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GOLD MASS intervista

Il suo lavoro è una ricerca intensa sul senso profondo della nostra esistenza, intrapresa attraverso suoni scuri e minimali

Si intitola “Reverb” il nuovo singolo di Emanuela Ligarò,  che scrive e produce musica elettronica con il nome d’arte GOLD MASS. È la seconda anticipazione del lavoro discografico che ha impegnato l’artista nel corso dell’ultimo anno e che vedrà la luce dopo l’estate. GOLD MASS è un progetto totalmente indipendente, per il quale l’artista si occupa di ogni aspetto, riversando particolare cura nella comunicazione visuale e nell’atto performativo. Il suo lavoro è una ricerca intensa sul senso profondo della nostra esistenza, intrapresa attraverso suoni scuri e minimali, atmosfere rarefatte e talvolta esplosive, e liriche sospese che trasportano l’ascoltatore altrove grazie a una presenza vocale suggestiva e magnetica.

Dopo il singolo “Flare” e l’ultimo lavoro del 2021, il 14 aprile è uscito il tuo nuovo singolo “Reverb”. I testi dei tuoi lavori sono sempre molti intensi e privi di ipocrisia, ce ne puoi parlare?

È molto bello quello che dici. L’ obiettivo del mio lavoro è ridurre tutto al minimo ed eliminare ogni fronzolo superfluo. Questo vale sia nella mia vita che nella musica. I testi che scrivo sono sempre più minimali ma hanno un significato profondo.  Accompagno i miei singoli anche con contenuti che scrivo prima dell’uscita, durante la campagna promozionale, e che spiegano ciò che mi ha portato a scrivere il pezzo.

Il singolo appena uscito, “Reverb”, è composto da due frasi che ripeto in continuazione, come un mantra. Come se fosse la nostra voce interiore a ripetere quelle frasi: tutti ci interroghiamo sul nostro valore nel mondo e se siamo davvero meritevoli di qualcosa. Secondo me, questa è una domanda di sottofondo che accompagna tutte le nostre vite. Anche le persone che vogliano apparire sicure di sé, in realtà, sono le più soggette a sentire e a ripetersi questa frase.  È un bisogno che abbiamo come esseri sociali, quello di sentire l’appartenenza a un gruppo. La solitudine ci porta all’abbandono e alla morte. Abbiamo tutti bisogno di capire quale sia il nostro valore. Anch’io sento tantissimo questa necessità e in questo pezzo ne volevo parlare.

“Flare”, allo stesso modo, esprime l’esigenza di rimanere lucidi nella vita. Dobbiamo sempre cercare di chiederci se quello che stiamo facendo porti effettivamente al raggiungimento della nostra felicità, o se siamo solo parte di un meccanismo subdolo e passivizzante. “Flare” è un invito a rinascere in modo consapevole, non da spettatori ma vivendo per noi stessi.  Anche in questo caso, il testo è molto minimale ed ermetico. Per questo ho deciso di accompagnarlo con diversi contenuti che guidino e svelino il significato più profondo, ciò che volevo comunicare, su cui volevo riflettere e far riflettere.

Spesso nelle interviste su musicisti che scrivono anche i propri testi c’è sempre la classica domanda “Sono testi autobiografici?”. Mi sembra sciocco farti questa domanda, perché è ovvio che di autobiografico, nei tuoi testi, ci sia solo la superficie. Si percepisce un lavoro molto più profondo dietro.

La domanda può sembrare sciocca ma in realtà ha una sua profondità. Io parto da riflessioni personali che faccio sulla mia vita, non sono capace a scrivere storie che non mi riguardino. Però faccio un passo indietro: non voglio parlare di me in prima persona, in modo narcisistico. Parlo di cose che mi riguardano, pensieri e insicurezze, felicità e paure, ma alla fine io non sono diversa da nessun altro. Alla fine, sono aspetti che riguardano tutti.  Tendo a scendere molto più a fondo su questi aspetti perché, banalmente, io stessa ho bisogno di risposte e non di sentirmi raccontare una storia.

L’esperienza personale e autobiografica di ciascuno è interessante solo quando raggiunge talmente tanto la radice da riguardare chiunque. Io stessa sono una grande ascoltatrice di musica, però ci vedo un po’ di narcisismo in quei progetti solo focalizzati su di sé e mi appassionano molto meno. “Reverb” è come un pugno per me, e, soprattutto il ritornello, tocca corde molto profonde. È come un grido di liberazione dal giudizio altrui.

Non scrivi solo i testi dei tuoi pezzi. Programmi, suoni, produci e promuovi tutto il tuo lavoro. Come dire, sei una one woman band!

Sì! Per il mio primo album ho scritto i pezzi, lavorato alla produzione e agli arrangiamenti del disco. Ovviamente non ero sicura di quello che facevo, per cui cercai online un producer che potesse impacchettare i pezzi come si deve, cercando tra i producer che avessero messo mano a dischi che ritengo fondamentali. Durante la collaborazione però mi sono accorta che in questo modo mi perdevo tutta una parte del mio lavoro che poteva piacermi tantissimo. Quindi mi sono messa a studiare, e per l’ep successivo prodotto tutto da sola. E così sto continuando.

Io adoro questa parte di produzione e arrangiamento, ma spesso viene affidata ad altri. Al momento non riuscirei a farne a meno e non riuscirei a delegarla a qualcun altro. Mi piace perdermi tra i suoni finché non trovo quello giusto. Per me sono come dei viaggi meditativi. Quest’anno mi sono anche iscritta a un corso sull’Electronic Music Production per cercare di professionalizzarmi e superare il mio livello amatoriale. La trovo una parte molto divertente del lavoro, specialmente se si fa musica elettronica.

Per me, poi, è anche un discorso di indipendenza. Più cose si sanno fare e meno si dovrà chiedere ad altri e cercare compromessi artistici. In questo modo, quando arrivo a lavorare con qualcuno è perché davvero lo voglio fare. Così è uno scambio molto più alla pari. Per una donna, questa cosa è importantissima. Mi trovo spesso ad avere per lo più colleghi musicisti maschi. Quando le donne si esprimono in genere sono cantanti, ma difficilmente suonano uno strumento o scrivono i propri testi. Sono più che altro interpreti. Questa non è colpa delle donne, ovviamente. Il problema è che non ci sono modelli a cui rifarsi. Io questo non lo voglio più tollerare. L’assenza di modelli di riferimento per noi donne è un problema culturale. Geneticamente, in quanto donna, non sono certamente sfavorita rispetto a un uomo per fare certe cose. Basta chiedere, basta essere dipendenti dagli altri. Buttiamoci e facciamo quello che vogliamo fare, perché siamo capaci di fare delle cose enormi.

Indipendente è sicuramente un aggettivo che ti sta a pennello! Sei indipendente non solo nella scrittura, nell’arrangiamento e nella produzione, ma anche per la promozione. Fai dei video bellissimi! Ci racconti questo aspetto del tuo lavoro?

La comunicazione visuale mi ha sempre affascinato tantissimo. Mi piace la parte di montaggio, di colouring … Mi piace poter accompagnare il montaggio al beat del pezzo, unire la parte ritmica al movimento. Mi dà molta soddisfazione estetica e mi piace curarli in prima persona. Se lavori a un progetto che rappresenta la tua identità artistica, è difficile delegare. E la parte di comunicazione visiva fa parte dell’identità artistica. O trovi un team disposto a seguire la tua identità e la tua idea, o viene difficile lavorare.

Infatti, il tuo progetto esce in modo del tutto coerente, sia da un punto di vista musicale che comunicativo. Ci possiamo aspettare un nuovo singolo prima dell’estate e poi, dopo l’estate, un album o un ep?

Io vorrei realizzare un album, anche perché ho troppi pezzi! (ride) Li vorrei rilasciare in un album, anche perché non sono una persona che recupera pezzi passati. Quando scrivo, lo faccio sulle cose che ho in testa in quel momento, non avrebbe senso far passare troppo tempo per rilasciarli. Se passa troppo tempo, gli argomenti che mi interessano cambiano e c’è il rischio che si discostino troppo da me e che non mi rispecchino più. Quando rilascio qualcosa, quella è la mia fotografia in quel preciso momento e di ciò che è nella mia testa. È un lavoro di ricerca: finché ci sarà ricerca avrò sempre argomenti nuovi. Se in futuro dovessi risolvermi come persona e non avere più niente su cui interrogarmi, mi darò al giardinaggio piuttosto che fare brutta musica (ride).

È inutile tenere avanzi nel cassetto, possiamo dire.

Per me sì. Molti artisti lo fanno, ma io non ci riuscirei!

Ultima domanda: sarà un disco fisico?

Oh sì certo, un vinile! È come un regalo: tutto si corona con un qualcosa che riesci a toccare con mano. Il vinile mi dà l’idea di qualcosa di nobile, come un libro. È una soddisfazione anche tattile.

Allora non vediamo l’ora di vedere cosa studierai per la copertina!

Sono già all’opera, e anch’io non vedo l’ora di completare il lavoro!

Articolo di Francesca Cecconi

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