I Public Practice hanno appena pubblicato il loro primo album “Gentle Grip” (qui la nostra recensione), uscito il 15 maggio 2020, che segue il loro Ep del 2018 “Distance Is A Mirror”. Questa giovane band newyorkese ha un suono fresco e ricco al tempo stesso, con influenze punk, nowave, disco, funk e breakbeats. Non è facile essere sorpresi da nuove proposte, che tendono in genere a replicare modelli passati, invece che reinventarli e valorizzarli, come invece i Public Practice sono stati capaci di fare, con intelligenza, sensibilità, creatività ed energia, oltre che una buona dose di tecnica. Leggiamo nelle parole di Sam York, vocalist dei Public Practice, quali sono i punti di forza e la dimensione musicale della band.
Chi sono i Public Practice, come si siete formati e iniziato a suonare insieme? Quali artisti hanno ispirato la vostra musica e stile e il modo in cui suonate dal vivo?
Vince e Sam erano già creativamente in collaborazione sin dal un loro precedente progetto, Wall, e anche Drew e Scott erano insieme in una precedente band, Beverly. Vince e Sam hanno iniziato a fare demo insieme, Drew e Scott si sono uniti e la band era nata! Siamo ispirati dalla musica newyorkese della fine anni Settanta, sia la Disco che il Punk hanno influenzato la musica che facciamo.
Nel vostro nuovo disco ci sono molti diversi modelli sonori; come componete e arrangiate una musica così complessa, con linee di basso pesanti e armonie vocali?
Vince è l’architetto principale della nostra musica; di solito il processo lo vede buttare giù un demo di base con un riff o un ritmo di batteria, poi Sam ci lavora con idee vocali e la band si riunisce per provare la traccia fino a che non diventa la canzone! Ci piace fare scelte inaspettate, destabilizzare l’ascoltatore tutte le volte che possiamo, tenere tutti in sospeso, carichi di aspettative!
Quanto è importante per voi la dimensione live? E pensate di venire sui palchi europei in futuro?
La performance live è un’importanza enorme per i Public Practice, per noi non c’è niente di paragonabile allo stare sul palco insieme, l’energia è altissima. Penso che la nostra musica sia valorizzata al meglio dal vivo, noi ci divertiamo davvero moltissimo ed è importante che il pubblico lo percepisca ed entri a far parte della nostra dimensione. Ballare ci unisce. Ci piacerebbe molto venire in Europa! A causa della pandemia in corso purtroppo è difficile fare progetti, ma appena sarà possibile saremo da voi!
Rock Nation interviews Sam York, vocalist of Public Practice
Who are Public Practice, how the band was formed and you started to play together ? What artists inspired your music and style and the way you play live?
Vince and Sam have been creative partners since their previous project, WALL, and Drew and Scott were also in a previous band together, Beverly. Vince and Sam started making demos and then Drew and Scott joined in and the band was born! We are inspired by late 70’s NYC, both the disco and punk elements have influenced the music we make.
In your new record there are different sound patterns; how do you compose and arrange such a complex music with strong bass lines and vocal harmonies?
Vince is the primary song architect, usually the process involves him coming up with a riff, or drum beat, making a basic demo then Sam works on vocal ideas and the band gets together to jam on the track until it becomes a song! We like to make unexpected choices, to pull the rug out from under the listener whenever we can, keep everyone on their toes!
How important is the live performance for your band? Are you planning to come to Europe in the next future?
Live performance is a huge aspect of Public Practice, there is nothing like standing on stage together, the energy is wild. I think our music is best translated in live performance, we have so much fun together and I think it’s important for the audience to see that and to be part of the music in that way. Dancing brings us together. We would love to come to Europe! With everything going on with Covid-19 it’s hard to know when we will be able to. As soon as we’re able we will!
Articolo di Francesca Cecconi