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 Mother Island intervista

Band molto giovane ma già con una discreta esperienza alle spalle, giunta al loro terzo album “Motel Rooms”

Mother Island

Ci fa davvero piacere intervistare i Mother Island, un’ottima band molto giovane ma già con una discreta esperienza alle spalle, giunta al loro terzo album “Motel Rooms” (qui la nostra recensione); una chiacchierata con Niccolò e Anita, rispettivamente chitarra e voce solista.

Per iniziare chiediamo ai Mother Island di parlarci delle loro radici, del loro sound e da dove trae ispirazione.

Niccolò – La band è nata come un gruppo di amici, intorno al 2010/2011, molti di noi avevano già qualche esperienza di gruppo alle spalle e abbiamo così deciso ad un certo punto di mettere insieme tutte le nostre influenze e gusti musicali cercando di fonderli in un unico progetto, nell’arco di un anno abbiamo perso un paio di elementi e incontrato Anita che intorno al 2012 è diventata la cantante, così abbiamo cominciato a costruito il nostro repertorio che ha varie influenze ma sicuramente si rifà al rock degli anni ’60, nel frattempo la line up si è consolidata e tranne qualche batterista che si è alternato è la stessa dal primo album in poi.

Anita – Il suono della band risente si degli anni ’60 ma non manca di inserire influenze varie che possono arrivare da ogni membro della band, includendo quindi anche stili differenti come jazz e blues e rimandi a musica più recente, quindi il background di ogni singolo elemento alla fine concorre alla creazione del nostro suono.

La scrittura come avviene, i pezzi arrivano già pronti in sala prove o magari vengono costruiti insieme intorno a una idea di partenza?

Niccolò – Non abbiamo una modalità preferita, per cui nei nostri dischi sono finiti sia pezzi che sono nati da una jam session sia pezzi nati con un sistema di lavoro meno immediato, per cui una idea o un riff vengono portati e sviluppati in sala prove mentre Anita lavora sul cantato e sui testi.

Anita – Sì infatti, come spesso accade non esiste un sistema predefinito, a volte sono io che sento un riff  anche suonato per caso che mi piace e decido di lavorarci sopra, quello che è comune a tutti i pezzi è che alla fine è il lavoro corale della band che ci porta al prodotto finito.

Voi siete una band che sembra fatta per la dimensione live e si avverte la vostra coesione e l’amalgama che si crea quando suonate dal vivo, raccontateci un po’ dei vostri concerti.

Niccolò – Beh anche se la dimensione dello studio di registrazione e la fase di creazione della nostra musica è appagante e anche tutte le attività legate a tutto quello che succede dopo che un disco è uscito, promozione, ecc… sono interessanti, è la dimensione live quello che ci dà la spinta e la carica per continuare a impegnare le nostre energie nella band.

Anita – Ogni volta che saliamo su un palco si tratta di un momento catartico, liberatorio che ci ripaga di tutto il tempo speso, della fatica e delle energie profuse in ogni aspetto della realizzazione di un disco, dal più piccolo al più grande. Si tratta di un momento dove la comunione che si viene a creare con chi viene a sentirci ci ripaga di ogni fatica e il fatto che tutto questo accada in modo molto naturale ed immediato ci gratifica ancora di più.

Niccolò – Anche solo il fatto di prendere un furgone e partire per andare in posti nuovi e conoscere gente nuova che sia a livello interregionale o internazionale, pur con tutte le difficoltà che si possono incontrare è una cosa che ci arricchisce come persone oltre che musicisti.

Il vostro ultimo  “Motel Rooms” ha 10 canzoni che compongono un disco sicuramente più maturo dal punto di vista della produzione, del songwriting e degli arrangiamenti. Album fra l’altro uscito oltre che in digitale solo su vinile, quindi un “disco vero” come si sarebbe detto una volta. Un formato, quello del vinile, che senza voler sminuire altri supporti, dona alla vostra musica una certa aurea di importanza.

Niccolò – La dimensione del vinile oramai fa parte del nostro standard come Mother Island, è il supporto che preferiamo e che pensiamo meglio si sposi alla nostra musica e al nostro tipo di sound. Il disco ha avuto un processo creativo molto lungo, abbiamo iniziato a comporlo subito dopo le registrazioni del nostro secondo album “Wet Moon” e l’idea era di promuove il nuovo disco ma allo stesso tempo continuare a lavorare sulle idee che poi sarebbero divenute “Motel Rooms” questo per cercare di far passare meno tempo possibile fra il secondo e terzo album. L’intento era di continuare nel processo già iniziato in “Wet Moon” di sterzare verso una forma canzone di sapore più pop rispetto a certe sonorità di stampo psichedelico che ci accompagnavano dal primo album.

Abbiamo lavorato moltissimo sugli arrangiamenti e anche questo ha influito sui tempi di gestazione e proprio poco prima di entrare in studio è arrivata, inaspettata l’occasione di intraprendere un tour americano sulla West Coast, un’occasione alla quale non potevamo rinunciare e alla quale abbiamo poi dedicato “Motel Rooms”. In più, visto che il materiale del nuovo disco era pronto, abbiamo colto l’occasione per testarlo direttamente sui palchi di questo tour. Al ritorno eravamo carichissimi e vogliosi di registrare. Ci abbiamo messo molto più tempo del previsto ma con il senno di poi possiamo dire di essere contenti e che tutto questo magari ha contributo a far sì che “Motel Rooms” sia uscito come lo volevamo.

Il disco è stato interamente prodotto e arrangiato da voi?

Niccolò – Praticamente sì, tranne per un pezzo dove ci sono state delle collaborazioni esterne, a livello di arrangiamento è stato tutto fatto in casa Mother Island

Riguardo ai testi, tu Anita scrivi direttamente in inglese, li pensi già in questa lingua oppure butti giù prima delle tracce in italiano, insomma come svolgi questa parte del lavoro?

Anita – Si tratta di un processo per me molto naturale e generalmente uso l’inglese sin dall’inizio magari solo con l’uso di qualche parola, perché non cerco di modellare subito il cantato su un testo definito, ma lascio che la voce sia strumento e che quindi per prima cosa si sposi bene con la ritmica e la parte strumentale. Piano piano poi definisco le liriche dopo che la melodia è stata composta e questa è la parte più dura del lavoro, anche se questo sistema a volte mi permette di modificare anche in ultima battuta un testo, cosa che mi è successa proprio durante il tour americano dove evidentemente qualche input locale mi ha ispirata in modo diverso.

Per terminare l’intervista, la nostra fatidica domanda: quali sono i tre album che salvereste dalla distruzione del mondo?

Niccolò – “Seed Of Memory” di Terry Reid, “Niandra LaDes And Usually Just A T-shirt” di John Frusciante e “The Magical Mystery Tour” dei Beatles.

Anita – Io non saprei proprio cosa dire, perché salverei discografie intere di alcuni artisti e non riuscirei proprio a fare una scelta così precisa.

Va bene, per stavolta ti abbuoniamo la risposta e prendiamo per buona quella di Niccolò a nome della band, puoi però indicarci un cantante che preferisci o che ti ha influenzato?

Anita – Beh due che fin da piccola ho sempre amato e mi hanno influenzato sono Billie Holiday e Karen Dalton, sono meravigliose e ascoltarle mi ha fatto scoprire un altro mondo.

Articolo di Francesca Cecconi

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