La scena underground sarda è capace di sfornare sempre delle ottime sorprese. Una Sardegna a volte frammentata da tanti dialetti, ma unita allo stesso tempo da un forte senso identitario e da un moto di libertà che spesso si ritrova nella musica. Una musica quindi che unisce, proprio come il disco split (la nostra recensione) dei cagliaritani Teddy Daniels con i logudoresi Ben Trees Society. Abbiamo chiesto a Giulio dei Teddy Daniels e a Giuseppe dei Bent Trees Society di raccontarci meglio questa ultima fatica in studio e soprattutto cosa gira intorno alla loro musica.
Come nasce l’idea di questo split?
Giulio: L’idea dello split, da parte mia, è nata quasi come un esigenza. Un’esigenza di andare avanti musicalmente in Sardegna e non solo. Io e Giuseppe dei Bent Trees Society ci siamo conosciuti circa due anni fa, principalmente grazie a una chitarra (tutti e due possediamo una Fender Mustang). Coltivando il rapporto d’amicizia, abbiamo capito che le nostre band avevano e hanno idee e obbiettivi comuni. Così dopo tanti confronti e la partecipazione insieme a un festival, si è giunti alla nascita dello split. Raramente, nell’isola, si sono viste due rock band collaborare attivamente in live e in una uscita discografica comune e penso che questo sia un modo per andare avanti, far conoscere maggiormente la propria musica e dare una botta al mondo musicale underground sardo.
Giuseppe: L’idea dello split nasce da un percorso di collaborazione condiviso tra i Bent Trees Society e i Teddy Daniels. Io e Giulio dei Teddy ci siamo conosciuti online grazie al fatto di possedere un Fender Mustang rossa e abbiamo iniziato a mettere a confronto i percorsi delle nostre band. Capendo che gli obiettivi erano simili, ci siamo detti che collaborare poteva essere un’ottima idea. Abbiamo suonato insieme durante l’Alternos Fest di Bono (organizzato da noi e dall’Amministrazione Comunale) e questo ha rafforzato la nostra cooperazione. Abbiamo la nostra etichetta musicale, la White Lips Music, e ci pareva il modo migliore di farla lavorare, puntando su noi stessi, sulla scena underground della Sardegna.
Sono chiare le influenze di matrice grunge, ma quali sono le altre maggiori influenze che hanno caratterizzato il vostro sound?
Giulio: Lo ammetto, sono un fanatico del Grunge, ma nei Teddy abbiamo comunque tutti visioni musicali differenti, e fortunatamente, aggiungo. Per esempio Brandon (batterista) è molto influenzato dal Post-Punk, mentre Giak (bassista) più dal Punk e Garage. Alpha è nata unendo e mischiando tutte queste varie influenze senza metterci limiti. In due, massimo tre sessioni di prove, è stata concepita. Per quanto mi riguarda i miei maggiori ascolti, in questo periodo, sono da una parte l’Hardcore americano (Hüsker Dü, Black Flag, Minor Threat) e dall’altra gli Screaming Trees e i Love Battery. L’album “Dayglo” dei Love Battery ha influenzato parecchio me e Brandon nella scrittura di nuovi brani.
Giuseppe: Abbiamo diversi livelli di riferimenti, che poi non sono tutti musicali, ma anche puramente culturali. La scena alternative americana e il Grunge sono ciò che ci unisce, ma ognuno dei Bent Trees ha migliaia di altre influenze tutte differenti, che apparentemente possono sembrare distanti anni luce dalla nostra musica. C’è una scena alternativa sarda, quella di Siniscola degli anni ’90, formata soprattutto dagli Askra e dai Kenze Neke alla quale dobbiamo moltissimo. Queste band hanno dimostrato che la Sardegna sapeva fare il miglior Alternative Rock del bacino del Mediterraneo, che la lingua sarda, i nostri temi sociali e politici potevano sfondare barriere in modo inimmaginabile. Poi abbiamo riferimenti indiretti, che influenzano le nostre musiche pur partendo da altri campi, mi riferisco ai grandi intellettuali sardi del ‘900, Cicitu Masala su tutti. I temi da lui trattati nel romanzo “Sos Laribiancos” sono parte integrante del nostro primo album.
L’Underground è ricco di fermento artisti e di creatività musicale, ma allo stesso tempo è più faticoso per emergere e far conoscere la propria musica. Cosa significa essere musicisti underground in Sardegna?
Giulio: Essere musicisti underground in Sardegna significa, oltre portare il peso dell’isolamento geografico, portare il peso di un certo isolamento sociale/culturale musicale. C’è sempre molto scetticismo nei confronti delle nuove uscite, anche verso chi ha suonato per anni e anni, in sala e dal vivo, giudicandoli più per l’aspetto o addirittura per il nome o solo il “genere scritto”, senza mai ascoltarli. Con i Bent Trees Society abbiamo unito le forze proprio per andare oltre tutto questo, cercando anche di coinvolgere altre realtà musicali sarde valide e che meritano assolutamente uno spazio. In questo, i Bent Trees, hanno creato una propria etichetta indipendente, la White Lips Music, che pubblicherà lo split e che vuole essere un trampolino di lancio per la scena underground sarda!
Giuseppe: Significa tantissimo. Significa affrontare gap infrastrutturali, mancanza di spazi per suonare adeguati alle esigenze di chi vuole produrre musica (o arte in generale). Significa fare musica sarda senza essere folkloristici. Significa provare ad affrontare i temi attuali dei nostri paesi e del nostro territorio con lenti diverse, ma significa anche affrontare un altro distacco infrastrutturale che rende pressoché impossibile andare a suonare fuori. Fare musica underground in Sardegna significa anche affrontare il tema della lingua, non cantiamo in italiano perché non vogliamo farlo, non cantiamo in sardo perché abbiamo un rispetto religioso della nostra lingua e la affronteremo a tempo debito, scegliamo l’inglese consapevoli delle nostre distorsioni linguistiche. È il nostro modo di fare politica.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Giulio: Stiamo lavorando al secondo album con grande impegno, puntando a una produzione ancora migliore per uscire dai confini dell’isola e suonare, magari, in Europa. Per ora pensiamo soprattutto a chiuderci in sala e a portare in giro lo split con i Ben Trees Society.
Giuseppe: Suonare, andare live il più possibile, soprattutto in quei posti che richiedono la musica inedita e l’Underground in generale, che in Sardegna sono molti e interessanti; scrivere e pubblicare più musica possibile e collaborare tra band. Siamo convinti della bontà della scena underground sarda, vogliamo fare la nostra parte.
Volete aggiungere qualcosa a quest’intervista?
Giulio: Un messaggio per tutti e tutte: supportate sempre le scene musicali locali perché ne varrà sempre la pena! Ci sono tanti musicisti che si fanno un mazzo gigantesco e raramente hanno il pubblico che si meritano. Stanno aspettando solo voi!
Giuseppe: Stiamo lavorando duro, l’Alternos di Bono l’Alternative Fest di Cagliari e il nuovo split ne sono la prova. Nessuno di noi è un musicista pro, facciamo altro nella vita, ma fare musica è quello che ci tiene uniti e ci fa pensare che ne valga la pena dei chilometri in notturna, delle trasferte e delle spese. Ci piacerebbe poter dire a un pubblico interessato che di ascoltare il nostro lavoro, leggere i nostri testi, insomma, interessarsi. Pensiamo che provocare interesse e curiosità nelle persone che vengono a vederci sia la cosa più importante di tutte, se c’è l’interesse di un pubblico, grande o piccolo che sia, abbiamo centrato il nostro obiettivo.