
In una mattinata piovosa e noiosa cosa potrà mai succedere? Mi accorgo che dentro di me c’è una mistura scomposta di piacere, curiosità e (non lo nego) anche un po’ di tensione: sto per intervistare una band che ammiro immensamente, non solo per chi la forma, ma anche proprio per la forma che ha saputo dare alla musica. Senza ulteriori indugi do il benvenuto su Rock Nation a Lorenzo Esposito Fornasari, Carmelo Pipitone, Pat Mastellotto e Colin Edwin: gli O.R.k.
Partiamo con un back in time, per tutte quelle persone che magari vi conoscono meno. Vi va di raccontarci brevemente la genesi degli O.R.k.? Com’è nato questo progetto e in che circostanze?
Lorenzo Esposito Fornasari: Avevo già progetti con Pat e Colin. Un giorno ho chiamato Carmelo, spiegando che volevo creare una band con lui, il batterista dei King Crimson e il bassista dei PPT. Ha pensato scherzassi e ha riattaccato mandandomi a cagare… Quello che ci lega dopo tutti questi anni e chilometri in furgone è soprattutto una grande amicizia”
Dal 2015, anno del vostro primo disco, al 2025: 10 anni in cui è cambiato molto in tutto il mondo e non solo a livello musicale. Per voi cosa è cambiato e come?
Colin Edwin: Siamo sicuramente cresciuti e ci siamo sviluppati molto rispetto al primo album del 2015. Anche se penso ancora che “Inflamed Rides” sia un buon album, si sente che è davvero il suono di noi che troviamo il nostro terreno comune. Per quanto riguarda il mondo in generale, oggi è più difficile che mai capire cosa sia reale o meno, e cosa sia una parodia o meno. Il che ha in un certo senso informato il titolo del nuovo album
E cosa è, invece, rimasto uguale?
Colin Edwin: Stiamo ancora esplorando la nostra chimica e credo di poter parlare a nome di tutti i membri della band quando dico che siamo entusiasti di creare nuova musica come lo eravamo nel 2015. C’è una rara sinergia con gli O.R.k. e siamo ancora desiderosi di manifestarla. Credo si possa dire che siamo una combinazione molto insolita di personalità e influenze che si combinano e si riconfigurano in modi inaspettati e che ci sorprendono abbastanza da mantenerci interessati a continuare il viaggio.
Siete vere e proprie leggende: vi sentite tali? Come siete nella vita di tutti i giorni?
Pat Mastellotto: No, affatto! Siamo solo i tipi da “cani e bambini, batteria e musica”.
Definiscono la vostra musica prog, alternative e in molti altri sfaccettati modi. Sentite il bisogno di definire il genere che fate? E se sì, come vi piace farlo?
Carmelo Pipitone: La gamma delle nostre esperienze individuali comprende anche i generi da te citati, personalmente, però, posso dire di essere cresciuto ascoltando Hard Rock, Grunge e Blues, oltre a quel sano impulso a cercare sempre soluzioni diverse. Il nostro potrebbe quindi essere descritto come “Rock contaminato” di base.
C’è un nuovo nato in casa O.R.k. che si chiama “Firehose of Falsehoods” con uscita prevista per il 21 marzo …
Colin Edwin: “Firehose of Falsehoods” è il nostro quinto album, non è assolutamente un concept album, ma credo che sia un disco davvero forte con alcune delle nostre canzoni migliori e più focalizzate fino a oggi. Mi piace pensare che la versione in vinile sia la nostra “dichiarazione dell’album”, ma le versioni in CD e in digitale contengono anche una lunga bonus track, “Dive In”, che era davvero un esperimento di un pezzo più concettuale e lungo. Non sono sicuro che questo sia il segnale di una direzione futura per noi, ma alla fine si è rivelato qualcosa che credo mostri un altro lato della band ed è un pezzo piuttosto profondo e coinvolgente. Il titolo dell’album è davvero una descrizione contraria di ciò che l’album è in realtà. È pieno dei nostri sentimenti e delle nostre espressioni sincere, quindi è una manifestazione di noi stessi che si apre.
Di cosa parlano i testi dei brani? C’è un fil rouge?
Lorenzo Esposito Fornasari: Cerchiamo di mantenere la scrittura su un livello metaforico piuttosto che raccontare storie. Parliamo di sentimenti, di cosa viviamo quotidianamente senza doverlo descrivere parola per parola.
Come nascono le canzoni? Qual è il processo creativo? Lavorate a distanza o in sala prove insieme?
Carmelo Pipitone: Quando abbiamo iniziato questo percorso creativo vivevamo già tutti in città e continenti diversi quindi, se volevamo accelerare le tempistiche si doveva entrare nell’ ottica del lavoro a distanza. Per noi è normale ma è come se vivessimo insieme. Lo facciamo ogni volta che abbiamo bisogno di prenderci cura di noi stessi! Immaginiamo insomma di vivere nella stessa stanza.
Quanto e come hanno influito le vostre rispettive esperienze precedenti o parallele agli O.R.k. nella stesura di questo nuovo disco?
Colin Edwin: Tutti gli album sono in realtà istantanee di come ci sentiamo in quel momento, cartoline dal momento presente, per così dire. Siamo tutti attivi in contesti musicali diversi, ma c’è uno strano diagramma di Venn in cui ci intersechiamo ed è quello che si sente nelle registrazioni. Sono troppo vicino per poterlo articolare davvero, e non sono sicuro di volerlo fare. Guardando indietro, mi è chiaro che Screamnasium è stato influenzato dalla pandemia, abbiamo espresso molta speranza e ottimismo in quel disco, che era qualcosa che avevamo ovviamente bisogno di far uscire, dato che il mondo si era chiuso. Firehose Of Falsehoods ha un’atmosfera più pesante per la maggior parte, credo che in parte sia dovuto al fatto che Carmelo Pipitone ha abbracciato la chitarra elettrica in modo più completo e in parte riflette il nostro bisogno di fare qualcosa che abbia più tensione, ma è una tensione piacevole con una liberazione molto necessaria. In O.R.k. c’è un’atmosfera celebrativa e spero che questo si percepisca tanto quanto alcuni dei sentimenti più oscuri.
Per quanto riguarda il coinvolgimento di John Wesley, siamo sempre stati aperti ad avere musicisti ospiti quando possiamo offrire loro un buon contesto e Wes ha davvero elevato Mask Becomes The Face con il suo meraviglioso assolo. Avevo una buona idea di quello che avrebbe potuto fare, ma ha davvero superato le mie aspettative. È stato anche bello riallacciare i rapporti con Wes a livello personale, è passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo condiviso i solchi di un vinile.
Passiamo ora a parlare dei live. Come vivono il palco e il contatto con il pubblico gli O.R.k.?
Colin Edwin: Per quanto abbiamo dedicato molta cura e attenzione alla realizzazione degli album, per me O.R.k. dà il meglio di sé dal vivo: c’è un’energia e un legame rari che credo si manifestino meglio in un contesto live. Penso anche che la gente sia più propensa a capire la band una volta che ha assistito a uno spettacolo dal vivo. Per quanto sia orgoglioso degli album, O.R.k. è una forma di comunicazione speciale, che si apprezza meglio nel momento in cui la si ascolta.
Meglio un palco in un grande stadio con migliaia di persone davanti ma che non potete poi incontrare una ad una, o una realtà piccola dove poi poter stringere le mani e firmare i vinili? Che dimensione preferite?
Pat Mastellotto: Beh, potrebbe dipendere un po’ dalla band e dalla musica che sto suonando, ma in generale mi piacciono i club da circa 500 posti. Gli O.R.k invece probabilmente suonano meglio in una sala da 2.000 a 20.000 posti: siamo un gruppo rock feroce e rumoroso, anche se a volte possiamo essere teneri. E non vediamo l’ora di suonare di nuovo in Italia, siamo carichissimi!
Articolo di Bruno Giraldo
Le date italiane del tour:
- 7 maggio a Nimis (UD) – Lupus in Fabula,
- 28 maggio a Modena – Off
- 29 maggio a Milano – Legend Club
- 30 maggio a Lugagnano (VR) – Il Giardino 2.0