Pubblicato da Romolo Dischi e distribuito da Believe, “Heat The Rich” è il nuovo ep di Kreky, musicista e songwriter sardo, attivo dal 2016 con base a Roma. Un disco provocatorio, che affronta tematiche sociali come la solitudine e che si contraddistingue per un sound che spazia tra l’Hardcore Punk di Washington DC e il Punk dei Misfits. Abbiamo raggiunto Kreky che ci ha raccontato come è questa nuova avventura.
Come si intuisce dal titolo “Heat The Rich” è un ep politico, di denuncia. Per cominciare ci vuoi raccontare che argomenti affronti nei cinque brani che lo compongono?
Sì, nei brani si spazia dalle tematiche politiche/sociali a quelle personali – ma il personale è politico, dicevano. Nasce con l’idea di registrare Hyenas, che infatti è il primo singolo, insieme a Giancarlo (bassista degli eUno e dei Dipso) e con l’aiuto dell’imprescindibile Valerio Fisik (nel ruolo di produttore, chitarrista e alla batteria). Parla della crudeltà del 41bis, che è un trattamento-misura disumana, così come lo è lo strumento carcerario di per sé. Di seguito, ho deciso di scrivere brani che hanno a che fare con il mio passato, anche politico, e con il presente, che quindi riguardano la disgregazione sociale, la conseguente assenza di lotta per i diritti e dei lavoratori, lo sfruttamento e l’immobilismo delle lotte in generale.
C’è un tema centrale a cui fanno riferimento i testi di questo ep?
Se dovessi scegliere un tema, direi che è quello della solitudine che inevitabilmente incide sulla vita di qualsiasi persona che vive questo mondo. Che sia un lavoratore, un disoccupato o un senzatetto, insomma il proletariato e il sottoproletariato, la gran parte dell’umanità. Una solitudine, che però colpisce anche chi riesce a trovare il suo posto dentro a una comunità, un circuito di persone che ti fanno sentire a casa, perché spesso il linguaggio che usiamo e che apparentemente è lo stesso che condividiamo con altri, è motivo di fraintendimenti. Non è un discorso nichilista, sicuramente neanche ‘super positivo’, ma almeno si prova a fare il punto e senza grandi proclami di rivolta o retoriche stantie – che mi pare non sia proprio il momento storico. Insomma, considerazioni personali all’inizio del 2024.
Oltre a questo ep hai anche il progetto “Kreky & The Asteroids” peraltro molto diverso. Da dove nasce l’esigenza di dar vita a una cosa completamente nuova?
Il progetto con gli Asteroids è vivo e a breve usciremo con un nuovo album, anche se sarà solo con la mia firma (Kreky). È da molto che volevo far uscire un disco/ep punk, semplicemente perché fa parte del mio storico e dei miei gusti personali, ma spesso quando si chiude un album, rock o acustico o quant’altro, difficilmente si possono inserire brani con un sound più duro o semplicemente uptempo. Ecco, a me questo limite non piace, e soprattutto dal vivo vorrei poter portare un set misto, che varia dal brano ballad al punk al quasi-metal. Non credo nella categorizzazione delle band o di chi scrive, bisogna piuttosto essere in grado di miscelare bene i brani nella scaletta e far sì che abbiano un sound ben amalgamato.
Il sound del disco è molto duro. Lo hai scelto perché avevi esigenza di raccontare qualcosa in particolare?
Ogni cosa ha bisogno di essere espressa nella maniera più adatta. Ovvio, nel ‘900 i canti di lotta sono stati per lo più acustici (penso alla grande tradizione dei canti libertari, alle canzoni come l’”Inno Individualista”, “Siam Malfattori” o “E verrà il dì che innalzerem le barricate”) dai primi ’30 agli anni ’70, ma noi siamo anche figli della cultura popolare post-900esca, dove certi concetti – forse anche per ovviare a una mancanza di realizzazione concreta – si sono permeati di suoni duri e veloci, che quindi hanno trovato dimora nell’Oi!, nel Punk Hardcore, ma anche nell’Industrial o nel Metal. Volente o nolente, ho attraversato e mi sento ancora vicino a quel modo di esprimersi, quindi mi è venuto naturale prendere quei “vestiti” per esprimere certi concetti.
Nato in Sardegna, ora vivi a Roma. Raccontaci anche la tua storia legata alla musica e ai progetti che porti avanti?
Tecnicamente, sono nato a Roma da famiglia sarda, a casa si parla in sardo e i 3/4 dei messaggi che scrivo durante le mie giornate sono in sardo. Crescendo, uno si sceglie anche qual è il posto che si chiama Casa e non è un mistero che la mia, è la Sardegna. Nelle ultime settimane sono usciti due brani in sardo che compongono un ep che si chiama “Prenda”, che ho scritto insieme a Whitefang (ovvero Luca Cadeddu Palmas) e usciti con la Talk About Records di Diego Pani (cantante de La città di notte e dei King Howl). Un progetto che nasce ‘dall’incazzo’ suscitato dall’immobilismo della politica istituzionale sarda, che non ha mosso un dito per la zona del Montiferru, devastata da uno dei peggiori incendi di cui si ha memoria. Oggi i due brani sono presenti, come colonna sonora, al documentario “Oghinne/germogliando”, parte della mostra multimediale, che racconta alcune potenti storie di rigenerazione ecologica e culturale nell’area del Montiferru di Santu Lussurgiu. La mostra è tutt’ora visibile all’aeroporto di Cagliari fino a marzo 2024, ospitata dagli spazi della Cagliari Airport Library.
“Heat the Rich” è a nostro avviso un disco che va controcorrente al di fuori delle mode del momento. Una provocazione allo scenario musicale che viviamo in questo periodo?
Forse l’unica cosa controcorrente sono i testi e qualche influenza/miscuglio che è stato inserito nei brani, a livello musicale. Ma la forma alla fine non è così innovativa visto che l’hardcore Punk viene ascoltato in mezzo mondo e non è così inascoltabile alle orecchie di tanti. È triste constatare che nella musica si trovi a fatica un punto di vista umano e anticapitalista, un’analisi che sia alla portata di tutti e tutte, un sentimento di rivalsa che riesca a essere percepito e abbracciato. Questo succede perché non si prova neanche più a farlo, è più facile – come faccio anch’io nella gran parte della roba che ho scritto – parlare delle situazioni personali, che non rivolgersi a quelli che abbiamo intorno, a spronare a migliorarci e a “riprenderci”. Ovvio che questo ep non cambierà nulla, anzi, essendoci anche poca sperimentazione, non verranno neanche percepiti i contenuti. Dovremmo fare di più, per far sì che la cultura rinsavisca e che ci sia un confronto onesto, sincero e costruttivo.
In generale, dunque, come vedi lo scenario musicale italiano? Ci riferiamo ovviamente al Rock indipendente al di fuori dei circuiti mainstream.
Scenario musicale generale di classifica brutto, scenario musicale underground bellissimo. Di recente, con altri ragazzi e ragazze, ho avuto la fortuna di partecipare alla costruzione di “Electric Capital”, una rivista/fanzine che offre una visione, per quanto parziale, perché di band rilevanti a Roma ce ne sono davvero tantissime, di quanto sia articolato e interessante il panorama underground capitolino, stampata grazie a Electa Mondadori e in coordinamento col public program della mostra “Favoloso Calvino” a cui ha lavorato Giulio Pantalei (cantante dei Panta). Non che ci fosse bisogno di lavorare a una rivista per comprendere che l’underground è messo bene, ma di certo ora è ancor più chiaro di quanta sia la distanza di spessore culturale tra l’underground e il panorama musicale nazionalpopolare italiano, visto che quest’ultimo esprime solo banalità e dubbio gusto estetico-artistico, se così vogliamo chiamarlo. Quindi, per rispondere: come sempre, la musica bella c’è, di certo non si trova in classifica.
Sono usciti adesso quattro brani. Ci saranno delle nuove uscite di cui ci vuoi parlare?
A fine febbraio dovrebbe uscire il nuovo album “Time Runs Out”, registrato con una parte degli Asteroids e che suonerò live con loro. Sarà l’ultima sorpresa di quest’anno, visto che ho fatto uscire due brani in sardo e un ep di cinque brani hc-punk. Ci sono già idee per il futuro, ma intanto preferiamo concentrarci a portare il nuovo album in giro, magari ci scapperà anche qualche live incentrato su questo ep punk. Di certo, abbiamo materiale per divertirci sul palco.