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Sinezamia intervista

La band new wave nata in territorio mantovano, compie 20 anni

I Sinezamia, band new wave nata in territorio mantovano, compie 20 anni. I festeggiamenti arrivano sul finire del loro secondo decennio di vita con “Distanze” (la nostra recensione), album di otto tracce inedite, che rompe un digiuno discografico di 5 anni. Abbiamo incontrato la band a pochi giorni dall’uscita del disco (disponibile in cd e sulle piattaforme digitali, ma nel 2025 dovrebbe arrivare il vinile), e in particolare modo il cantante Marco Grazzi, fra i fondatori del gruppo, per parlare del nuovo lavoro.

Vent’anni dalla vostra nascita, un nuovo album, “Distanze”, e un singolo, “Vanità”, rilasciato alcune settimane fa. Un gradito ritorno, atteso da molti, soprattutto dopo la bella cover dei Joy Division uscita in tempo di Covid. I Sinezamia stanno dunque tornando in scena. Come sono stati questi 20 anni nei quali siete fra le poche realtà new wave mantovane?
Vent’anni anni volati e ancora non ci sembra possibile. Chi lo avrebbe mai detto che da quel lontano Maggio 2004 saremmo stati ancora qui a parlarne? Sicuramente, senza peccare di presunzione, i Sinezamia hanno raccolto molto meno di quanto hanno seminato. Colpa dell’uso della lingua italiana piegata a un rock dark atipico? Il non aver mai seguito il trend del momento? Onestamente non lo so. Siamo sempre stati una band indipendente al 100%, dalle produzioni a registrazione dei nostri dischi, al procurarsi contatti per concerti, recensioni, promozione, distribuzione. Dei piccoli artigiani della musica… il che ovviamente ha i suoi limiti oggettivi. Vent’anni di prove, concerti, dischi, gioie, dolori, dipartite, recensioni, interviste, porte aperte e porte chiuse per sempre. C’est la vie.Ma indubbiamente se si parla di new wave “mantovana” o di band virgiliane, non si può non tenerci in considerazione. Forse anche tra le più longeve e attive che propongono musica propria.

Il vostro ultimo album di inediti è del 2019. Cosa ci dobbiamo attendere da “Distanze”?
“Distanze”, il nostro terzo disco di inediti (che segue “La fuga” del 2012 e “Fingere di essere” del 2019, senza contare il disco dal vivo “Decadanza” del 2015 e i vari EP e singoli del passato) sarà un disco di puro Rock italiano, tinto di New Wave e atmosfere darkeggianti ma anche con sfumature belle toste. Per tracciare dei parallelismi, sarà più un riavvicinarsi allo stile de “La fuga”, ma con la maturità e consapevolezza di oggi. Non a caso in scaletta abbiamo inserito molti brani di quell’album.

Il vostro sound in questo nuovo album mi pare essere più compatto e meno dark. Eppure i brani sono figli di epoche diverse. Merito nella nuova formazione?
Il termine dark negli anni è stato ampiamente travisato e storpiato. Il sound attuale è sicuramente compatto in quanto c’è un ottimo affiatamento tra noi cinque, di cui è giusto fare menzione speciale alle new entry Luca Losio al basso e Saverio Coizzi alla batteria, senza dimenticare Alessandro Conte alla chitarra, arrivato nella band quando “Fingere di essere” era già stato registrato. Trattasi quindi della prima registrazione ufficiale con lui alla chitarra. Degli otto brani, tre sono figli del passato. Brani che all’epoca non trovarono il loro giusto vestito; una gestazione lunga e non convincevano i vecchi membri della band. Con l’ottima alchimia sviluppata ora, abbiamo ri-arrangiato questi tre brani (“Vanità”, “Brucia in me”, “Dietro il velo”) mentre gli altri cinque sono tutti opera mia e di Carlo Enrico (Scaietta, tastierista e co-fondatore assieme a Marco Grazzi dei Sinezamia). Per la prima volta in 20 anni abbiamo scritto non solo i testi ma anche le musiche di questi brani. E sicuramente il legame che ne esce è davvero potente quanto emozionante. Già le demo di questi pezzi erano praticamente complete, si è trattato solo di arrangiarle tutti assieme in fase di pre-produzione. Brani scritti in periodo covid, lontano dai palchi e dalla gente. L’omogeneità e compattezza che quindi riscontri (e che anche noi percepiamo) è sicuramente legata a questo fattore. Oltre ad averci dedicato molto tempo e minuziosità nella fase di missaggio del disco (al contrario della decina di giorni per registrarlo).

Vi vedremo live? Sarà un lavoro che proporrà collaborazioni?
Confidiamo in un ritorno live con il nuovo anno. Dopo 4 anni di assenza dai palchi, la nostra voglia è davvero tanta ma è davvero difficile trovare spazi adatti e propensi a una band come la nostra, che propone un repertorio esclusivamente inedito e si “procaccia” le date senza l’apporto di nessuna agenzia. Ma non demordiamo, per questo abbiamo preparato una scaletta di 20 brani (e più) per festeggiare i nostri 20 anni di attività. Dovreste sentire come suona e come suonano certi pezzi ripescati dall’oblio. Collaborazioni? No, nessuna. Magari per il futuro, chissà.

Come sono nati “Vanità” e “Brucia in me”, due brani che trovo rappresentativi per questo album?
Come accennato prima, sono due brani figli della vecchia formazione (si parla del periodo post-“La fuga”) ma che non avevano mai trovato una veste consona. “Vanità” in origine aveva un testo molto più lungo, con almeno due strofe in più (omesse poi dalla versione definitiva) ed è un chiaro viaggio mentale a tinte erotiche e passionali, dalle sonorità dark rock tipicamente nostre. Sta’ riscontrando notevoli passaggi in radio, quindi l’idea di lanciarlo come singolo apripista è stata azzeccata. “Brucia in me” invece risale al 2015, ma non venne mai provato. Riesumato nel nuovo corso, ha trovato un nuovo arrangiamento e ampliamento del testo. E’ un brano potente e trascinante. Parla di realtà distorte, distanze da questa finta società priva di libertà, la cui unica salvezza è la rabbia che cresce ed arde dentro di noi.

“Magico Sabba” è un brano magico, entra dentro e resta in testa in modo meraviglioso. Come è nato?
Scrissi “Magico Sabba” in un pomeriggio di fine 2022. In poche ore avevo già registrato le linee di chitarra, basso e batteria. Erano ben conficcata nella mia testa l’atmosfera che volevo creare, sapevo quello che volevo. Era un periodo dove ascoltavo in loop “Matrilineare” dei CSI e “La sottile linea bianca” degli Afterhours. Avevo necessità di quel sound. Carlo Enrico ha poi sapientemente aggiunto delle tastiere in stile “Perfect Strangers” dei Deep Purple. Ed ecco che da questo connubio ne è uscita “Magico sabba”, brano esoterico e atipico nella nostra produzione.

Altra canzone e davvero interessante è “Dietro il velo”…
… altro brano già composto nel lontano 2013, ma sempre ritenuto non all’altezza. Venne scritto nel periodo dei primi attentati terroristici firmati dall’Isis, in concomitanza dei tanti dilemmi scaturiti dall’uso del Burka.Da qui l’idea di non poter accettare di stare dietro a un velo a celare il mio volto, la mia libertà, fomentando inutili guerre e atti ignobili nel nome di un Dio, che porta via i figli alle loro madri. Tutti sappiamo quello che sta succedendo ancora oggi nel medio oriente e abbiamo trovato ancora attualissimo questo brano (purtroppo). Non poteva non essere inserito nell’album.

Brani, questi, che hanno un’ottima parte ritmica, e tanta chitarra. Sarà questo il mood del nuovo lavoro?
La nuova sezione ritmica si fa sicuramente sentire, con un ottimo affiatamento e incastri perfetti. Soluzioni anche più dirette e meno ostiche del passato, per una linearità e resa maggiore e d’impatto. La chitarra è ben presente, ma non eccessivamente come nei vecchi dischi. Anche qui la mano è diversa e sicuramente da più respiro quando è necessario per essere poi ben presente quando l’atmosfera del pezzo lo richiede. Non c’è un mood univoco. Ma c’è tanto fermento. Infatti stiamo già lavorando a diversi brani nuovi, che potevano magari già finire in questo album. Ma abbiamo preferito dedicare il tempo necessario e fare le cose per bene.

In generale, però, “Distanze” guarda molto al mondo che ci troviamo a vivere. Sono canzoni attuali, mi riferisco ai testi e ai temi trattati. C’era qualcosa da dire e ci siete riusciti. Siete soddisfatti di questo risultato?
Siamo molto soddisfatti, perché dopo quasi 4 anni di silenzio non è stato facile rimettersi in gioco. Ripartire, con nuovi compagni di viaggio, con nuove idee, senza aver mai la paura di non farcela. C’è voluta tanta pazienza ad assecondare questo silenzio assordante, ma ora siamo qua. Di nuovo. Sono stati anni complessi, dove il mondo è cambiato e ha stravolto le nostre abitudini. Quante volte abbiamo mantenuto le “Distanze” in questi anni? Sono brani figli “di stanze” diverse, distanti tra loro ma unite dalla tecnologia. Tutto ha un filo logico, nulla è stato lasciato al caso.

Quale è il brano che, a tuo avviso, vi rappresenta di più in questo nuovo lavoro?
Per me sono tutti potenziali singoli, sia per durata che per sonorità. Indubbiamente il singolo “Vanità” è molto rappresentativo, ma credo che anche “Catarsi” rappresenti bene il nostro mood attuale.

Tutto il Rock, in tutte le sue declinazioni, ha sempre raccontato i sentimenti e le situazioni che ogni traccia dell’album mette in chiaro. In questo mi sembrate fedeli alla linea, o mi sbaglio?
Anche quando non c’è (la linea).I nostri brani sono sempre l’esternazione dei nostri sentimenti e situazioni vissute. E’ il drappo saturo di sofferenza che viene strizzato e ne rilascia gocce nere d’inchiostro, che danno forma ai nostri testi, alle nostre musiche, alle nostre visioni.

Il genere musicale che vi contraddistingue è oggi fuori moda. Un tempo ha dettato il ritmo, tracciato un solco e una strada. Eppure resta ancora minoritario. Si celebra il Prog in tutte le salse possibili, ma la New Wave resta ai margini. È un bene o un male? Al netto, ovviamente, delle operazioni – viste quest’anno – di celebrazioni varie… 
Credo che la situazione sia ciclica. Le sonorità anni ’80 spesso le risentiamo in diverse band e brani del momento. Le celebrazioni e annesse réunion fanno parte del momento storico in cui viviamo, sterile di idee e convinzioni. Le nuove generazioni hanno un approccio diverso verso la musica, lontane anni luce dall’idea di band/disco/concerto. Da qui anche i “mostri sacri” si ritrovano ciclicamente a festeggiare i loro dischi d’esordio. Potevo capirlo 10 anni fa, ora no. È oggettivo che c’è una carenza di idee e stimoli anche per gli artisti, un terreno poco fertile dove trarne beneficio. Da qui la consapevole ragionevolezza di rifugiarsi nel passato, nel “sicuro”. Io stesso ascolto dischi vecchi. Ma preferisco i dischi vecchi alle auto-celebrazioni che fanno rima con funerale.

Come si colloca la vostra esperienze musicale in questo mondo? O meglio, come pensi che venga accolta oggi la vostra esperienza musicale?
Quando capita che qualcuno si ricordi di noi, per magari averci visto dal vivo in passato, o perché magari possiede tutti i nostri dischi, è una gioia senza eguali. E questo ci spinge, nel nostro piccolo, ad andare avanti. La nostra è una piccola esperienza, in un contesto musicale molto ampio. In tanti ci hanno sempre detto che se fossimo nati in un altro periodo sicuramente il nostro risvolto sarebbe stato differente. Non lo so, non mi interessa come la gente ci accoglie. Mi interessa rispondere alla mia urgenza di fare musica. Tutto qua.

Mi è piaciuto molto il tuo discorso, sentito in una recente intervista, sul fatto che in Italia si continua a paragonare gruppi ed esperienza musicali. La vostra è una bella esperienza musicale, non sarebbe ora, dopo due decenni, di valutarla per quello che è?
E lo dici a me? Sono gli addetti ai lavori che dovrebbero valutarci per quello che siamo e facciamo.Di recente, in un articolo, è stato scritto che se il nostro singolo “Vanità” fosse stato pubblicato da un noto artista italiano (l’innominabile e satanico Mister P.P. … come dicevano i friuliani Detonazione) si sarebbe gridato al miracolo.

La domanda allora che ne scaturisce è: e più importante capire e conoscere chi ha scritto realmente “Vanità” o come sarebbe andate le cose se quel pezzo l’avesse scritto un noto artista?
Vi è una mentalità sempre basata sul confronto, soprattutto col passato, ma molto legata al genere proposto. Nel nostro caso, le band di riferimento in Italia sono sempre state poche e i paragoni molte volte sono sempre avvenuti solo per sentito dire. Ma se dopo 20 anni siamo ancora qui, è perché evidentemente abbiamo imparato a non ammalarci per queste cose.

Durante il Covid ci hai regalato delle belle dirette live dedicato al mondo musicale che ispira la vostra esperienza. Tornerai a farne?
Erano delle dirette chiamate “L’angolo del bootlegaro”, dove mi divertivo a fare una sorta di selezione di bootleg e demo delle band che ho amato fin da ragazzo e che negli anni ho sapientemente recuperato, restaurato, collezionato e archiviato. Ma c’era anche una situazione di piena pandemia mondiale, dove i rapporti sociali erano stati praticamente azzerati e dovevo inventarmi qualcosa per stare assieme, visto che comunque eravamo tutti sui social in quel periodo.È stata una esperienza molto bella e soddisfacente. Ancora oggi in molti mi chiedono quando tornerò a farla. Non lo so, ogni cosa ha il suo tempo, e ora è tempo dei Sinezamia.

Articolo di Luca Cremonesi

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