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Octopuss intervista

Power trio dall’impatto live devastante e fuori dagli schemi: l’energico verbo del Funk è tramutato in un affascinante ibrido

Octopuss

Gli Octopuss sono un power trio dall’impatto live devastante e fuori dagli schemi: l’energico verbo del Funk è tramutato in un affascinante ibrido e un suono che unisce la carica del Cross-Over statunitense alle intuizioni melodiche del Rock britannico anni Settanta. Il gruppo, Reepo a chitarra e voce, Garrincha al basso (membro fondatore di Le Vibrazioni) e Nick Turri alla batteria, ha nel live la propria dimensione fondamentale.

La band è una delle poche realtà italiane a poter contare quasi un migliaio di concerti tenuti in tre continenti: Europa, Nord America e Asia. Gli Octopuss possono anche vantare le registrazioni dell’ultimo album in uno degli studi più famosi d’America, gli Shangri-La Studios a Malibu , con la produzione di Gary Miller. Abbiamo incontrato gli Octopuss in occasione dell’uscita del loro nuovo singolo “Miami Airport” fuori il 21 maggio 2021 per Freecom/ZdB

È appena uscito il vostro ultimo singolo, “Miami Airport”, che ha un testo molto particolare. Ci raccontate di cosa parla?

Per quanto riguarda la parte testuale abbiamo tenuto in questo brano una scrittura volutamente semplice e molto “leggera”. Lo spunto del testo è l’assurdità di un dialogo, cui abbiamo realmente assistito all’ufficio Lost&Found dell’aeroporto di Miami, tra un signore non americano che male parlava l’inglese e una signorina alquanto scortese e sbrigativa che gli faceva il verso. Una situazione surreale creatasi tra due persone che stentavano a capirsi e aiutarsi, che se vista dal di fuori era di una comicità incredibile: la abbiamo incorporata in un botta e risposta di due sole frasi ripetute parossisticamente ad oltranza, che amiamo pensare come un minimale ammiccamento al brillante stile nonsense e scanzonato a volte usato da Frank Zappa nelle sue linee più ironiche e irriverenti, che di sicuro è una delle nostre influenze preferite.

Quali sono i tre artisti a cui vi siete ispirati maggiormente per la stesura di questo brano?

Tendenzialmente durante la scrittura dei brani tentiamo di non “ispirarci” a nessuno in particolare, e senza porci limiti o paletti, per quanto ci è possibile, diamo libero sfogo alla creatività e lavoriamo nell’ottica della creazione di un sound che rispecchi appieno la nostra visione sonora, per cui risulta alla fine caratterizzato e crediamo identitario.

Gli ascolti determinano il gusto, e il gusto musicale determina poi la scrittura: ascoltiamo di tutto, e tutto quindi può accendere uno spunto creativo. È però innegabile il nostro amore per le band rock iconiche del passato, così come per le loro evoluzioni britanniche e statunitensi figlie degli anni ’80 e ’90, insieme con gli altri grandi artisti portavoce della scena funk. È naturale quindi che sonorità che amiamo molto, da sempre nei nostri ascolti, come quelle dei Beatles, degli Stones, Hendrix, Led Zeppelin, James Brown, Stevie Wonder, Prince, Nile Rodgers, George Clinton …, costituiscano influenze che confluiscono poi nel nostro modo di suonare e di arrangiare i pezzi, contaminandolo a volte anche in modo subliminale, proprio perché è come se facessero parte del nostro DNA musicale inconscio.

“Miami Airport”, nello specifico, si basa su un potente riff di basso in slap: impossibile, ad un primo ascolto, non pensare a band dove il basso ha un ruolo centrale nella composizione come ad esempio i Primus o i Red Hot Chili Peppers – anche se quest’ultimi poco amavano i tempi dispari, con cui noi invece abbiamo giocato in questo e in altri brani del disco. Le linee di chitarra, spesso sostenute dall’uso del caratteristico effetto wah wah, che si divertono ad intrecciarsi entrando e uscendo con le linee vocali a tratti doppiandole all’unisono, possono ricordare un sound più hendrixiano, che va via via sempre più emergendo nella seconda metà del brano, quando il pezzo prende tinte più psichedeliche. Non da ultimo, il filo conduttore del brano è un groove incalzante, che può rimandare in modo più moderno e poderoso al portamento funk in stile “Motown”, bello quadrato e con un tiro solido su cui abbiamo lavorato parecchio, che diviene ancor più evidente quando entrano in gioco gli overdub di fiati e tastiere del nostro ospite Enrico Gabrielli (The Wistons, Calibro 35), che riteniamo uno dei musicisti più validi ed eclettici su scala nazionale, un’assoluta autorità quando si parla di funk e gusto psichedelico.

Sappiamo che il palco è il luogo dove più vi piace esprimervi: qual è il paese dove vi siete sentiti più a casa?

Si, il palco è il luogo a noi più congeniale, il nostro habitat naturale, dove possiamo dare libero sfogo a tutto quello che abbiamo dentro. Abbiamo suonato un po’ dappertutto: molteplici show in Italia, tour negli States, sia sulla East Coast che sulla West Coast, Gran Bretagna e resto d’Europa e recentemente ben dieci tour in Cina che sono andati molto bene. A dire la verità sul palco ci sentiamo sempre “a casa”. E’ una sensazione difficile da spiegare. Ci è capitato più volte di essere dall’altra parte del mondo, stanchi, affamati, a volte pure mezzi malati, ma una volta saliti sul palco si accende qualcosa che ci è molto familiare: noi tra gli amplificatori e il pubblico, a sudare e dare tutto, si fa lo show e il pubblico risponde, è uno scambio di energie incredibile, è un po’ come fosse la nostra cura per tutto, e molto spesso riteniamo che sia il vero motivo per cui facciamo questo mestiere. Il palco per noi ha il sapore di casa, di comfort, a prescindere dal Paese che sta ospitando il nostro show, e ci fa sentire magnificamente bene.

Avete instaurato rapporti con le principali rockstar cinesi: Cui Jian, Xie Tianxiao, Luo Qi e il Zuoxiao Zuzhou. Ci raccontate come vi siete conosciuti e cosa è scaturito dalla vostra amicizia?

Eravamo ormai abbastanza ferrati su cultura e modus operandi degli addetti ai lavori e dei fan europei e statunitensi, ma al momento della partenza per il primo tour in Cina, senza che nessuno di noi tre parlasse una parola di cinese, e seppur avendo preparato con approfondita dedizione il primo sbarco in suolo cinese, non sapevamo bene cosa aspettarci.

“Come riusciremo a coinvolgere e farci capire dal pubblico?” Ci chiedevamo anche. Ci era comunque giunta voce che la scena rock cinese fosse molto florida e attiva, e così decidemmo di provare ad omaggiarla, dopo esserci documentati scoprendo una miriade di cose nuove e artisti a noi allora  sconosciuti, inserendo in scaletta una nostra versione di due popolari canzoni rock cinesi, “Hai Kuo Tian Kong” della band cantonese Beyond, e “Ashima” di Xie Tianxiao, per proporle dal vivo sin dai primi concerti, in modo tale che la cosa potesse essere apprezzata anche dal pubblico e potesse servire da ponte tra la nostra musica e quella più amata dall’audience locale. La cosa, unita all’enfasi delle nostre performance fisiche e muscolari, piacque assai al pubblico e cominciò a girare la voce di questa “band italiana venuta in Cina per spaccare”, la voce arrivò anche ai media locali, e da lì anche alle star locali.

Così una sera, celato in mezzo al pubblico in un club di Pechino, venne a vederci nientemeno che Cui Jian; la stessa cosa accadde circa una settimana dopo con Xie Tianxiao e durante il tour successivo venne anche Luo Qi. Sono nomi che per molti qui in Italia – così come anche per noi prima di partire – possono risultare sconosciuti. Si tratta invece di vere e proprie icone rock cinesi. Basti pensare che dopo quella nostra esibizione a Pechino, Cui Jian insistette per portarci a cena per conoscerci meglio, e in quell’occasione ci raccontò di quando Mick Jagger, in tour con gli Stones in Cina, lo chiamò personalmente al telefono per chiedergli di duettare con lui cantando insieme “Wild Horses”: ci sembrava una cosa pazzesca, ma avevamo di fronte quello che in Cina viene chiamato il padre del rock cinese! Un personaggio importantissimo, dalla carriera lunghissima e leggendaria, molto intelligente e ironico, umile ma al contempo brillante… ed era pure bravo ad imitare la voce di Jagger al telefono! Ci sentiamo di tanto intanto, ed è sempre interessato a cosa stanno combinando gli Octopuss su suolo cinese.

Con Luo Qi, cantante dalla voce incredibile e performer molto brava e carismatica, è nato un bellissimo rapporto basato sulla stima reciproca. Abbiamo non di rado collaborato e duettato, registrando anche insieme un brano per il mercato Asiatico e imbarcandoci insieme in un tour congiunto che ci ha portati ad esibirci in grandi festival e super club in tutta la Cina, spesso duettando sul palco con lei. Le vogliamo molto bene, e la vita in tour con lei è stata davvero un’esperienza davvero spassosa.

Abbiamo invece conosciuto Zuoxiao Zuzhou in vista di una performance organizzata dal nostro management cinese a Kunming: dovevamo duettare con lui sulle note di un paio dei suoi brani più famosi. Non sapevamo bene cosa aspettarci visto che ce lo descrivevano come una delle rockstar più controverse della scena cinese, e di sicuro non eravamo in grado di capire appieno i suoi testi; si presentò puntuale al soundcheck in modo molto dimesso e mite, attorniato dal suo entourage e si dimostrò sin da subito molto interessato a noi, ed entusiasta del modo in cui avevamo riarrangiato i suoi pezzi per meglio poterli rendere dal vivo in trio. È una persona molto calma e riflessiva, simpatica ed educatissima, che ci piacerebbe rincontrare per altri live insieme.

Se devo comunque indicare un artista cui siamo particolarmente legati a livello umano e musicale, direi sicuramente Xie Tianxiao, una delle rock star più estreme e turbolente di tutto il vasto panorama rock cinese. È nata tra la band e lui una grande amicizia e un vero e proprio sodalizio artistico. Abbiamo duettato con lui svariate volte, e ogni volta abbiamo buttato giù la venue che ospitava il concerto. È venuto a trovarci anche a Milano, e ci siamo esibiti insieme in un secret show organizzato in fretta e furia: molto underground! Ha preso molto a cuore gli Octopuss sin da subito, ci ha fatto firmare con la sua etichetta discografica in Cina, e ha seguito il nostro percorso molto da vicino come un fratello maggiore. Siamo stati molte volte anche nel suo magnifico studio pechinese, abbiamo condiviso idee, sensazioni, note e concetti. Reepo ha anche collaborato al suo ultimo disco, 《那不是我》, registrando per lui le chitarre in tre brani dell’album, che gli abbiamo consigliato di registrare in Italia, con la produzione di Marco Trentacoste: il disco ha vinto poi il Grammy asiatico Golden Melody Award,  per la categoria Best Chinese Rock Artist 2018.

Per finire, avete un aneddoto da condividere con voi sulla vostra vita in tour?

Avremmo infiniti aneddoti da poter raccontare sulla nostra vita in tour: alcuni condivisibili altri meno raccontabili. Ve ne racconteremo un paio.

Parlando dei recenti tour asiatici, che prevedevano in sostanza uno show al giorno per 30, 40 giorni di fila, per ogni tour, abbiamo toccato praticamente tutte le province e le principali città cinesi, da quelle più tecnologiche e avveniristiche, a quelle più rurali, da quelle più occidentalizzate a quelle invece più tradizionali in stile “vecchia Cina”. Siamo arrivati fino alla Mongolia Interna, nella zona centrale e desertica intorno alla islamica città di Lanzhou, a 4000 metri per un festival nella città di Hongyuan – a ridosso con il confine tibetano -, nelle città di Dali e Kunming  a pochi chilometri rispettivamente dal confine con la Birmania e il Laos, e anche a sud fino al confine con la colonia portoghese di Macao e Hong Kong, e ancora più a sud nella tropicale isola di Hainan, posta nel golfo del Tonchino proprio di fronte alle coste Vietnamite, vedendo la magnificenza di paesaggi, climi, habitat e culture estremamente diverse tra loro.

Proprio quando dovevamo recarci in Mongolia Interna per partecipare ad un festival, a causa di un disguido aereo siamo arrivati a notte fonda. L’arrivo, sotto una luna incantevole, ci ha lasciati senza parole. Pensavamo di essere tra dei piccoli monti, rischiarati appena dalla luce lunare. Solo il giorno dopo, con il sole, abbiamo capito e siamo rimasti ammirati nel vedere che la zona intorno al palco era tutta composta da dune di sabbia naturale, che poi abbiamo scoperto essere tra le più alte al mondo… c’era un via vai continuo di cammelli e carovane di ogni tipo. Beh subito dopo il soundcheck io e Nick abbiamo preso due quad e ci siamo fatti un lungo giro tra le dune di questo deserto: un’esperienza unica. E il festival, la sera, fu una bomba!

In un’altra occasione, ci trovavamo nella provincia dello Sichuan per un festival nella città di Hongyuan. La zona del palco era poco sopra i 4000 metri sul livello del mare. Nei camerini prima di suonare, ci siamo accorti che il nostro catering era costituito da bottiglie d’acqua e bombole di ossigeno per l’altitudine! Lì per lì ci abbiamo scherzato su, ma una volta sul palco ci siamo accorti che muoverci come facciamo di solito risultava tutt’altro che facile: non essendo abituati all’aria così rarefatta ogni movimento richiedeva uno sforzo doppio, ogni passo era pesante, e se provavamo a “spingere” un po’ di più, le gambe comunque andavano a rilento e si aveva l’impressione di rimanere senza fiato. È l’unica volta che abbiamo provato una sensazione del genere su un palco. Era come essere a suonare su Giove, con il peso corporeo che si percepiva come raddoppiato.

Articolo di Francesca Cecconi

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