Ikitan sono un power trio ligure che ha da poco pubblicato il loro EP, davvero particolare già dal titolo “Twenty Twenty” (qui la nostra recensione): è uscito il 20 novembre 2020 e dura esattamente 20 minuti e 20 secondi. Ma le peculiarità del disco non finiscono qui, perché si tratta di una monotraccia. Scopriamo la band, una formazione recentissima.
Fateci conoscere gli Ikitan: da dove venite, da quanto tempo suonate insieme, quali sono le vostre influenze musicali?
La band nell’assetto attuale è composta da Luca Nash Nasciuti, chitarra ed effetti, Frik Et, basso ed effetti ed Enrico Meloni, batteria e cowbell; suoniamo insieme da ottobre 2019, ma Luca e Frik si conoscono da diversi anni… Poi si è inserito Enrico nel progetto e da allora abbiamo iniziato a suonare insieme intensamente.
Le nostre influenze musicali sono estremamente diverse, ma facendo musica strumentale basata su improvvisazioni alla fine ci siamo anche un po’ trovati, ognuno dicendo la sua. Complessivamente abbiamo influenze grunge rock, nu metal, prog metal. Abbiamo unito queste cose con una spolverata di post-rock e quindi facciamo un bel minestrone!
Andiamo un po’ più dentro al vostro lavoro, ovvero al vostro modo di comporre: nasce da jam sessions dalle quali poi estrapolate idee alle quali date forma e struttura, oppure è frutto del lavoro di qualcuno di voi che porta già una bozza di pezzo in sala prove?
Dal primo giorno in cui ci siamo ritrovati in sala prove abbiamo suonato jam. Questa fase, almeno per quanto riguarda “Twenty Twenty” è durata anche diversi mesi, durante i quali abbiamo registrato ogni singola nota che è uscita durante le prove. Quindi tra ascolti, arrangiamenti e prove su prove abbiamo messo insieme questa forma finale, sulla quale poi comunque c’è stato un tosto lavoro fatto prima di registrare e durante le registrazioni, fino al master finale.
Non solo la composizione ma anche gli arrangiamenti sono il frutto del lavoro collettivo di tutti e tre. Abbiamo cercato di mantenere quella freschezza di esecuzione estemporanea che poi è risultata nell’EP. Ognuno ci ha messo del suo, quando e come ha voluto.
Si può dire di “Twenty Twenty” che sia come una lunga suite o è un esperimento diverso?
Noi siamo molto cauti sul termine suite perché persone magari più specializzate nell’ambiente potrebbero un po’ storcere il naso; formalmente non è una suite. Ogni volta che lo leggiamo ci onora, magari essere paragonati a band che hanno fatto suite vere, però di fatto non si può dire che, a nostro avviso, “Twenty Twenty” sia esattamente una suite. Sono tre capitoli o almeno noi lo abbiamo concepito così, dove nell’ultimo ci sono tutti i temi del brano, quindi per questo richiama in qualche modo la suite. Ma è una canzone di 20 minuti e 20, per noi è un brano unico.
Avete in repertorio altri pezzi cosi strutturati o questo è stato un esperimento che pensate di abbinare a pezzi dalla struttura canzone più consueta? Come organizzerete la scaletta dei concerti?
Non vediamo l’ora di suonare dal vivo perché non ce la facciamo più senza, e comunque no, questo è stato un esperimento, stiamo facendo dei nuovi pezzi molto più strutturati, anche ovviamente più corti, sui 5/6 minuti; comunque rimane la linea compositiva che abbiamo, la struttura è libera.
Se si pensa al Rock strumentale si pensa spesso al Progressive Rock, che dagli anni ‘70 in poi ha prodotto grandi esempi appunto di suite. La stragrande maggioranza delle band però ha sempre alternato questo a pezzi cantati con grandi melodie. Credete di proporre in futuro anche musica con cantati, pensate che la musica interamente strumentale sia un limite oppure un punto di forza per voi?
Per ora è abbastanza un punto di forza, stiamo esplorando questo mondo, gli strumenti sono tutti sullo stesso piano, vediamo come va. Non è escluso che in futuro, essendo la natura del progetto completamente sperimentale, accada anche qualcosa in quel senso. Per noi personalmente il power trio come forma della band è veramente ideale, anche perché dietro a una musica che viene suonata ci sono delle persone che poi si devono organizzare, suonare insieme … Quindi ora la cosa sta funzionando così bene che aggiungere magari una persona alla voce turberebbe il nostro equilibrio.
Veniamo al nome Ikitan … cosa significa?
Riporta a qualcosa di primordiale, che struttura e destruttura. Su Wikipedia è spuntato fuori questo nome come dio del suono derivante dalle pietre, vividamente riportato nell’immagine di copertina. Una divinità primordiale come primordiale è il suono scaturito dagli elementi naturali sotto il suo comando.
Questa fonte poi si è rivelata non certificata nel senso che non abbiamo trovato assolutamente nessun’altra informazione a riguardo. Abbiamo fatto anche una verifica con un professore universitario che insegna storia delle civiltà precolombiane, e ci ha confermato che non risulta una notizia attendibile. Fatto sta che è rimasta questa idea di rifarci a un mondo e una cultura lontana, il nome ci piaceva e l’abbiamo tenuto.
Il disco è uscito con ottime recensioni, è un EP che ha molto intrigato, come hai detto tu prima ognuno ci ha trovato cose diverse, ci ha scoperto cose che magari gli risuonavano cose personali; come state promuovendolo senza poter suonare dal vivo?
Abbiamo deciso di dare forma e pubblicare la nostra musica nonostante la pandemia e iniziato a promuoverla proponendola alla stampa specializzata, cosa che ha portato risultati belli, inaspettati, assolutamente magnifici, che stiamo ancora leggendo. Non possiamo che ringraziare, sentirci insomma onorati perché obiettivamente noi, essendo nati proprio in questa situazione, non siamo riusciti a fare nessun concerto prima, non avevamo neanche dei profili social visto che ancora la band era un pochino acerba. Per quanto riguarda live e concerti, effettivamente riprodurre “Twenty Twenty” così come dal disco comporta per noi tante prove che stiamo facendo, e siamo quasi pronti.
Vi ringraziamo e aspettiamo di vedervi live!
Articolo di Francesca Cecconi