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STRE intervista

STRE torna in concerto domani 14 giugno a Napoli sul palco di RTL105

Lo scorso dicembre è stato pubblicato in digitale “Carpe Die”, il nuovo album del cantautore, producer e regista napoletano STRE. L’eclettico artista, che fonde sapientemente l’Indie Pop, l’Elettronica, il Rock e il cantautorato, promette un viaggio sonoro unico in cui si propone di esorcizzare la morte. STRE ha scritto, prodotto e arrangiato tutti i brani, oltre a firmare come sceneggiatore e regista i videoclip che raccontano in immagini le canzoni dell’album. STRE torna in concerto domani 14 giugno a Napoli nel Pizza Village, dopo il grande successo dell’anno scorso aprirà l’esibizione dei Coma_Cose e Francesco Gabbani sul palco di RTL105.

Chi è Stre? Raccontaci il tuo percorso nella musica, quando hai sentito la prima nota e deciso di fare il musicista?

Fare musica è un sogno che ho sin da bambino, quando passavo le ore davanti al televisore a guardare i video musicali, e questo peraltro mi ha innescato un’altra passione, quella di fare il videomaker, che ho iniziato già da molti anni a fare come regista e montatore… Diciamo che ho portato queste due passioni avanti da tanto tempo, la scintilla è nata guardando MTV, ma anche la vecchia Tele Monte Carlo. Decisiva è stata la città dove sono nato e abito, risiedo in una zona di Napoli dove negli anni ‘90 facevano tantissimi concerti. Sostanzialmente scendevo di casa già da bambino a vedere musica da vivo, incluso il Festivalbar. Poi ho iniziato a suonare la batteria come primo strumento, ho suonato con vari gruppi, in seguito per svariati anni ho avuto una band pop punk dove invece cantavo e suonavo la chitarra, per infine approdare da qualche anno a questo mio progetto da solista, “STRE” appunto. Arrivare a essere solisti è un processo di maturazione si passa da varie fasi, prova e riprova.

Il fatto che tu sappia suonare sia la batteria che la chitarra ti dà un particolare approccio alla composizione della tua musica?

In realtà suono anche qualche altro strumento, per esempio il basso e un po’ di pianoforte, ho imparato a strimpellare vari strumenti perché mi serviva per costruire quello che avevo in testa. Il 90% delle canzoni vengono tramite immaginazione più che tramite uno strumento, quindi avevo necessità di portare su strumento quello che avevo nel cervello.

Quali sono stati gli artisti che ti hanno ispirato tra quelli che vedevi appunto passare nei videoclip?

Ce ne sono stati molti, però c’è stata una cosa eclatante: ci fu un mio primo Natale dove per regalo non chiesi giocattoli ma chiesi sostanzialmente la discografia di Eminem, ecco quello anche a livello simbolico rappresentò proprio un dire “ok voglio approfondire questa passione”. Quindi da ragazzino sicuramente Eminem poi i Green Day i Blink182 ma anche i Beatles. Poi mi sono appassionato al Pop Punk e al Punk Rock che ho anche suonato per anni, ma inizialmente uno dei miei idoli è stato proprio Eminem.

Vivi e vieni da una città dove c’è tanta musica diversa, dicevi …

Sì, è una cosa bellissima, è una tipicità di Napoli che però chi vive fuori Napoli non ha potuto forse capire e neanche conoscere, c’è un humus dove i musicisti possono evolversi senza rigidità di genere, dove si può essere creativi senza paura di essere giudicati. Quando ero piccolo e scendevo in piazza trovavo una moltitudine di generi che davvero mi hanno aperto la mente musicalmente. In realtà ora è un momento musicale un po’ nero per Napoli, hanno chiuso una serie di locali medio-grandi dove si suonava, attualmente c’è una situazione paradossale perché ci sono per lo più locali piccolissimi. Io mi diverto tantissimo a suonare dal vivo e si può dire che faccia musica con quell’obiettivo di farla ascoltare, farla cantare live, quindi a volte suono da solo voce e chitarra, proprio perché le situazioni in alcuni localini non permettono di andare in full band, mentre negli eventi più grossi ci tengo ad avere con me gli amici musicisti, e con la band suono, al momento, la chitarra.

Parliamo del tuo disco Carpe Die”. Tu non sei solo pluristrumentista, canti, componi, componi testo e musica, ma fai anche il regista e lattore e quindi immagino che della tua musica tu abbia anche una visione artistica che va oltre le note, no?

Il titolo è un po’ provocatorio, nel disco c’è molta ironia, anche se a volte è un’ironia un po’ amara, se vogliamo, e quindi volevo trovare un titolo che riflettesse questo spirito. E poi in generale la locuzione latina, Carpe Diem, mi sembra un po’ limitante, nel senso che sembra che l’uomo debba cogliere il presente come se dovesse morire domani, quando in realtà non aveva questa accezione in origine. Sembra che l’uomo possa intervenire solo sul proprio presente, come se il futuro non esistesse. Con questo titolo io ho voluto manifestare un po’ la volontà di intervenire anche sul mio futuro; vivo di sogni, vivo di progetti, quindi se mi fermo a pensare che domani non ci sono più, mi passa già la voglia di vivere. E poi comunque uno dei motivi per i quali faccio musica è comunque lasciare un qualcosa, una traccia di me, no? Siamo tutti di passaggio, lasciare un qualcosa su questo mondo è una cosa che secondo me fa vivere poi una parte di te, anche quando tu non ci sarai più. Il filo conduttore del disco è proprio la vita nonostante la morte, nonostante le cose che finiscono. Diciamo che col titolo ho voluto anche esorcizzare la morte, provando a dare sostanzialmente un senso a tutto quello che muore, a tutto quello che finisce. Ho esasperato questo discorso, specialmente in una canzone, nel ritornello dico appunto: “abbracciami che sarà bello anche morire”, per far sì che spiccasse una voglia di vivere anche in momento di grande difficoltà.  Quindi è così, ho un’ironia amara, ma in fondo c’è anche un forte messaggio positivo, soprattutto da una persona giovane, perché mi sembra che i più giovani in questo momento vedono poco il loro futuro, c’è veramente molta disillusione e spesso anche, non lo so, voglia di non costruire perché appunto non si vede molto futuro. Voglio portare un messaggio positivo, non fermarmi al qui ed ora, ma a vedere avanti. E vivere. Quello che scrivo è tutto autobiografico, difficilmente scrivo di quello che vedo fuori, ma cerco più di guardarmi dentro, e di mettermi in discussione.

Stefano, dimmi qualcosa di come concepisci i video, visto che tu sei anche regista dei tuoi.

Non faccio mai storyboard fisicamente, sono tutti nella mia mente, penso al video ma non disegno le scene poi. Invece la musica per me è una cosa molto più istintiva, come una scintilla. A volte mi capita di comporre cose anche quando sto dormendo, mi capita di sognare parti di testi e melodie, svegliarmi e con il telefono a registrarle. Pensare ai video invece è una cosa che avviene sempre in un secondo momento, nel senso che quando faccio una canzone non penso assolutamente al video, è una cosa che nasce alla fine, per esprimere la mia creatività e provare a immaginare delle immagini appunto che possano associarsi bene alle parole e al mood dei brani. Quindi il video è una sovrastruttura che io inserisco dopo per esprimermi. La musica prima di tutto, senza la musica non ci sarebbe il video. La musica la pensi, la sogni, la senti, poi la realizzi, fai i tuoi demo, poi li sviluppi e via, il video arriva solo alla fine.

Articolo di Francesca Cecconi

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