Stai tornando in Italia per promuovere il nuovo album “The road back home” (la nostra recensione), che suona come qualcosa di più prezioso per te di un classico promo live. Puoi dirci qualcosa di più al riguardo?
Sai, non si tratta di un ritorno nostalgico, ma piuttosto, a essere onesti, di una registrazione accidentale. Avremmo dovuto fare un tour in Europa l’estate scorsa, poi l’abbiamo rimandato e così ho avuto l’estate scorsa libera. E ho pensato: cosa dovremmo fare? C’erano diversi festival folk in Ontario che mi chiedevano di esibirmi lì da anni e io non ero mai riuscito a farlo. Così mi sono messa in contatto con un gruppo celtico di Stratford, i Bookends, e ho chiesto loro se potevamo preparare insieme un set di 60 minuti di jigs e reels e alcune mie canzoni, per poterci esibire a questi festival. Quando ci siamo avvicinati all’esibizione ho pensato che forse avremmo dovuto registrare queste performance, anche solo per archivio, o, se fosse stato abbastanza buona, magari farne una pubblicazione commerciale. È così che è nata questa registrazione. Non era programmato un disco. È stata una conseguenza di altre decisioni che l’hanno preceduta. È stato un po’ come un viaggio, perché il mio amore per la musica celtica è iniziato in un Folk Club di Winnipeg, nel mezzo delle praterie canadesi. Molti dei membri di quel Folk Club provenivano dall’Irlanda, dalla Scozia o dall’Inghilterra e suonavamo insieme questi pezzi. Li abbiamo imparati insieme. Quella è stata una sorta di casa musicale per me. La mia famiglia non era particolarmente musicale. Quindi questo è un altro aspetto dell’intera esperienza: tornare a quel luogo nel tempo. Non si tratta di una performance, ma di condividere la musica con altre persone e di godere del cameratismo che ne deriva. La parola “casa” ricorre dunque spesso nel progetto.
Quando si pensa alla parola casa, non è solo l’edificio in cui si va alla fine della giornata…
Per me, casa è un tessuto di abitudini, rituali e tradizioni che la mia vita incorpora ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni anno. E sono queste cose ricorrenti. Credo che “casa” implichi un luogo familiare, in cui ci si sente a proprio agio e a cui si appartiene. Suonare questo repertorio significa tornare a quella casa musicale. La casa può non essere un luogo fisico, forse qualcosa di diverso. La musica può essere casa. Sono tutte quelle abitudini, quei rituali e quelle tradizioni che formano la tua vita, che costituiscono il tessuto della tua vita.
A proposito di concerti dal vivo, in questi giorni sarete per due concerti nel Nord Italia con il tour di anniversario di “The Visit” (la nostra recensione). Cosa è cambiato dall’uscita di quell’album storico, forse il più famoso dei tuoi album. Ti ha cambiato?
Non so se mi ha cambiato, ma la cosa interessante è che sono passati così tanti anni dalla sua realizzazione. Come mi sento ora nei confronti dei pezzi? Che rapporto ho con quei pezzi? Sono felice di dire che mi sembra tutto molto confortevole e familiare. So perché ho scritto le cose che ho fatto o che non ho fatto. Ho scelto di registrare anche pezzi come “Bonnie Portmore”. Voglio dire, un pezzo come “Bonnie Portmore” è una canzone tradizionale di 150 anni fa e lamenta la decimazione di un albero importante in una proprietà, ma parla di questioni più ampie, come l’abbattimento degli alberi e delle foreste in Irlanda per la costruzione di navi, per le costruzioni navali inglesi. Conosciamo quindi i problemi legati non solo ai combustibili fossili e a tutto il resto, ma anche alla decimazione delle nostre foreste. È una preoccupazione ancora attuale. Quindi, anche se si trattava di qualcosa che avevo in mente 30 anni fa, per me è ancora molto attuale. Quando esamino i brani, come “Cymbeline”, si tratta di un sentimento senza tempo. Penso che ci siano molti aspetti senza tempo in quei pezzi a cui mi riferisco ancora.
Per il tour estivo europeo, quando tornerete per altri concerti, un album diverso sarà al centro della scaletta, giusto? Che differenze ci saranno tra i due tour?
Suonerò di più “The Mask and Mirror”, la proposta musicale sarà diversa. La scaletta sarà diversa, ma la band sarà la stessa e suoneremo qualche nuova canzone inedita o altro. Con il “The Visit Revisited Tour” eseguiamo tutte le canzoni di quell’album nel secondo set; quindi iniziamo con “All Souls Night” e andiamo dritti in ordine fino alla fine. Il primo set comprende una selezione di brani di tutto il catalogo. Credo che ci siano tre pezzi da “Lost Souls”, per esempio. In estate, nel secondo set eseguiremo “The Mask and Mirror” da cima a fondo, e nel primo set eseguiremo per lo più pezzi diversi da quelli che eseguiamo ora. Quindi dovrebbero essere concerti notevolmente diversi dal punto di vista del repertorio e delle canzoni. In estate porteremo con noi anche un batterista, mentre in questo tour non abbiamo un batterista. Abbiamo solo Hugh Marsh al violino, Caroline Novello al violoncello, Hugh Brian Hughes alle chitarre e al bouzouki e Dudley Phillips al basso. Ma in estate porteremo con noi anche un batterista, indispensabile per eseguire alcuni pezzi come “Santiago”.
È un programma molto duro per te, mettere insieme due tour diversi in pochi mesi…
Ed è a causa di Covid che ci siamo ritrovati con due tour quest’anno. Non sono sicura che abbiamo preso la decisione giusta o la migliore, ma è la decisione che abbiamo preso. E quindi la porteremo avanti
Quando siete in tour in Europa, venite sempre in Italia. Siamo molto grati per questo.
Sì, ho molti bei ricordi. Voglio dire, c’è qualcosa nello stile di vita italiano che piace a molte persone. Mi ricorda la musica irlandese o la musica celtica, che piace a molte persone. Molte persone in tutto il mondo amano lo stile di vita e l’estetica italiana, soprattutto per quanto riguarda il cibo e il modo in cui le persone si relazionano tra loro, persino per quanto riguarda l’accoglienza dei bambini e delle famiglie.
Non posso fare a meno di pensare ai tempi in cui gestivi tutto dal tavolo della tua cucina, leggevi la posta, spedivi i dischi acquistati dai fan, organizzavi i concerti… Cosa è rimasto di tutto questo in te?
Oh, beh, non c’è ancora un manager. In un certo senso mi trovo al vertice della mia impresa. Da un lato, sono il widget. Dall’altro sono anche il capo dell’impresa, dell’azienda. Quindi, quando costruiamo i tour, potrebbe volerci circa un anno, e io faccio parte del processo. In ogni singola teleconferenza sono il presidente. Non ho molta esperienza, ma ora ho abbastanza familiarità per sapere cosa deve essere fatto e in quale ordine devono essere costruite le cose. Ci sono semplicemente centinaia e centinaia di elementi che costruiscono un tour, e lo stesso vale per la registrazione, di cui sono coinvolta in ogni aspetto. Quindi non è cambiato in quel modo. È solo diventato tutto più grande e molto più complesso. Ma direi che probabilmente il 70% del mio tempo lo dedico ad amministrare e forse il 30% a essere artista. Ho ancora il controllo totale sulla mia musica.
Loreena Mckennitt interview
You’re coming back to Italy to promote the new album “The road back home”, that sounds like something more precious to you than a classic live promo. Can you tell us more about this?
You know, it wasn’t really a nostalgic return, but rather I mean, to be honest, it was an accidental recording. We were supposed to have toured in Europe last summer, and then we postponed it to this summer, and so I had last summer off. And I thought, what should we do? And there were these various Folk Festivals in Ontario who had been asking me to perform there for a number of years and I’d never been able to do it. So I got in touch with this Celtic group from Stratford called the Bookends and asked if we could collectively work up a 60 minute set of jigs and reels and some songs of mine, to be able to perform at These Folk Festivals. So we did that, we rehearsed last spring. I also knew that I didn’t have a lot of time to learn new material to perform at these festivals. So we got rehearsing, and when we got close to performing I thought maybe we should record these performances, even if it’s just for archives, or, if it’s good enough, maybe make it as a commercial release. That’s really how this recording came about. It wasn’t like I’d really like to go and make this kind of recording. It wasn’t like that. It was a byproduct of other decisions that came before it. It was a bit like a journey, because my, for my love of Celtic Music began in a Folk Club in Winnipeg, which is in the middle of the Canadian prairies. Many of the members of that Folk Club came from Ireland or Scotland or England, and we played these pieces together. We learned them together. And that was a kind of musical home for me. My family wasn’t particularly musical. That was really my first musical home. So that’s another aspect of the whole experience is going back to that place in time. It’s not a performance thing, it’s sharing music with other people and really enjoying the camaraderie that comes with that. The word “home” runs through the project a lot, in fact.
When one thinks of the word home, it isn’t just the building you go to at the end of the day …
For me, home is a a fabric of habits and rituals and traditions that my life incorporates every day, every week, every month, every year. And it’s those recurring things. I think “home” implies a place that is familiar, and you kind of feel comfortable, and that you even belong. Playing this repertoire is going back to that musical home. Home may not be a physical place, maybe something else. Music can be home. It’s all those habits and rituals and traditions that make up your life, that make up the fabric of your life.
Speaking of live concerts you’re about to be here in these days for two gigs in the North of Italy with “The Visit” anniversary tour. What has changed since the release of that historic album, maybe the famous of your albums. Did it change you?
I don’t know if it changed me, but what’s interesting is to be this number of years away from the making of it. How do I feel about the pieces now? How do I relate to those pieces? I’m happy to say that it all feels very comfortably familiar to me. I know why I wrote the things that I did or I did not. Ichose to record even pieces like “Bonnie Portmore”. I mean, a piece like “Bonnie Portmore” is a 150 year old traditional song and it laments the decimation of a significant tree on a property, but it speaks about wider issues of the taking down of the trees and forests in Ireland for shipbuilding, for English shipbuilding purposes. And so we know the problems that come with not just fossil fuels and all of that, but also with the decimation of our forests. That is a very contemporary concern still. So even though it was something that was on my mind 30 odd years ago, it still is something very relevant for me. When I go through the pieces even like “Cymbeline” that’s a very timeless sentiment. I think there are a lot of timeless aspects in those pieces that I still relate to.
For the European summer tour, when you’re coming back again for more gigs, a different album will be central in the set list, right? How will the two tours differ?
I’ll be playing more of “The Mask and Mirror”, but the musical proposal differ. Different set list, but the band will be the same, and we’ll be playing some new unreleased song or whatever. With “The Visit Revisited Tour” we perform every song of that album on the second set; so we start with “All Souls Night”, go straight in order to the end. The first set has a selection of pieces from across the catalogue. I think there’s three pieces from “Lost Souls”, for example. In the summertime, we’ll be doing “The Mask and Mirror” from top to bottom in the second set, and we’ll be performing mostly different pieces in the first set than we’re performing now. So they should be considerably different concerts from a a repertoire, a song standpoint. In summer we’ll also be bringing with us a drummer, whereas on this tour we don’t have a drummer. We just have Hugh Marsh on the violin, Caroline Novello on cello, Hugh Brian Hughes on guitars and bouzouki, and Dudley Phillips on bass. But in the summer, we’ll also bring a drummer who is pretty essential to perform some of the pieces like “Santiago”.
It’s a very tough schedule for you, putting together two different tours ina a few months…
Yes, it’s becuse of Covid thatwe ended up with these two tours this year. I’m not sure that we made the right decision or the best decision, but that’s the decision we made. And so we’re going to make it.
When you’re touring Europe, you always come to Italy. We’re very thankful for this.
Yes I’ve many fond memories. I mean, there’s something about the Italian way of life that appeals to many people. You know, it reminds me of the Irish music or the Celtic music that appeals to many people. Many people around the world love the Italian way of living and the aesthetic, largely to do with food and how people are with each other, even how they’re welcoming children and families.
I cannot help to think about the times when you managed everything from your kitchen table, reading mail, sending records purchased by fans, organizing concerts … What’s left of that in you?
Oh, well, there’s still no manager. I sort of sit at the top of my enterprise. On one hand, I’m the widget. On the other hand, I’m also the head of the enterprise, the company. So, when we’re building tours, it may take about a year to build, and I’m part of it. In every single conference call I’m the chairperson; I don’t have a lot of expertise, but I have enough familiarity now to know what has to be done and what order things need to be built. It’s like building a blueprint for a building that you’re going to construct. There are just hundreds and hundreds of elements that build a tour, and same with the recording, where I’m involved in every aspect of it. So it hasn’t changed in that way. It’s just gotten bigger and many much more complex. But I would say probably 70 percent of my time is an administrator and maybe 30 percent as an artist. I have total control on my music still.
Articolo di Francesca Cecconi
Foto di Richard Haughton