Abbiamo raggiunto Emanuela Ligarò per parlare di “Flare”, il suo ep autoprodotto uscito il 1 marzo 2024 (la nostra recensione) sotto il nome d’arte Gold Mass. Ne è scaturita un’interessante chiacchierata sul suo metodo di composizione, la sua concezione personalissima dell’Elettronica nonché dell’arte in genere, il peso delle liriche e dell’ermetismo, la passione per l’editing video e l’importanza cruciale del lavoro visuale sull’impatto comunicativo. Fino a scoprire che la distanza che separa lo pseudonimo Gold Mass dal nome Emanuela non esiste, perché l’uno converge nell’altra, in uno scambio continuo di verità e illuminazioni.
“Flare” presenta un’architettura sonora ancora più complessa rispetto al precedente “Safe” (la nostra recensione). Ci parli della tua concezione di arrangiamento? Come lavori di solito su un nuovo brano?
“Flare” oltrepassa il confine a cui ero arrivata con il precedente lavoro. Per me è proprio come aver continuato a camminare, spingendo ancora oltre quelle che sono le mie capacità di scrittura e immaginazione. Le canzoni di “Flare” sono più complesse a livello di produzione sonora, questo vale sia per i tre brani di matrice dance (“Flare”, “There Should Be Sky Above You” e “Earth”), sia per quelli più minimali (“Social Slave” e “Reverb”). Ne faccio una questione non solo di costruzione del suono ma anche a livello di struttura, di come il pezzo si stende ed evolve nel tempo. Quando lavoro a un brano nuovo m’impegno a costruire strati sonori con cui poter arrivare a formare un suono potente e vasto dove serve, o poter svuotare di colpo in parti che richiedono atmosfere meno dense e affollate. La produzione elettronica è una delle cose che più adoro fare, richiede tempo ed è quasi una forma di meditazione perché, quando ci sei dentro, il tempo si ferma e non scorre più. Passano le ore senza che tu te ne accorga minimamente.
Mi sono permesso di definire i tuoi testi delle “poesie ermetiche”. Lavorando con le parole, personalmente adoro come riesci a pesarle, a rendere essenziali, giuste. Nel tuo caso arrivano prima le parole (che indirizzano la musica) o il contrario?
Ti ringrazio tanto per quello che scrivi, io sono decisamente convinta della scelta di usare un testo minimale per le tracce che compongo. Non potrei fare altrimenti. Un testo magro e rarefatto, il cui senso ermetico venga poi svelato dai contenuti che accompagnano il pezzo e che rilascio a parte (video, teaser, citazioni..). Un testo minimale lascia tutto lo spazio all’ascoltatore di metterci del suo, di farlo accrescere di un significato aggiuntivo che è totalmente personale. Già da tempo mi trovo a preferire musica che abbia testi asciutti, e non riesco più ad ascoltare certa musica che per genere o per lingua (l’italiano non aiuta) risulta verbosa alle mie orecchie. Cantautorato in primis. Per venire alla domanda, mi capita spesso di chiudere la scrittura di un pezzo in un unico evento, con parole e musica insieme, perché nel cercare una melodia tendo a cantare usando parole che ho in mente. In genere sono già buone quelle, perché parlo di temi su cui rifletto già da tempo e so cosa vorrei dire. Altre volte si tratta di modificarne qualcuna, quindi vado a limare, a rifinire la metrica o un concetto, o a scegliere una parola diversa per dire la stessa cosa ma con un suono migliore. Ma non c’è una regola, né una procedura. Per cui è capitato anche che scrivessi prima la musica e dopo il testo, o viceversa che avessi un testo da parte e finalmente il tempo per poter scrivere musica. “There Should Be Sky Above You” è nata con solo il titolo. È partito tutto da lì. Ho cullato l’idea di questo titolo nella testa per diverso tempo e mi piace tantissimo. Adoro anche utilizzare titoli corti e di una sola parola. Per cui in questa cornice, un titolo del genere si stacca immediatamente dal resto e risulta ancora più evidente.
Qual è stato il “bagliore” che ha mosso la composizione di “Flare”? C’è stato un momento di epifania che in particolare ti ha condotto a quel brano?
Il rendersi conto dell’importanza di vivere in modo lucido e attivo la propria vita. Da quando prendo per me solo scelte che mi rappresentato, tutto è diventato più luminoso. Parlo delle piccole scelte come di quelle più grandi e più difficili da fare. “Flare” è un invito a vivere la vita non da spettatori, a non spegnersi arrendendosi alle circostanze che ci vincolano in forme che non ci appartengono. Un augurio di rinascere una seconda volta, in modo del tutto consapevole e per scelta unicamente propria. Provare a perseguire la propria idea di felicità, nel rispetto degli altri, ed essere autentici e coerenti con essa.
Davvero molto significativo il lavoro sull’artwork. Ci parli della collaborazione con la fotografa Dafni Planta?
L’aspetto visuale ha un’importanza notevole nel mio lavoro, ne curo i dettagli con dedizione perché trovo sia un elemento comunicativo che completa il racconto della mia identità artistica. Sono appassionata di fotografia e sono sempre alla ricerca di immagini che m’influenzino, specialmente quando lavoro a un disco nuovo. Dafni Planta è una fotografa di grandissimo talento, la sua sensibilità artistica e il suo senso estetico sono meravigliosamente raffinati ed eleganti. Ho scoperto il suo lavoro per caso e mi ha colpito subito. Ho trovato che fosse già perfettamente in linea con quanto stavo producendo e che avevo in mente. Ho raggiunto Dafni in studio in Svizzera, dove scatta esclusivamente con pellicola, e abbiamo lavorato insieme alla creazione delle copertine di “Flare”. Il mio intento era realizzare immagini in ambiente neutro per offrire a chi guarda la suggestione di un luogo non fisico, mentale e fuori dal tempo. I tre singoli che hanno anticipato l’uscita del disco, presentano tutti un artwork in cui viene mostrata una figura singola in diversi atteggiamenti: una nascita in “Flare”, una posa raccolta e di difesa in “Reverb”, un’apertura al mondo in “Earth”. L’artwork del lavoro completo mostra invece un intreccio di due figure, che non è chiaro fin da subito come siano posizionate. Il crescendo emotivo che porta all’artwork finale suggerisce come la relazione con l’altro sia un approdo, tramite il quale ci scopriamo vivi pienamente.
La parte visuale non appare come un elemento aggiuntivo, piuttosto un completamento dell’intero lavoro. Questo vale anche per i videoclip, di cui curi personalmente l’editing.
Esattamente, il video è un elemento che utilizzo non come banale strumento di marketing per la diffusione di una nuova uscita, come invece siamo spesso abituati a vedere, piuttosto come un prolungamento della traccia musicale stessa, dove trovo spazio e tempo per presentare, con diverso linguaggio, l’identità di quello che scrivo e del tema trattato. Ho imparato a fare montaggi video qualche anno fa e ho scoperto che è una cosa che mi piace fare e che mi diverte molto, specialmente perché mi piace seguire il beat del pezzo nei cambi scena, e ovviamente del beat che scorre, di cui conosco ogni dettaglio.
Dove finisce Emanuela e dove inizia Gold Mass? O anche il contrario…
La domanda è molto bella, e ti ringrazio per avermela posta per primo. Da nessuna parte, sono la stessa persona, Emanuela e Gold Mass sono esattamente la stessa cosa. Il mio modo di parlare, di ragionare, di muovermi è esattamente quello che mostro. Chi mi frequenta, questo lo sa benissimo.
Hai in programma un tour di supporto a “Flare”?
Assolutamente sì, a partire dalla seconda metà di marzo in avanti, fino a tutto il 2024. Inizierà con alcune date in Italia e poi quelle estere. Sarò sicuramente a Roma, Genova e Firenze, nei prossimi giorni verranno pubblicati i dettagli degli appuntamenti.
Credi che il prossimo album sarà un lp? “Transitions” è del 2019… forse in questo momento la forma ep risulta più congeniale al progetto?
Non so anticipare niente di quello che verrà, dipenderà totalmente da quello che avrò in mente e dal tipo di scrittura che starò sviluppando. La forma che prenderà sarà evidente man mano che il lavoro di scrittura evolverà. Non mi do alcun obiettivo da raggiungere su questi aspetti. È il bello di lavorare da artista indipendente, m’interessa solo la sostanza e l’identità di quello che creo, ho carta bianca su tutto. Sicuramente ad oggi il formato EP mi convince molto e mi sembra una soluzione intelligente e potente, in cui ad essere pubblicati sono solo i pezzi migliori. Nel periodo di lavorazione di “Flare”, ho scritto più di venti pezzi. Ne ho scelti solo cinque, sui quali scommetto. Sono convinta che stiano insieme in coerenza ed equilibrio nell’architettura complessiva del lavoro. Si parlano. È un risultato di simmetria, non aggiungerei né toglierei niente a quanto ho pubblicato, sia con “Flare” che con “Safe”. Questa scelta è anch’essa una forma di sintesi e minimalismo, che è consistente con la mia forma mentale e la mia ricerca.
Articolo di Simone Ignagni