Continua la nostra serie di interviste all’ “altro lato” della manifestazione “L’Ultimo Concerto?”. Finora abbiamo avuto il piacere di raccontare le vicissitudini del The Factory di Verona e del Legend Club di Milano, alle spalle di due dei centotrenta eventi sincronizzati alle 21 di sabato 27 febbraio. Tanta gente, tanta stampa, tante webzine e anche le reti nazionali hanno parlato di tale evento, dell’ondata di silenzio che si è propagata per lo Stivale. Noi proseguiamo col supporto, con una intervista al Live Club di Trezzo sull’Adda (MI).
Parliamo di uno dei templi della musica dal vivo in Italia, un grande spazio allestito per gestire concerti da mille persone, con un palco enorme e con una lista di band e artisti all’attivo che non stiamo a riportare per esigenze di spazio (ma che trovate qui https://www.liveclub.it ) In occasione de “L’Ultimo Concerto?”, il palco del Live Club ha avuto Diodato, talentuoso cantautore italiano, vincitore del Festival di Sanremo 2020. Il video è dirompente, pesante come doveva essere, con tutto lo staff di fotografi, barman, responsabili luci e audio…TUTTI.
E Diodato sale sul palco in un silenzio che fa scricchiolare i gradini, e si esibisce su un enorme Led Wall restando in totale silenzio, da solo. (Il video: https://www.youtube.com/watch?v=znULPbzUO60). Arriviamo quindi all’intervista, cercando di andare sotto alla superficie di quello che è successo. Oggi parliamo con Laura Ciraudo – Responsabile della Comunicazione / Promozione e Ticketing del locale.
Cosa vi ha più ferito e cosa vi ha fatto più piacere scoprire durante questo lungo anno di stop forzato?
Questo anno di stop è stato davvero difficilissimo per noi. Posso affermare con una certa fermezza che almeno il 90% delle persone che lavorano nel nostro settore lo fanno perché sono appassionati di musica e di musica dal vivo e che hanno un’attitudine molto aperta e dinamica verso la vita. Per quanto riguarda il Live Club di Trezzo diciamo che è così al 100%. Fermarci non ha significato rinunciare al nostro lavoro, ma rinunciare al nostro stile di vita. Concretamente ed emotivamente. Se nei primi mesi è stato difficile fare i conti con il vuoto, è stato ancor peggio fare i conti con le incertezze e con le preoccupazioni lasciate da una crisi senza precedenti.
Infine abbiamo dovuto fare i conti con una situazione normativa inadeguata ad accogliere le nostre esigenze. Sin dai primi decreti è mancato riconoscimento dei live club come luoghi in cui si crea e si promuove cultura, al pari di cinema e teatri, e questo è stato un grande dispiacere, che ci ha portati a fare delle riflessioni. Spazi essenziali, senza i quali i musicisti non troverebbero posto per esprimere la loro arte, entrare in contatto con il pubblico, crescere e avviare la propria carriera. Luoghi in cui si condividono esperienze ed emozioni, che sono fondamentali per la formazione dell’individuo e, di conseguenza, di una società evoluta che fonda le sue radici sull’arricchimento culturale.
In questo anno, però, abbiamo sperimentato anche molte cose positive. L’affetto dei fan e del pubblico, la vicinanza di chi ci frequenta e che ci ha incoraggiato e supportato chiedendoci a gran voce di non mollare. Qui al Live Club abbiamo scoperto (nuovamente) la forza del legame che unisce la nostra squadra. Con un atteggiamento il più possibile positivo e resiliente abbiamo cercato soluzioni, progetti e idee che ci permettessero di andare avanti. Non solo economicamente, ma di non cedere emotivamente. E questo è stato bellissimo, senza la mia squadra non sarei arrivata ad oggi forte e determinata a proseguire.
Inoltre, tra le cose che più ci hanno fatto piacere è stato il riscoprire l’importanza di fare squadra e rete, soprattutto con l’esperienza de ”L’Ultimo Concerto?”. Aver condiviso questa iniziativa con altre centotrenta realtà, con cui condividiamo non solo un mestiere, ma veri e propri valori, è stata un’esperienza senza precedenti. Un lavoro collettivo incredibile, che ci ha uniti per tentare di raggiungere degli obiettivi comuni, non solo per la salvaguardia del settore dei live club, ma che hanno come fine ultimo anche il sostegno del mondo del lavoro e dei lavoratori dello spettacolo.
Cosa manca in Italia per locali che hanno un peso e una importanza come il vostro?
Riconoscimento, valorizzazione e sostegno. Questi sono i nodi fondamentali su cui si basano poi anche le richieste che abbiamo esplicitato nel manifesto de “L’Ultimo Concerto” Sebbene ancora la strada da percorrere sia lunga, un piccolo grande passo è stato fatto già il 2 marzo, Dario Franceschini, attuale Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, infatti, ha destinato 50 milioni di euro per live club, concerti, autori, artisti interpreti ed esecutori. Inoltre, per la prima volta le parole “Live Club”, entrano di diritto tra le realtà riconosciute da un DPCM.
Di pochi giorni fa, inoltre, è un disegno di legge firmato da tutti i capogruppo di maggioranza, che identifica un concreto avvio della riforma dello spettacolo, che ha come obiettivo la tutela degli artisti, dei lavoratori dello spettacolo e del settore creativo, valorizzandoli, riconoscendone l’importanza sul piano culturale, sociale, formativo, educativo. Apprezziamo e auspichiamo che lo sportello unico preveda un censimento e riconoscimento anche dei luoghi dello spettacolo e quindi dei live club, così come da noi richiesto.
Cosa rappresenta per voi “L’Ultimo concerto?” Come avete affrontato l’evento con Diodato?
Per noi “L’Ultimo Concerto?” rappresenta un’iniziativa concreta, creativa, coordinata, che vuole dare voce al settore dei live club italiani. Per farlo è riuscita a coinvolgere oltre cento artisti che nella loro eterogeneità ben rappresentano la scena musicale italiana che è passata dai nostri palchi: noi siamo stati molto fortunati ad avere come nostro portavoce Diodato. Un artista con cui abbiamo creato negli anni un rapporto speciale, pieno di stima e riconoscimento reciproco. Un affetto che abbiamo percepito da subito nella sua disponibilità a partecipare all’iniziativa. Come Live Club abbiamo avuto il grande piacere di ospitare le prove del suo ultimo tour, punto di partenza da cui si è sviluppata la docu-serie ‘Storie di un’altra estate’, in cui Diodato racconta se stesso attraverso la sua musica e le città che hanno segnato la sua vita.
Per noi è stata un’emozione grandissima riuscire a tornare al Live Club mettendo in piedi “un evento”: accendere le luci, lavorare in squadra. Ha rappresentato un momento di stimolo in cui ognuno di noi ha raccolto le forze e l’entusiasmo per proseguire nel suo percorso di vita, credendo nel suo lavoro e nella dignità che gli deve essere riconosciuta. Un lavoro – senza ombra di dubbio – fatto di emozioni.
Quale aspettativa si ha per il futuro? quali compromessi sono auspicabili e quali non sono attuabili?
È necessaria una vera e propria riforma del settore. Per esempio, il nostro comparto non potrà aprire con capienze ridotte. Gli attuali indici di affollamento previsti dalla normativa, sono fra i più bassi in Europa, sottostimano la capacità di lavorare in sicurezza dei nostri luoghi e, già in condizioni normali e in assenza di misure di sostegno, rendevano difficile il raggiungimento della sostenibilità economica della maggior parte degli spettacoli e delle strutture. Vanno, quindi, opportunamente rivisti indipendentemente dalla pandemia.
Più in generale quello che mi auguro è che – come spesso accade quando perdiamo qualcosa all’improvviso – tutti abbiamo dopo questo periodo compreso l’importanza, la bellezza, il valore degli eventi musicali nella nostra vita. Partecipare a un concerto è un’esperienza unica, che crea unione, senso di appartenenza, unisce il pubblico in una grande bolla di emozioni. Un’esperienza collettiva e condivisa, tra le più forti e indimenticabili che si possano provare. Spero che tutti sentiremo la voglia e bisogno di recuperare il buco lasciato da questo lungo anno.
È basilare far capire al pubblico, a tutto il pubblico, il fatto che la musica oltre che divertimento, e modo di sopportare il mondo “là fuori” è anche il centro di tante esistenze, di tanti soggetti che ruotano intorno alla possibilità di dare ad altri un modo di evadere dal quotidiano. E non è questo forse basilare per tutti?
Articolo di Marco Oreggia