Paolo Benvegnù è tornato con “Piccoli Fragilissimi Film – Reloaded”, uscito l’11 ottobre su Woodworm, una nuova versione del disco che ha segnato il suo esordio da solista esattamente vent’anni fa. È un nuovo lavoro che scava a ritroso nel tempo con mani nuove e ancor più esperte, seppur più consumate, senza tradire l’originale ma dando nuova linfa e un fascino diverso ai brani, e diventa un progetto collettivo grazie a preziose e inaspettate collaborazioni. Ce lo presenta Paolo stesso, con la sua umiltà di sempre.
Paolo ciao, ci siamo sentiti l’ultima volta quando è uscito “È inutile parlare d’amore”, e ora siamo molto, molto contenti che ti abbia portato alla targa Tenco!
In realtà io non sono certo che sia tutto vero, ma devo dire che vado lì con le mie vecchie medaglie di quando giocavo a bocce per restituire il malloppo anche in maniera retroattiva, cioè secondo me è un’illusione, non se ne sono ancora accorti ma quando se ne accorgono gli ridò tutto, gli ridò anche delle cose mie personali. Insomma non ci credo ancora, non riesco a comprendere credimi, mi vergogno tanto, non sono abituato ai riconoscimenti, sono abituato a stare nell’angolo della stanza, perciò mi sembra un regalo troppo grande per me.
Siccome questo grandissimo riconoscimento ti è arrivato inaspettato, tu intanto hai continuato a lavorare a testa bassa su nuove cose, non ti sei adagiato sul risultato incredibile dell’album e hai messo su questo progetto della nuova versione di “Piccoli fragilissimi film” che hai chiamato “Reloaded”. Ultimamente ne escono tante di riedizioni, invece tu hai fatto veramente un progetto nuovo con tante collaborazioni e con tre brani completamente nuovi con altrettanti ospiti. Come hai avuto quest’idea e come si è realizzata?
Allora, mi sono svegliato scettico come ogni mattina e nella realtà io non avevo la tendenza a fare una cosa di genere seppur conoscevo le grandezza di quel disco. “Piccoli fragilissimi film” è stato importante esistenzialmente ma nel rimetterci mano c’è sempre il grande pericolo dell’operazione nostalgia, e io non ho alcuna nostalgia per quell’epoca, perché mi interessano le cose che succedono in questo momento. Quando mi è arrivata questa suggestione, non volevo farlo ma i miei compagni, i “Benvegnù”, hanno detto ma guarda che sarebbe bello farlo, quando facciamo questi pezzi in sala prove ci piacciono, noi li conosciamo ma non li abbiamo mai suonato insieme e invece sarebbe bello, allora poi alla fine mi hanno convinto, e mi ha convinto anche il fatto che appena abbiamo messo un po’ la voce in giro che volevamo provare a fare questa nuova versione, tutti questi esseri umani meravigliosi, uomini e donne, che partecipano al disco si sono proposti con un entusiasmo, una volontà, una dedizione, una generosità incredibili.
Ed è stato fantastico perché io praticamente non ho fatto niente in questo disco, cioè ho soltanto guardato che le cose andassero per il verso giusto, perciò se c’è un trait d’union tra la scrittura di vent’anni fa e il disco di adesso è che ho veramente lasciato che le cose che c’erano bastassero, e il vero senso della scrittura, che peraltro all’epoca non comprendevo cosa significasse ora forse l’ho compreso meglio finalmente, forse proprio perché sono riuscito a non agire ed è per me un risultato enorme quello che è successo. Veramente è stato così, ognuno di loro ha fatto quello che ha voluto e la modalità in cui ha voluto. Io ho soltanto registrato “Isola Ariosto” che è uno dei tre dei tre inediti del disco, ho schiacciato il tasto e poi sono stato alla regia mentre gli altri suonavano improvvisando per un’ora e mezza. Poi ho preso il materiale e ho fatto dei tagli a caso, ci ho messo su una storia che è la mia storia cioè il fatto che io sto attendendo da sempre qualcosa.
Gli artisti che hanno collaborato sono veramente di varie estrazioni di età e di genere, come si è sviluppata la collaborazione?
Per me è stato un disco incredibile ma anche difficile, in cui ho dovuto per esempio imparare a cantare come Appino, quello è un genio capito, e diventare pisano non è stato facile (ride), oppure come Veronica de La Rappresentante di Lista che canta in maniera eccezionale è stato talmente formativo … Per me che sono sempre stato un po’ chiuso, vedere che le persone al posto di darti delle gran randellate ti danno una carezza e ti abbracciano è stato veramente bello, una grande lezione e chissà se l’ho imparata. Diciamo che questa operazione alla fine si è rivelata delicata, leggera e non massacrante perché anzi un piacere immenso per me è stato un percepire la gioia dell’altro nel trovare uno spazio che non è il suo usuale spazio e restare veramente se stesso.
Ma questi artisti hanno avuto anche voce in capitolo sul nuovo arrangiamento dei brani?
In realtà io mandavo loro delle mie versioni chitarra e voce e poi loro inventavano su quello che volevano, non c’era nulla se non il brano e il testo che mandavo dicendo loro fate quello che volete potete anche cambiare tutto il testo; sorprendente e bellissima è la parte dove Piero Perù inventa la cosa sua, si è veramente superato. Io a un certo punto ho cercato disperatamente di togliere la mia voce da ogni pezzo, però i miei compagni mi hanno ricordato che l’album sarebbe stato a mio nome: la tua voce ci vuole ogni tanto! A malincuore ho dovuto soggiacere a questa cosa ma le canzoni erano perfette in tutte le loro versioni, una meraviglia assoluta.
Invece cosa mi dici dei tre brani inediti nell’album?
Gli inediti sono proprio filologicamente della stessa epoca, sono dei brani che non erano entrati nel disco perché li ritenevo minori, ma poi riascoltandoli nella versione minimale chitarra e voce, mi sono detto ma sai che forse questi pezzi non sono così male? Poi quello che abbiamo fatto è stato ho fatto la stessa cosa degli altri brani, ho registrato una versione chitarra e voce e li ho mandati ai musicisti ospiti, loro hanno fatto quello che hanno voluto. Nel caso de “Le gioie minime” a priori sapevo che a Irene Grandi sarebbe piaciuto quel pezzo per il concetto che c’è dietro al brano, e infatti è stato così, ci ha mandato la voce dopo solo tre ore; è incredibile questa accoglienza così piena di talento e piena di dolcezza nei confronti miei e dei miei compagni, è stato veramente bellissimo
E di “Isola Ariosto”?
Per “Isola Ariosto” io ero in regia a registrare mentre i miei compagni hanno improvvisato per un’ora e mezza; dopo ho fatto dei tagli a caso, sono rimasti dieci minuti che mi sono sembrati armonicamente tra di loro perfetti, del tutto casualmente. Per il testo l’antefatto è che io fin da adolescente attendo qualcosa e non so cosa sia, la mia vita è la contemplazione verso qualcosa che forse non verrà mai, e perciò mi sembrava perfetto completare il brano con una poesia della mamma di Max Collini declamata da lui, che è agli antipodi rispetto al fatto che io attendo qualcosa di finito che non arriva mai, mentre lei dice che questa sera è come ieri sera e come l’altra sera. Mi sembrava bella una chiusura perfetta da parte di uno dei miei eroi della poesia italiana che è Max Collini, con una poesia di sua mamma che sì era operaia ma aveva la sensibilità dei poeti.
Ma conoscevi questa poesia o te l’ha proposta Max?
La conoscevo perché Max ha fatto un libro ultimamente con un suo compagno di avventura da sempre che si chiama Arturo, e c’è un capitolo di questo libro che è dedicato alla mamma di Max, alla sua figura da partigiana e poi da operaia, e c’è questa poesia che mi ha colpito tantissimo perché è proprio la considerazione e l’intuizione di qualcuno che con la vita si è sporcato le mani in tutti i sensi, è un testo talmente bello e talmente poetico e talmente vicino anche alla figura di Max.
“Piccoli fragilissimi film Reloaded” diventa anche un tour, in partenza a novembre: cosa hai preparato?
La scaletta sarà composta da brani di quel periodo, ci saranno degli ospiti alle volte. La mia battuta è questa, io e Luca Baldini andiamo sotto casa di questi ospiti travestiti da ufficiali della guardia di finanza dicendo se non venite a fare i concerti poi facciamo degli accertamenti, attenzione! (ride). Non vi resta che aspettare, tanto manca poco all’inizio del tour e questo mi getta nell’ansia più profonda però il tempo è un’illusione, come la vita per gli artisti, cioè percepiamo e la nostra realtà comunque non è la realtà degli altri.
Come sai Paolo, io tengo molto ai testi, sarebbero fondamentali nella musica, ma purtroppo non è così, perché ci propinano parole che noi ripetiamo a macchinetta, e non ci rendiamo conto neanche di che cosa canticchiamo; spesso, e parlo da donna, testi che sono sessisti, sono violenza di genere mascherata. Nelle canzoni c’è una parte comunicativa molto subdola, ma è talmente fondamentale proprio perché è subdola. Vorrei la tua opinione, visto che non sei mai caduto in queste trappole di farci cantare fuffa.
Sono assolutamente d’accordo con te, è vero. Ti ringrazio perché questo qua è un aspetto che nessuno coglie, è invece una cosa molto importante. Scrivere canzoni, per me personalmente, è molto più difficile che fare letteratura, perché tutto sottende a una regola, che è una regola aurea, cioè la parola nell’accordo, nella melodia, devi prendere tre cose, e quelle tre cose devono brillare, esplodere, secondo per secondo … non è così semplice. Fare letteratura è diverso, fare prosa è diverso, è un po’ come fare poesia per certi versi, ma in più c’è questo aspetto strettamente legato all’armonia, alla melodia, che fa in modo che sia tutto così complesso. Perciò per il fatto che tu lo noti, e che lo noti in maniera così specifica, ti devo ringraziare, perché non lo nota nessuno, grazie davvero per aver detto questa cosa, non tanto relativa a me, ma in generale.
Poi, fammi spendere una parola su ciò che dicevi prima, sul genere. C’è un problema grande: spesse volte gli esseri umani, di persona maschile, non si rendono conto che qualsiasi tipo di creazione, anche la più colossale fatta da un uomo, è soltanto e assolutamente un palliativo per non poter creare in carne e sangue, e la creazione in carne e sangue sappiamo benissimo da dove viene. Allora il senso è che noi uomini stiamo proprio male da millenni. Quando Michelangelo scaglia il martello sul Davide, non è perché non parla, ma perché non è in carne e sangue. Io nel tempo non ho fatto grandi evoluzioni nella struttura dei testi, l’unica vera grande evoluzione è la modalità con cui la cerco, ovvero: non la cerco, attendo, attendo finché non arriva, attendo e sto in silenzio finché non arriva, e possono passare mesi e anni. Il meccanismo legato alla piccola costruzione di intuizioni deve partire dal silenzio, deve partire dal vuoto, non per riempirlo assolutamente, ma per esserne coerenti, complementari. E perciò quello che faccio io è semplicemente attendere e mettermi in squadra con silenzio e con il vuoto. Punto.
Ma allora, quando arrivano queste parole e tu le afferri e le metti su carta o le canticchi, che effetto ti fanno? È un processo di trasposizione, quindi ti risuonano già perfette?
Allora, le mie cose sono vera terapia per me. Lo dico, sono un egoista sotto questo punto, io scrivo per curarmi. Alle volte sono talmente curative che mi metto a piangere, ma non perché siano belle, semplicemente perché era qualcosa che doveva uscire, di cui non conoscevo né prima né durante la rilettura il significato, il perché. È come quando fai un sogno bellissimo oppure un incubo terribile, ti entra assolutamente in quello che è il tuo spazio emozionale. Talvolta resiste soltanto una prima cellula e da quella prima cellula devo andare a ricostruire altro attraverso intenzioni che mi sembrano paradossali o completamente diverse, provenienti da altri posti, da altri luoghi.
Scrivere non è certo un lavoro fisico come lavorare 12 ore in fabbrica, ma io ne sento molto la fatica. Tant’è vero che ogni volta che devo scrivere un disco nuovo, dall’inizio, prima di mettermici faccio una gran resistenza perché so che entro in un meccanismo di rivelazione che può anche essere distruttivo per me. Perciò la prendo molto sul serio questa cosa dei testi. Poi invece in realtà, specialmente negli ultimi episodi, è stato tutto molto gradevole, ma solo perché i miei compagni riescono a dare la loro leggerezza all’interno della mia pesantezza.
Tu di nuovo, come fai da sempre, dai un grosso valore sempre ai tuoi compagni, ai tuoi musicisti.
Ma noi cosa siamo senza gli altri? Non siamo nulla.
Scrivere canzoni è una grossa responsabilità perché la forma canzone pare una forma di intrattenimento, invece è comunicazione profonda, i tasti toccati nell’ascolto possono essere profondi. Quindi come gestisci questa responsabilità di andare a sconquassare un po’ l’anima della gente?
Certo, assolutamente. Ma io cerco di sconquassare la mia, poi per quello che succede là fuori ho un grande senso di responsabilità e rispetto, che si va a permeare nella mia estrema volontà di non lasciare mai nulla di intentato per impegnarmi spasmodicamente su tutti gli aspetti. Per me è un privilegio sapere di poter toccare corde intime di qualcun altro con una frase, un’intuizione. Il senso di responsabilità che sento in maniera specifica si trasforma nel mio impegno totale affinché se uno viene intercettato da qualcosa che ha a che vedere con me, sia quantomeno dignitoso dal punto di vista del lavoro che c’è dietro, che è un lavoro che ribadisco non è manuale, è come cercare di trasformare l’aria in acqua. Ecco, perciò io mi impegno per riuscire a fare questa cosa, ovviamente non so se ci riesco, ma anche provarci è bello!
Articolo di Francesca Cecconi
Foto archivio di Roberto Fontana
Date del “Piccoli Fragilissimi Film – Reloaded Tour”:
- 12 novembre 2024 – Bologna – Locomotiv Club
- 16 novembre 2024 – Nichelino (To) – Teatro Superga
- 17 novembre 2024 – Firenze – Viper Theatre
- 21 novembre 2024 – Milano – Santeria
- 22 novembre – Isola Della Scala (Vr) – Showtime Arena Nuova Data
- 23 novembre 2024 – Roma – Monk