venisse fuori come un’esplosione di creatività. Ora sedimenta in pace.

Articolo di Alma Marlia

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