A 50 anni dal suo esordio discografico, la PFM – Premiata Forneria Marconi festeggia con un tour nei principali teatri italiani con “PFM 1972-2022”, da “Storia di un minuto” a “Ho sognato pecore elettriche” abbracciando la poesia di Fabrizio De André”. Video proiezioni e scenografie virtuali segnano questo viaggio nel tempo che abbraccia anche la poesia di Fabrizio De André. Ne parliamo con Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, che insieme a Lucio Fabbri costituiscono il nucleo originario della prog band che nei decenni ha visto più cambi di formazione.
“Ho sognato pecore elettriche” è il titolo del vostro nuovo album. Da cosa deriva la scelta di riprendere la citazione del libro di Philip Dick che ha ispirato “Blade Runner”?
Franz: Siamo amanti di fantascienza, è una cosa viscerale. Dick aveva capito tutto, la sua è una fotografia di come stava cambiando il mondo. Noi non siamo contro i social, ma ormai viviamo in universi paralleli, quello dei social e la nostra vita reale. Non siamo contro i social ma se stai a chattare fino alle tre di notte verranno a trovarti le pecore elettriche che salteranno nei tuoi sogni e non ti faranno dormire, togliendoti la capacità di sognare, di inventare cose nuove.
Patrick: Siamo pieni di androidi, non sono fatti di metallo ma in carne e ossa. Siamo circondati da gente talmente influenzata, presa dal comunicare in tutti i modi la propria offerta commerciale che i ragazzi oggi sono davvero in pericolo, la gioventù è influenzata mentre dovrebbe portare avanti idee rivoluzionarie. Si stanno chiudendo, non hanno più fantasia, stanno perdendo la loro ragione di essere, vivono in una bolla piena di cose false. È la fantasia che ci fa muovere, noi abbiamo ancora un ragazzo dentro, i sogni ti fanno fare dei salti pazzeschi nella vita.
La tecnologia non ha avuto impatto in nessun modo sulla vostra musica?
Patrick: Noi suoniamo ancora con strumenti veri, siamo degli artigiani. Stare sul palco è la nostra vita, vogliamo farlo per tutta la vita, direi che il nostro sogno si sta avverando. Abbiamo ancora dentro quel ragazzo che spinge. La tecnologia è entrata nella musica da tutte le parti.
Franz: Da quando nel 1984 è subentrato il protocollo Midi, tutto è stato rivoluzionato, tutto in studio diventa perfetto. La bellezza si ricrea in postproduzione, prima si ricercava in partenza. Un esempio: ora si mette tutto “a tempo”, dopo aver registrato. Noi questa cosa non l’abbiamo mai fatta, non per snobismo ma perché non avevamo tempo. Il pc certo agevola certi meccanismi ma prima non c’era un altro sistema, ci accontentavamo del 24 piste. Ora puoi avere anche mille piste ma questo non velocizza anzi rallenta il lavoro. Prima in una settimana si faceva il disco e anche il missaggio. Oggi è diventato tutto troppo oneroso in termini di tempo. Noi non possiamo fare così perché siamo spesso in tournée. Con più di 350 concerti l’anno non avevamo tempo per fare i dischi perfetti, anzi capita spesso che ci inventiamo dei brani al momento, dal vivo. Poi restano improvvisati, questa è la nostra caratteristica. Abbiamo creato come un supporto strumentale che va oltre la musica, colpisce emotivamente. Come capitava con De Andrè, lui aveva il suo flusso emotivo. Quando poi cominciamo a suonare ognuno prende la propria parte e la porta il più avanti possibile. Ci scambiamo delle cose e lo facciamo davanti al pubblico che lo sa e ne resta colpito. Suoniamo perché respiriamo ciò che accade nel concerto, è la nostra particolarità. Quando suono e spingo forte, so che emoziono. Poi Patrick inizia a pompare anche lui. Chi ha lo strumento solista si sente spinto, poi sotto c’è il tastierista che armonizza.
Come in una jam session insomma
Patrick: Sì, nell’accezione letterale che significa: marmellata. Tutti insieme ci muoviamo costantemente ma si è sempre compatti. Non c’è mai una forma definitiva ma si modifica costantemente. Sul palco non facciamo mai le stesse cose, ci divertiamo sempre. Per noi è una scommessa con noi stessi. Anche i grandi classici come anche “Celebration” e “Impressioni di settembre” non sono mai le stesse. Tra noi e il pubblico restiamo sospesi in un momento particolare, dal vivo sempre cambiamo anche i finali delle canzoni: è un happening vero e proprio. Diversamente, non avrebbe senso continuare a suonare dal vivo alla nostra età ma noi amiamo il nostro lavoro.
C’è un disco che riflette più degli altri questo vostro approccio alla musica?
Franz: Nel disco “Pfm in classic” in cui abbiamo reinterpretato i grandi compositori classici, montiamo e rimontiamo i brani. Raccontiamo la storia della musica con la fascinazione. Tutto il disco è pregno di un modo di vedere il mondo, è una metafora di come siamo sul palco: meno manipolati e indirizzati possibile. C’è tutta la libertà possibile, è questo il messaggio anche del disco. A breve, lo suoneremo del vivo a Città del Messico.
Patrick: in questo disco, noi abbiamo immaginato di incontrare Mozart che certo non aveva bisogno di un bassista o un batterista ma la differenza si vede. Non abbiamo modificato le partiture, solo aggiunto quello che secondo noi avrebbero aggiunto Mozart o Prokofiev se avessero avuto la Pfm. Modificare è nel nostro Dna, lo facciamo tutte le sere. Siamo musicisti puri, non artisti. Ci piace suonare quello che ci piace non quello che la gente si aspetta da noi, non ci è mai importato di deludere la casa discografica. A tutti i musicisti che si sono avvicendati nella band, dicevamo sempre di non imitare il precedente ma di portare linfa nuova per aiutarci ad andare avanti.
Nel prossimo tour, c’è una sezione dedicata a De Andrè. Ormai non potete fare a meno di suonarlo dal vivo.
Franz: Fabrizio scrive poeticamente, è uno dei più grandi. Noi i gli abbiamo dato tutto ciò che la sua musica non aveva. Lui ti tocca perché la sua è una storia vera, sublime. Ti fa capire cosa succede all’interno di una persona che ha tutta questa emotività. Dando il suono alla sua poesia fa gli abbiamo cambiato la vita e la visione sonora. Noi facevamo i turnisti, è così che ci siamo incontrati. Lui all’inizio era sulle sue, non fu un incontro eclatante ma capimmo subito che era davvero bravo.
Patrick: Lui è stato molto bravo a darci fiducia mentre gli dicevano tutti: sei pazzo, la Pfm ti cancellerà, verrà malissimo. Quando è arrivato l’accordo definitivo, dovevamo partire. Non abbiamo avuto tempo per provare e allora ci siamo divisi gli arrangiamenti, per fare prima. Questa è stata la chiave del successo e di quel disco: ognuno scriveva dei brani in cui metteva il proprio stile. Per questo, alcuni sono più incentrati sul basso, altri sulle tastiere: è un lavoro pieno di cose diverse cose fatte in modo immediato.
Franz: Quel disco resta per tutti incredibile. Lui sul palco non sentiva ciò che facevamo. Sia la voce che la chitarra erano altissime, non poteva andare lui a tempo con noi ma noi con lui. Poi, una volta in sala, su 24 piste abbiamo tirato su le tracce e dopo aver ascoltato ci disse: “ma questo è ciò che la gente ascoltava? Adesso capisco l’entusiasmo”. Si alzò e disse: “chiamatemi a missaggio finito, voglio la sorpresa a disco già fatto”. Fabrizio riesce ancora a farci sognare e ispirare cose non caotiche come i giorni che viviamo.
Articolo di Alessandra De Vita