Steve Wynn indubbiamente ama il vecchio continente, e non poco l’Italia. Torna qui quando gli si presenta l’occasione, e i migliori live club gli spalancano le porte sapendo di fare il tutto esaurito. Così è stato anche lo scorso 16 ottobre a Firenze nella #Redrum de La Chute (qui la nostra recensione). Tra il sound check e la cena con organizzatori, amici e fan, una lunga intervista dove Steve ha voglia di raccontare, di raccontarsi, con la stessa generosità con cui imbraccia la sua chitarra e suona a lungo ogni volta che sale sul palco.
Ciao Steve, bentornato in Italia. Siamo molto orgogliosi che ti piaccia suonare qui da noi. Hai un legame particolare con il nostro paese?
Sì, adoro tutto dell’Italia. Sono molto grato e fortunato del fatto che l’Italia sembra contraccambiare questo amore da molto tempo ormai, sin dalla prima volta che venni in tour qui, nel 1986. Una cosa che amo del venire a trovarvi è che spesso non suono solamente nelle grandi città ma anche in piccoli centri, quindi per me è molto divertente esplorare, è parte della natura di ciò che faccio. Sai, prima del sound check mi stavo facendo un giro nel quartiere, ho camminato per quasi tre chilometri e il mio promoter mi ha chiesto perché mi faccio giri lunghi così ogni volta. Io ho risposto che è parte del divertimento di essere qui. Comunque i fan sono fantastici, il paese è bellissimo, il cibo incredibile e sorprendentemente i miei concerti solisti sono anche piuttosto popolari. Credo che sia perché avete una lunga tradizione di opera lirica e di cantanti folk, un particolare gusto per lo stile drammatico. Con una band rock è sempre facile, a tutti piace il Rock. Ma da solista c’è sempre un po’ più di teatro per certi versi, c’è più intimità con il pubblico.
Cosa ne pensi di questa nuova dimensione dei concerti causata dalla pandemia? Senti ancora la stessa atmosfera anche con un pubblico ristretto?
Senti finora il tour è stato molto interessante, sono in giro da due settimane e durante la prima c’erano restrizioni piuttosto pesanti sulla partecipazione. Credo inizialmente fosse ridotta al 30% e che sia aumentata solo da poco. Quindi ho visto un cambiamento già in itinere. All’inizio è strano di sicuro, hai a che fare con questi grandi stanze con poche persone… per il mio ego non è un problema, so gestirmi queste situazioni, semmai c’erano che un bel po’ di fan che non riuscivano ad entrare, quindi ho fatto due concerti a serata. Come immaginerai non è cosa da poco ma volevo che tutti potessero vedere lo show. Poi di sicuro le sedie distanziate sono strane, in due settimane non ho visto nessuno in piedi, tutti a sedere. Farci l’abitudine non è stato semplice, anche perché la gente sembra connettersi a te in modo differente da solito. L’altro lato della medaglia è che tutti, compreso me, siamo felici di nuovamente in questi contesti dopo tanto tempo. Ed è una cosa che puoi sentire quando salgo sul palco tutte le sere, c’è una certa eccitazione, agitazione, sembra tutto nuovo. So di non essere il primo ad essere tornato in tour, ma in molti posti dove ho suonato sono il primo performer dopo tanto tempo. Come ti ho detto mi piace esplorare e posso farlo grazie al mio fantastico lavoro, tutto è sempre diverso. Sai, spesso le situazioni più impegnative sono le più divertenti perché devi trovare una soluzione, tipo con le restrizioni, le distanze, come mi rapporto ad un pubblico che indossa le mascherine. È fantastico perché questa esplorazione porta sempre a nuove esperienze, soprattutto quando incontri qualcosa di nuovo e devi capire come funziona.
Adesso parliamo a ruota libera del tuo box “Decade”.
Beh partiamo dall’inizio. Avevo un sacco di nastri, cassette, bobine di materiale inedito che occupavano un sacco di spazio a casa mia. Volevo recuperarli solo per piacere personale, così ho iniziato a trasferirli in digitale. Lì ho realizzato che c’era molto materiale di cui mi ero dimenticato che mi piaceva. Quindi io e Pat Thomas, questo produttore che si occupa spesso delle mie ristampe, ci siamo chiesti “perché non prendiamo questa decina d’anni di materiale e la pubblichiamo”? Effettivamente era molta roba, ci siamo divertiti molto a metterla insieme e diciamocelo, un box di undici cd non è cosa che si vede spesso in giro. Volevo veramente che fosse qualcosa di bello, con un packaging accattivante.
Anche il libretto è speciale perché è molto ricco di foto.
S: Si certo è pieno di belle foto, storie e note d’accompagnamento che ho curato io stesso per descrivere le canzoni. Abbiamo impiegato due anni per realizzare questo progetto e la data d’uscita era fissata per aprile 2020, così da poterlo sponsorizzare in tour. Ovviamente non sono andato in tour e mi ci è voluto tutto questo tempo per poterlo portare in giro.
Questo box racconta la storia delle tue esplorazioni intorno al mondo, alla musica, a te stesso?
In realtà ciò che racconta di più è la storia dell’esplorazione di New York, perché mi sono trasferito lì nel 1994 e il box inizia l’anno successivo. Quindi gran parte del progetto riguarda l’entusiasmo di essermi trasferito da Los Angeles a New York e l’energia che ne era conseguita. New York è ancora la mia città preferita al mondo, ancora dopo tutti questi anni, la sua energia mi rese molto creativo, ebbi la possibilità di incontrare tanta gente nuova. Questa è un po’ la storia del box e di come l’esplorazione sia una nuova casa.
Questo è un aspetto molto particolare perché va oltre il genere con cui sei emerso, Paisley Underground
Certo la Paisley Underground era una scena molto legata a L.A., gran parte dei suoi partecipanti erano proprio nativi della città. Certo eravamo californiani ma i nostri gruppi preferiti erano i Velvet Underground, Television, Talking Heads, Richard Hell and The Voidoids, quindi in un certo senso ci siamo sempre sentiti di New York. Non ci interessavano molto le onde, il sole e il surf, eravamo ben più underground.
Un’ultima domanda, la più difficile … Quali sono i tuoi tre album del cuore?
Gli altri giornalisti di solito mi danno solo una possibilità di scelta, sei molto gentile a darmene tre! Allora direi “Marquee Moon”dei Television, “Exile On Main Street” dei Rolling Stones e “There’s a Riot Going On” di Sly & Family Stone. Forse l’immagine di questi tre dischi mescolati dentro un’incidente d’auto può descrivere la mia musica in qualche modo! Se la domanda fosse stata quali erano i miei duecento preferiti saremmo ancora qui ad elencarli …
Articolo e foto di Francesca Cecconi