Lunga e molto piacevole chiacchierata con Fabio Bortolussi, uno dei due direttori artistici del Sexto ‘Nplugged, boutique festival friulano che è davvero una delle eccellenze musicali dell’estate, il festival dove andare per mille ragioni, che scoprirete leggendo la nostra intervista. Tutto il programma lo trovate su sextonplugged.it/, dove sono presenti anche suggerimenti per un’esperienza di soggiorno unica.
Diciannovesima edizione del festival, sono tante! Ne ripercorriamo la storia? Il seme com’è germogliato?
Ci troviamo a Sesto Al Reghena, è un piccolo borgo friulano. Parliamo il veneto perché storicamente era parte della Repubblica Serenissima. Vai a 3 chilometri e nella frazione più vicina già parlano il friulano. C’è una differenza di dialetto, una cadenza che è completamente diversa. Qui è veramente una terra di confine, con un misto di un po’ di tutto. Allora, il seme del festival com’è germogliato qui? È germogliato nel 2005. Sesto Al Reghena era famosa perché ha una Abbazia dell’XVIII secolo; circa una quarantina di anni fa la Regione Friuli aveva identificato dei luoghi del territorio in cui iniziare un tipo di percorso che attraverso la musica e lo spettacolo, poteva portare del buon turismo. Aveva identificato Sesto Al Reghena insieme ad altri quattro comuni, cinque location dove iniziare questo percorso. Ai tempi, ti parlo degli anni ‘70, nasce dunque il cartellone dell’estate musicale. Io mi ricordo che da ragazzino andavamo a portare le sedie in piazza per gli spettacoli perché per noi ragazzi era comunque una novità, vivendo in un piccolo paese.
Vivere queste esperienze di spettacolo musicale di un certo livello per noi era molto stimolante. In paese ci conosciamo tutti, siamo cresciuti insieme con interessi in comune, seguendo un percorso culturale simile. Da grandi abbiamo intuito che quel tipo di manifestazione, che comprendeva la musica classica, il cantautorato, l’operetta e l’opera, non aveva più senso perché, oltre a essere un dispendio economico non indifferente, aveva creato un po’ di noia. Non era più accattivante come poteva essere negli anni Settanta/Ottanta, perché i tempi stavano cambiando e quindi noi giovani, che avevamo dei gusti musicali completamente diversi, abbiamo iniziato questo nuovo percorso. Ci siamo buttati!
All’interno del cortile della Abbazia, dove già prima facevano appunto gli spettacoli, ci siamo detti perché non ci portiamo l’Indie Rock? Un Indie Rock che comunque doveva essere raffinato, cioè avere il rispetto di quello che poteva essere l’ambiente architettonico e anche religioso e sacro, perché ti trovi in una situazione dove non puoi entrare e fare un Rock sostenuto, dove il pubblico ha un tipo di reazione energica di fronte al gruppo che c’è davanti. Ma esiste tutto un altro mondo, sempre rock, che si poteva sposare benissimo con quell’ambiente lì. La scommessa è andata bene, abbiamo avuto un buon riscontro, poi siamo riusciti anche a costruire tutta una serie di sfaccettature all’interno del festival dove non hai solamente il concerto, ma un vero un salotto a cielo aperto. Quindi nel cortile, con una capienza fino a duemila persone in piedi, si è creata questa formula di boutique festival, dove da tanti anni registriamo delle presenze di pubblico che non sono solo a livello nazionale, ma sono anche a internazionale.
Nei primi anni che cominciavamo a fare gruppi inglesi, abbiamo avuto fan inglesi che prendevano l’aereo e venivano qua, perché quando mai si vedevano il loro artista preferito a dieci metri dal palco? E in una location che è pazzesca, c’è il cortile, il palco viene messo sotto il campanile, tutto ha un impatto molto forte a livello estetico-artistico, veramente potente.
Però il bello è anche che per gli artisti, infatti i camerini sono nel salone abbaziale, quindi gli americani quando arrivano vanno fuori di testa. Chiedono di che anno è l’abbazia? Del 753 d.C.? Non ci credo! E con questo siamo riusciti a dare un grosso valore storico-artistico alla zona, abbiamo fatto anche conoscere l’Abbazia anche persone che comunque normalmente non fanno quel tipo di turismo. Non solo, ma anche gli artisti stessi… allora dalle 18 alle 19 c’è la messa, quindi si ferma tutto e qualche artista è pure andato a messa, ti giuro! Abbiamo visto delle cose pazzesche, possibili in un ambiente contenuto. Ti faccio un altro esempio: adiacente comunque alla piazza Castello, in una piazzetta che praticamente fa parte del giardino di un palazzo storico che è proprio adiacente all’Abbazia, allestiamo l’area lounge. Quando è finita la serata, la gente si ferma lì perché è un’area-salotto. C’è la parte food & drink, c’è la parte artistica con installazioni, mostre d’arte. E ci trovi gli artisti stessi. L’anno scorso i Dry Cleaning, finito il concerto, sono rimasti con il pubblico, seduti ai tavoli, la gente ci chiacchierava insieme.
È un’atmosfera quasi familiare, anche se i concerti sono di respiro internazionale…
Esatto, è così. È una nicchia protetta dal frastuono. Il bello è che poi non è una questione solo di pubblico, ma l’artista stesso si sente in una nicchia protetta, quindi non ha problemi a mettersi al tavolo, versarsi la birretta o il gin tonic, parlare con la gente. È una bella esperienza per gli artisti stessi.
Una dimensione umana e non commerciale, come purtroppo sono ormai la maggior parte dei festival. Vai, ti strapazzi, consumi e torni.
Qui la gente si ferma e apprezza. E noi ci siamo trovati in tutto questo in maniera anche inconsapevole, perché quando nasci e fai le cose per passione, le conseguenze poi ti arrivano senza previsioni. Ci siamo resi conto con il passare degli anni che questa situazione si stava formando e diventava sempre più concreta. Sesto Al Reghena fa parte dei borghi più belli d’Italia, l’essere piccolo permette una situazione veramente vivibile e amichevole per il pubblico. Abbiamo creato tutto questo perché siamo partiti per passione. Avevamo questa possibilità, abbiamo sperato che funzionasse, e ha funzionato.
In Italia abbiamo bisogno di dar valore a tutte quelle bellezze che possono fare veramente la differenza, gli artisti le capiscono queste cose. È chiaro che se vuoi organizzare il concerto dei Depeche Mode non li puoi fare qua, hai bisogno di uno stadio. Però esiste tutto un altro mondo musicale che noi possiamo valorizzare e in Italia abbiamo questa possibilità perché abbiamo delle location fantastiche. C’è questa possibilità e perché non dobbiamo? Facciamo conoscere al mondo le sfaccettature del nostro paese che normalmente non entrano nei grandi percorsi turistici ma non hanno niente da invidiare a tutto il resto. Il turismo musicale è un indotto incredibile che serve a tanti, e genera cultura.
Passiamo al lato più tecnico: la direzione artistica è sempre in mano a voi? Come decidete il cartellone? Quanto tempo prima cominciate a muovervi per l’edizione successiva?
La direzione artistica dell’evento è interna all’associazione culturale Sexto, abbiamo un piccolo gruppo che inizia già alla fine del festival a buttare giù le prime idee, poi ci affidiamo comunque ai promoter per la chiusura contrattuale. Negli ultimi anni siamo riusciti a creare una struttura dove abbiamo anche due dipendenti, abbiamo varie figure che si occupano di tutta quella parte professionale della quale c’è bisogno perché l’organizzazione venga al meglio. Come direzione artistica stiamo cercando di spaziare musicalmente per aprire anche nuove prospettive perché il bello di una piazza così secondo me è che tu puoi farci quello che vuoi ma devi farlo con intelligenza, con rispetto per il luogo, come dicevo.
Un festival per molti, inclusivo… Tra l’altro ho visto che quest’anno c’è una serata a ingresso libero
Normalmente proponevamo l’abbonamento al festival che portava ad avere una serata gratuita; quest’anno per tempi e per scelte artistiche c’è un programma molto vario, e comprare un abbonamento su un programma così un po’ stride. Allora abbiamo fatto questa scelta di gratuità a prescindere da un abbonamento, sulla serata di A Toys Orchestra che noi apprezziamo come band indipendente italiana, insieme a, come nuova proposta, Marta Del Grandi che da un paio d’anni si sta facendo strada a livello oltre che nazionale anche internazionale, lei in Europa sta girando tantissimo in grossi festival. Abbiamo visto questa serata un po’ come un regalo che facciamo al pubblico, anche per far conoscere questi artisti emergenti perché è il compito di un’associazione creare conoscenza culturale.
Rispetto a un promoter il fine di un’associazione culturale è completamente diverso e anche il modo in cui si arriva al fine è totalmente diverso, ecco quindi la cura dei dettagli, perseguire una situazione di benessere. La definizione di boutique festival per il Sexto ‘Nplugged ci è stata riconosciuta ed è stata una bellissima esperienza, dopo tanti anni sono orgoglioso anche di questa cosa perché è il pubblico che te la dà questa definizione senza che noi l’avessimo cercata, abbiamo fatto solamente il nostro dovere, con passione, di fare questo tipo di promozione culturale.
Sul sito dell’associazione vedo che avete molti progetti collaterali, quindi durante l’anno non state con le mani in mano …
La Regione Friuli Venezia Giulia ci ha riconosciuto un partenariato non indifferente come associazione, è un valore che ci siamo ritagliati a livello istituzionale, ci dà dei fondi e ci riconosce un contributo perché oltre a quello che facciamo qua vogliono che esportiamo quello che è il nostro modo di fare cultura, quindi facciamo anche durante l’anno parecchie altre iniziative con altre realtà e varie collaborazioni, non solo musica ma molte altre tipologie di attività culturali, anche nel segno dell’eco-sostenibilità. Cerchiamo di esportare in altri luoghi del Friuli un po’ il marchio di quello che è il nostro modo di operare in questo ambito. Diamo spazio al cinema, alla musica, all’arte, cerchiamo di essere abbastanza completi. Trovate tutto sul nostro sito web!
Articolo di Francesca Cecconi