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The Cinelli Brothers intervista

Giovane band già sul podio dell’International, dell’UK e dell’European Blues Challenge

Incontriamo Marco e Alessandro Cinelli nei camerini del Seravezza Blues Festival, nel tardo pomeriggio; il sound check è già stato fatto, loro sono rilassatissimi, alla mano, felici di essere a suonare in Italia e in particolare in questo splendido festival nell’entroterra versiliese, in Toscana. Non so perché, ma non mi aspetto di trovare due ragazzi così giovani, in their thirties, e non hanno nessuna fretta di concludere l’intervista, scherziamo, ironizziamo, e alla fine anche a chiacchierare di musica in generale, in un’atmosfera davvero friendly, come lo è comunque in tutte le situazioni del festival. Si presentano da noi con un carnet di referenze incredibili: secondo posto all’International Blues Challenge 2023 nella sezione band, vincitori dell’UK Blues Challenge 2022 e UK Blues Awards nomination per il miglior album con “No Country For Bluesmen”.

Alessandro

Un cammino lungo, nonostante la giovane età. Marco ha 38 anni, Alessandro 34. Originari di Latina, studi di chitarra e batteria al Saint Louis College di Roma, la loro band è però British: vivono a Londra da molto tempo, città dove hanno potuto fiorire musicalmente. La Gran Bretagna è dunque la loro patria adottiva, e sono diventati una realtà importante nella scena blues del paese. Il loro primo album, “Baby Please Set Your Alarm” è del 2018, “Villa Juke Joint” del 2021 e “No Country For Bluesmen”, che vede ospiti illustri in ciascuna traccia, del 2022. Facciamoci raccontare la loro storia, dopo aver disquisito sulla pronuncia del loro cognome: all’italiana o all’inglese?

Marco

Com’è che due ragazzi italiani diventano The Cinelli Brothers?

Marco: incredibile ma vero! Abbiamo scoperto che Cinelli in altre lingue si pronuncia “Sinelli”, e allora ci siamo detti ricominciamo tutto da capo e cambiamo con la S, o ci mettiamo l’h in mezzo (ridiamo). Ci sono state varie diatribe, poi alla fine abbiamo pensato che anche “S”inelli può andar bene, viene fuori sin-elli con quella radice di “sin” che sta per “peccare”, e ci piace, ci dà un tono! Però in sostanza The Cinelli sono, siamo, due fratelli di Latina, incredibile ma vero. Latina è il miglior posto al mondo per mangiare mozzarelle di bufala e visto che noi veniamo da là, siamo due bufale doc che l’hanno data in pasto a tutti, soprattutto in UK! (ridono).

Due fratelli che si vogliono bene, non in competizione … Quando avete iniziato a suonare?

Marco: Assolutamente, ci vogliamo molto bene. Io ho iniziato a suonare a 11 anni e mezzo, e Alessandro poco dopo, io la chitarra, lui la batteria, perché papà era batterista e chitarrista amatoriale. Questi strumenti erano già in casa a nostra disposizione. La mia prima chitarra l’ho avuta poi in regalo per la prima comunione.

Alessandro: Un giorno insieme a papà ho accompagnato Marco per una delle sue prime lezioni di chitarra, e in una delle sale prova dell’istituto musicale c’era una batteria montata; io mi sono seduto e ho cominciato a fare un casino della miseria, mi sono venuti a richiamare però l’insegnante di batteria ha detto perché non provi a fare qualche lezione? Così ho fatto, poi ho lasciato, ma ho ripreso negli anni del liceo.

Quando è nata l’idea di suonare insieme?

Alessandro: Siamo entrambi andati via da Latina all’età di 23 anni, quindi a 4 anni di distanza l’uno dall’altro. Marco è andato prima in Olanda, dove ha iniziato a essere musicista professionista, per 4 o 5 anni, poi in Francia per 4 anni, dove ha insegnato e suonato in varie situazioni. Io invece mi sono trasferito direttamente in UK ed è capitato che una sera, in concomitanza di uno dei due compleanni, ci siamo sentiti per gli auguri e ci siamo detti perché non facciamo un bel disco blues io e te per divertirci? Marco ha detto ok, vengo un giorno a Londra, tu intanto metti su una band per farlo. Io avevo già due o tre nomi in testa, musicisti che avevo conosciuto. Il disco è uscito nel 2018, si chiama “Baby Please Set Your Alarm” e da là è iniziato tutto, un po’ per gioco, per il piacere di fare un disco insieme. La band è dunque inglese e il progetto è nato in Inghilterra.

Marco: Così io sono rimasto a Londra, non sono più tornato in Francia. A Londra c’è un gran fermento musicale, tante sale, tanti musicisti, tanta libertà. La città è grande e la mentalità è aperta, c’è molto pragmatismo. Anche Parigi è grande, ma alla fine è tutto stretto perché la mentalità è ristretta, e anche i locali sono piccoli.

Alessandro: Un promoter inglese ha sentito il disco e ci ha detto che valeva la pena spingerlo un po’, ci ha chiesto un piccolo budget per iniziare, ovvero un rene a testa (ridono), e ci ha fatto una campagna promozionale. Il disco è arrivato al secondo posto nella chart blues inglese, noi abbiamo recuperato il rene, anzi adesso ce ne hanno dato un altro di scorta, per necessità eventuali. Quello che era iniziato per gioco poi ha preso piede veramente, iniziavano a chiamarci i booking per suonare, invece che essere noi a sbatterci per trovare situazioni live. Abbiamo fatto tanti concerti, festival, poi un altro disco, poi un altro, ed eccoci qua.

Poi avete vinto tanti premi!

Alessandro: Si, siamo saliti sul podio dell’International, dell’UK e dell’European Blues Challenge. In UK abbiamo vinto il primo premio e questo ci ha garantito la partecipazione agli altri due Challenge. A Memphis siamo arrivati secondi, un traguardo incredibile perché una band inglese non aveva mai passato le semifinali, è stato un grande onore. In Europa siamo arrivati terzi. Quindi oro, argento e bronzo, e c’è ancora tanto da fare.

Avete raggiunto tutto questo tra il 2018 e il 2023, che sarebbero cinque anni, ma di fatto sono tre, perché in mezzo c’è stato il lungo stop da pandemia…

Marco: In verità il Covid ha avuto un ruolo chiave nella crescita della band. Uno dei nostri membri, Tom, suonava due strumenti, chitarra e armonica, mentre noi soltanto uno a testa, e questa sua capacità mi ha sempre stimolato. Trovo molto dinamico dal punto di vista visuale un concerto dove tutti suonano tutto, tutti cantano, tutti al servizio della musica. Rinchiuso in casa forzatamente, mi sono detto io ci provo, mi sono comprato un organo e mi sono messo a studiare tastiere. Alessandro invece si è messo al basso; abbiamo studiato due anni, e adesso siamo pronti a tutto. Nel frattempo il nostro bassista se n’era andato, e quando abbiamo fatto le audizioni abbiamo cercato qualcuno che suonasse più strumenti, così piano piano ci siamo trasformati in una band senza ego, non c’è un leader sul palco, qualcuno che regge lo show come figura prominente. Cinelli è il nostro nome ormai, avevamo pensato di cambiarlo, ma ormai siamo conosciuti così, però siamo una vera full band, un po’ come gli Allman Brothers, i fratelli Allman erano solo due; se l’hanno fatto loro lo possiamo fare pure noi, no?

La scaletta dei concerti è composta da brani di tutto il vostro repertorio?

Marco: Dal vivo proponiamo brani da tutti i nostri tre dischi, soprattutto dall’ultimo, e qualche cover. Abbiamo circa 50 pezzi pronti per le performance live, una trentina nostri più una ventina di cover d’autore, e a ogni concerto cambiamo scaletta. Decidiamo in base alla serata, alla venue. Cambiare set list ogni sera ci fa divertire molto, ci auto-sorprendiamo.

Alessandro: Le cover le scegliamo in base al cuore, sono pezzi che ci piacciono moltissimo e che ci dà piacere suonare, non solo a noi due ma anche agli altri ragazzi.

Progetti a breve termine?

Alessandro: Abbiamo già pronto un nuovo lavoro, un ep dal titolo “Mama Don’t Like You”, che verrà rilasciato presto su vinile. Poi abbiamo pronto anche un nuovo full lenght, che abbiamo registrato a Woodstock a marzo con il produttore americano Rich Pagano, grandissimo batterista tra l’altro. Abbiamo appena ricevuto il master dei pezzi e lo presenteremo sulla Blues Cruise di Joe Bonamassa (dal 17 al 22 agosto in Grecia e Croazia n.d.r.). In crociera uscirà un’edizione speciale del disco in ep con 5 dei pezzi, solo per il pubblico a bordo, mentre il disco nella sua interezza sarà rilasciato a fine anno, o inizio anno nuovo. Il release party sarà a New York a gennaio, al The Cutting Room, e poi ne faremo un altro a Londra a febbraio.

Tutti i vostri lavori sono pubblicati su supporto fisico, vinile e cd.

Marco: Si, certo, questo è Blues. Anzi noi su Spotify mettiamo poche cose, solo alcuni brani, due o tre brani chiave per album a mo’ di teaser. Noi pensiamo che ai nostri fan dobbiamo dare qualcosa di più che il semplice streaming. Vedi Prince, diceva i miei fan sanno dove trovarmi, e non ha mai messo la sua musica sui player; poi quando è mancato, ovviamente gliel’hanno messa tutta subito, ma questa è un’altra storia. Quindi i nostri ascoltatori ci trovano perché vogliono trovarci, e ascoltarci; preferiamo avere vinili e cd, che restano e che non vengono sotterrati da altri milioni di canzoni al giorno. A noi piace deliziare i nostri fan più accaniti con cose speciali, come per esempio l’ep per la crociera, e poi dopo i concerti ci fermiamo sempre ad autografare i dischi.

E infine: qual è il vostro disco della vita, quello che portereste con voi su un’isola deserta?

Marco: Il “White Album” dei Beatles, senza dubbio.
Alessandro: Io invece “Inner Vision” di Stevie Wonder. E qui capisci perché il nostro Blues è così frizzante!

Articolo e foto di Francesca Cecconi

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