In occasione del concerto al Circus Club di Scandicci (FI) il 10 gennaio 2020 abbiamo incontrato Gianni Leone, incredibile ed eclettico musicista, che ha portato il suo Balletto di Bronzo finalmente in Toscana. Una chiacchierata lunga, generosa e molto piacevole.
Ciao Gianni, stasera avremo il piacere di veder il Balletto di Bronzo in azione. Tu sei l’unico membro della formazione originale, vuoi dirci qualcosa in merito?
Ho riformato il Balletto di Bronzo nel 1995, dopo che mi sono accorto che intorno al gruppo, e in particolare nei confronti dell’album “YS”, si era formato un vero e proprio culto, soprattutto in Giappone. Ho rintracciato gli altri musicisti ma nessuno di loro era interessato, così ho proseguito da solo, audizionando bassisti e batteristi per tutta Roma; non ero alla ricerca di nomi famosi o altisonanti, volevo solo musicisti tecnicamente preparati e allo stesso tempo energici, per tenere il mio passo ci vuole gente giovane! Abbiamo attraversato vari cambi di organico, ma la formazione attuale ritengo sia la migliore dal 1995.
Dalla seconda metà degli anni ‘90 in poi abbiamo assistito ad una crescente rivalutazione della scena Rock-progressive, cosa ne pensi?
Personalmente non credo nelle “operazioni nostalgia”, preferisco essere giudicato per quello che faccio adesso, per come suonerò stasera e non quarant’anni fa… Se sei ancora in grado di suonare bene devi dimostrarlo. Ho accettato la sfida di suonare ancora come Balletto di Bronzo perché sapevo di poterla vincere, non per convenienze di moda o di recupero. Un nostro concerto include anche tanta musica che non è strettamente etichettabile come Prog-rock, genere dal quale ero già in fuga a metà anni ‘70, brani nuovi mai registrati in studio ma che suoniamo sempre dal vivo e che rendono l’idea di ciò che sono oggi. Naturalmente senza tradire l’intenzione originale, non stravolgerei mai un brano scritto nel 1973, per rispetto del pubblico che si aspetta “quella” versione.
Il pubblico stesso è diverso, ci sono molti giovani che erano bambini o forse neanche nati durante il periodo d’oro del Progressive
Esatto, molti ragazzi vengono da me a fine concerto per farsi autografare il CD e mi dicono “che fortuna avete avuto a vivere gli anni ‘70!”. Non erano tutte rose e fiori ma sicuramente c’è del vero, all’epoca c’eravamo noi marziani, capelli lunghi e vestiti stravaganti, e la gente normale che ti guardava con sospetto. Il vantaggio era che se incontravi qualcuno come te lo riconoscevi, sapevi che il suo modo di porsi nei confronti della società era sincero, come il tuo, che portava avanti certe idee di rivoluzione culturale, sessuale, eccetera. Oggi è tutto più semplice, allo stesso tempo più banale.
Parliamo del tuo strumento, la tastiera, quali sono stati i tuoi riferimenti in gioventù?
Keith Emerson e Brian Auger sono i più grandi tastieristi della storia. Punto. Ma io non cercavo di imitarli, all’epoca lo facevano tutti, volevo invece trovare una voce mia. E poi i miei miti musicali erano Jimi Hendrix e Frank Zappa! Tutti avevano qualcosa in comune che mi piace moltissimo, ovvero l’aggressività. Solo nell’arte, s’intende!
La recensione del concerto del Balletto di Bronzo
Articolo di Claudio Rogai, foto di Francesca Cecconi