È appena uscito “Cyberfunk!”, l’esplosivo quarto lavoro in studio dei Mother’s Cake. Un album pazzesco (qui la nostra recensione), qualcosa che finalmente ferma l’orecchio per un ascolto ripetuto, ancora e ancora, che ti fa iniziare la giornata con energia, e chiuderla scaricando lo stress della cosetta puzzolenta che ci viene addosso più o meno costantemente. Abbiamo parlato del disco con la band stessa, in particolare con il batterista Jan Haußels, in attesa di vederli dal vivo, e speriamo quanto prima.
Dall’Austria ai palchi internazionali, siete un mix perfetto di energia, coinvolgimento e compattezza. Chi sono i Mother’s Cake? Da dove proviene questo incredibile condensato di vari generi musicali?
Siamo una band che pesta duro, tossica, un gruppo di musicisti divertenti, fieri possessori della più minuscola backline al mondo. Ci annoiamo facilmente e abbiamo sempre bisogno di cambiamenti per restare interessati a qualcosa. Questo dovrebbe spiegare da dove viene e come creiamo il nostro proprio genere: il Cyberfunk!
Come nascono i vostri pezzi esplosivi? Iniziate da jam in sala prove o ci arrivate già con un’idea? Curate poi personalmente gli arrangiamenti?
Con l’album “Cyberfunk!” i pezzi sono nati in entrambe le modalità. Abbiamo fatto un paio di sessioni molto lunghe per creare un corpo di idee. Yves Krismer (chitarra e voce) ha portato continuamente nuove cose, ri-arrangiate poi da solo o insieme a noi nella sessione di prove successiva. È stato come essere tre scimmiette che si arrampicano su albero, e Yves era quella che stava davanti, io e Benedikt Trenkwalder (bassista) subito dietro.
Raccontateci della sessione di registrazione di “Cyberfunk!”, tre giorni e notti consecutive, senza dormire, che hanno portato a creare un’energia grezza e pura, riversata nell’album …
Wow! La cosa suona piuttosto epica! Ed è stata così, quasi come un film eroico su tre ragazzi e i loro produttori Raphie e Manu che affrontano la sfida di domare una belva, e riuscirci. Fortunatamente posso dire che c’è stato un solo inconveniente, un tamburo fatto di argilla è andato in pezzi invece di restare con noi.
“Cyberfunk!” è il vostro quarto album, il vostro approccio alla scrittura e alla registrazione è cambiato negli anni?
Sì! Ora siamo consapevoli sull’uso del tempo necessario per fare un album. Ci permettiamo di lasciare le cose a riposare, a invecchiare, per vedere se un mese dopo ci piacciono ancora. Questa è una cosa che non potevamo fare o avremmo fatto in passato.
Cosa pensate dell’attuale scena punk e rock internazionale? C’è qualcosa che v’ispira o stimola?
Molte cose! L’Australia ha una scena psych-rock super interessante. Gli Stati Uniti offrono ancora un po’ di musica influente, con esempi come Unknown Mortal Orchestra o anche Khruangbin. È più una questione di quanto tempo si vuole investire nel trovarla, perché sta diventando una cosa difficile a causa della quantità enorme pubblicata continuamente.
I Mother’s Cake sono una band che sembra nata per la dimensione live, parlateci dei vostri spettacoli, e se pensate di suonare sui palchi italiani in un futuro prossimo.
Molto vero. Penso che sia così perché vediamo la nostra musica diventare viva sul palco. I concerti ci ispirano e creano quell’elettricità che cerchiamo sempre quando scriviamo un brano. Ci piacerebbe molto tornare a suonare in Italia ma soltanto se i promoter organizzano qualcosa di consistente, non soltanto apparizioni! (Saranno invece presto in tour in UK, Austria e Germania, ndr).
E infine, la classica domanda di Rock Nation: se tu potessi salvare tre, e soltanto tre, dischi dalla distruzione del mondo, quali sarebbero?
Pink Floyd “The Dark Side of the Moon”, Beatles “White Album”, David Bowie “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”.
Mother’s Cake interview (english version)
From Austria to World stages, you make a perfect mix of energy, commitment and consistency. Who are Mother’s Cake? Where does this incredible mix of multiple musical genres come from?
We are a heavy hitting, intoxicating (ed), fun bunch of musicians. Proud owners of the worlds tiniest, most broken backline. Bored easily and always in need of changes to keep it interesting. That should explain the mixing and creation of our own little genre: Cyberfunk!
How are your explosive tracks born? Do you start from jamming in the reharsal room or get there already with a tune? Do you personally deal with the arrangements?
Both happened for “Cyberfunk!”. We had a couple longer sessions to create somewhat of a pool of ideas. Yves also dropped new things on us constantly, rearranged them on his own or involved us in a next session. It’s like three little monkey climbing a tree, Yves being the one to go ahead.
Tell us about “Cyberfunk!” sleep-deprived three day sessions, that allowed the raw and pure energy to end up in the record…
Wow! That sounds pretty damn epic! And it was – almost like a hero movie about three guys and their producers Raphie and Manu facing the challenge of taming that beast into zeros and ones. Fortunately I can say that there was only one casualty. A little drum made of clay fell into his death. It should have stuck to the group.
“Cyberfunk!” is your fourth studio album, has your approach to song-writing and recording changed over the years?
Yes! We were conscious about taking our time. We allowed things to rest/age and see whether we would like them still a month later. That’s something we couldn’t or wouldn’t do in the past.
What do you think of the current international punk and rock music scene? Is there anything that still inspires or stimulates you?
Many! Australia has a super interesting psych rock scene. The States still offer some really influential music with examples such as Unknown Mortal Orchestra or even Khruangbin. It’s more a question of how much time you’re willing to invest into finding them cause that got really difficult with the amount being dropped all the time.
You are a band that seems made for the live dimension, tell us a little about your concerts, and are you planning to play live here in Italy in the next future?
Very true. I think it’s because we see our music becoming alive there. It inspires and creates that electricity you always aimed for writing a song. We would love to come back to Italy but only if the promoters get their granny’s to cook for us. We want the real deal, not just penne arrabbiata 😉
And finally, the classic Rock Nation question: if you could save just three records from world destruction, which one would they be?
Pink Floyd “The Dark Side of the Moon”, Beatles “White Album”, David Bowie “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”.
Articolo di Francesca Cecconi