Un vero scrittore, capace di veicolare visioni contagiose, così la grande cantautrice Mary Gauthier descrive Thom Chacon, uno dei volti più interessanti della nuova generazione del folk nordamericano. Cresciuto nel sud della California, con le sue canzoni ha letteralmente girato il mondo: dagli intimidatori confini della prigione di Folsom, alla Thailandia, all’India e all’Europa. Da quindici anni ormai risiede a Durango in una quotidianità divisa tra l’attività musicale e quella di guida negli ambienti alpini delle Rockies del Colorado. Davide Falcone, in arte James Meadow, cantautore e conduttore di “Where The Lions Are”, programma sul cantautorato di stampo nordamericano sulle frequenze di ADMR Rock Web Radio, lo ha incontrato per Rock Nation.
Thom, ho letto che sei nato e cresciuto in California dove eri un istruttore di equitazione. Puoi dirci qualcosa su quel periodo e su come hai deciso di trasferirti a Durango, in Colorado?
Sono nato nel sud della California a Chula Vista, una città nella contea di San Diego e molto vicina a Tijuana in Messico. Poi i miei genitori si sono trasferiti, con me e mia sorella, più a nord in California, dove ho passato la maggior parte della mia infanzia e adolescenza. Ma ho sempre voluto vivere sulle montagne rocciose. Sono sempre stato attratto da quelle vette e, in particolare, dagli altopiani desertici e dagli ambienti alpini. E Durango, Colorado, dove vivo ora, è appena sotto ai 2000m e si trova proprio sulla cuspide tra il deserto e l’alta montagna: a sud-ovest sembra un po’ di essere in un film di John Wayne mentre a nord-ovest sono posti che sembrano usciti da un film di Jeremiah Johnson o di qualche esploratore canadese.
In sintesi, comunque, mi sono trasferito qui quindici anni fa perché c’erano più trote che persone, e io volevo pescare! Prima ero a Los Angeles, perché a quel tempo, per vivere di musica, dovevi per forza stare a Nashville, a New York oppure a LA. Così, per sopravvivere nella metropoli, avevo trovato un posto da istruttore in un ranch a Hollywood dove portavo la gente a cavalcare. Quel lavoro, da un certo punto di vista, è stato la mia salvezza al tempo: anche se c’erano parti della città che mi piacevano molto, ero spesso esausto del traffico e del trambusto.
Se dovessi sceglierne una, quale canzone pensi abbia avuto la più grande influenza su di te nel momento in cui hai deciso che la musica sarebbe stata parte così importante della tua vita?
Questa è una bella domanda, ma ci sono così tante canzoni che hanno cambiato la mia vita, che mi hanno dato una sorta di direzione. Penso a quando avevo circa tre anni e ho sentito “Rhineston Cowboy” di Glen Campbell; quella è stata sicuramente la prima canzone che mi ha davvero scosso. Poi è stato un grande momento quando ho ascoltato “Time In A Bottle” di Jim Croce… e “Solitary Man” di Neil Diamond. Qualche anno dopo, avevo circa dieci anni, all’improvviso ho sentito l’album Nebraska di Springsteen e a quel punto sono rimasto folgorato: era esattamente ciò che volevo fare anche io! Infine, se devo scegliere proprio una sola canzone da far sentire, penso a “Sunday Mornin’ Comin’ Down” di Kris Kristofferson.
Qualche anno fa ho passato un po’ di tempo in una valle delle Montagne Rocciose canadesi e, da frequentatore della montagna, quello che mi ha colpito è stata l’incredibile vastità dello spazio, sembrava tutto dilatato rispetto a quello cui sono abituato. Cosa significa per te vivere a Durango, la tua vita quotidiana divisa tra la professione di guida e quella di cantautore.
Le montagne per me, prima di tutto, sono casa. Me ne rendo conto soprattutto quando viaggio: ogni volta che torno a Durango vengo travolto dal pensiero che qui, questo è il posto a cui appartengo. Arrivi in aereo e sorvoli la montagna di La Plata e il Mount Massive… non so se sia questa vastità, ma è sempre una sensazione incredibile: l’aria pulita, l’altitudine… e la pesca! Ah, la pesca qui è eccezionale!
Bilanciare l’attività di guida con la musica è in realtà una buona cosa. Certo, a volte penso che vorrei fare uno più dell’altro (cioè suonare di più) perché quando sei sul fiume con la barca o stai preparando i cavalli per un sentiero non pensi davvero alla musica. Sei completamente concentrato su quel compito, perché ci sono un sacco di preoccupazioni per la sicurezza ed è un lavoro molto fisico. Ma quando questo termina, tutto ad un tratto, mi devo assolutamente sedere per scrivere… e c’è qualcosa che accade, fisicamente, al tuo corpo e alla tua mente. A quel punto è come se avessi assorbito così tanta aria fresca di montagna, attraverso i miei polmoni, attraverso il mio corpo, che mi riesco a stabilire piuttosto rapidamente ed essere a mio agio in quell’altra persona, quella che compone canzoni, con il cervello di scrittore. Ed ecco che così si ottiene l’equilibrio!
Dalla tua discografia ho scelto alcune canzoni che descrivono il tuo rapporto con i grandi spazi. Ho visto un filo rosso che le collega, partendo da “Hills Of Butte” (If this life becomes too much, to the mountains I will ride) e “Big River” (Big river take me away, I’m lyin’ on your shoreline. Depression’s here to stay, big river, I need saved) e arrivando a quelle degli ultimi due album, “Easy Heart” e “Church of The Great Outdoors”, che mi sembrano raccontare di una sorta di tranquillità raggiunta: Floatingdown the river, deep and dark, with a quiet mind and an easy heart. Com’è cambiato il tuo rapporto con l’ambiente naturale nel corso degli anni, che importanza ha nella tua vita e come sono nate queste canzoni?
È bello come hai posto questa domanda! Innanzitutto, mentre descrivevi tutto questo mi sono reso conto che “Hills Outside Of Butte” è effettivamente una canzone di quando ancora vivevo in città, mentre “Big River” l’ho scritta più tardi, poco dopo aver perso mia mamma. E queste cose entrano in gioco in quel brano … Ora guardando quei testi è come se trovassi un significato che non avevo realizzato nei momenti in cui li stavo scrivendo: avevo perso mia mamma, stavo cercando una via per attraversare quel torrente di cui parlo in “Big River”, e invece ho finito per trovare quella per le montagne rocciose, dove mi sono finalmente sentito a casa. Penso che la montagna mi abbia guarito e mi guarisca in molti modi, come scrivo in “Easy Heart”, dove navigo lungo il fiume dimenticando tutti i miei problemi. Quindi sì, una connessione molto potente con l’aria aperta che credo di aver capito meglio ora, all’età di 48 anni. I tuoi problemi non vanno mai via, ci sono nuove sfide ogni giorno, ma è come se ora avessi un modo per affrontarli, andando fuori, facendo un bel respiro. È la mia chiesa, sai? Lì posso pregare, e posso respirare.
Sei anche “un vero scrittore”, per citare le parole che Mary Gauthier ha accuratamente scelto per descriverti; io aggiungerei che sei un ottimo osservatore, hai le qualità che un etnografo secondo me dovrebbe avere. Cosa raccontano e come sono nate “Grant County Side” e “Empty Pockets”?
Ho scritto “Grant County Side” sulla storia di mio nonno, Petronilo Chacon. È nato, che tu ci creda o no, nel lontano 1856… ma era mio nonno! Nel 1876 e nel 1880 venne nominato vice-sceriffo a Silver City, New Mexico. Quello era il periodo del selvaggio West e io sono cresciuto con centinaia di racconti sulle sue avventure. Inoltre prende ispirazione dai film di Sergio Leone, e da Ennio Morricone, da quel suono… beh, non l’ho raggiunto per niente, ma è quello che sentivo nella mia testa. “Grant County Side” si basa su tutto ciò, nasce dalla fascinazione per quei film e per le storie di mio nonno che mi venivano raccontate quando ero piccolo. Si intitola così perché Grant County è la contea di Silver City.
“Empty Pockets” è invece ispirata dalla siccità che colpisce da diversi anni queste zone delle montagne rocciose dell’ovest: non abbiamo avuto abbastanza neve negli ultimi anni, non ha piovuto abbastanza, e la saturazione del terreno non è quella che dovrebbe essere. Ho visto gli allevatori e gli agricoltori soffrire e ho scritto questo brano dal punto di vista di un contadino che è andato in bancarotta e la sua terra è rimasta incolta. Non può guadagnarsi da vivere in alcun modo, vive arrangiandosi e si sente come se fosse stato abbandonato da Dio. La canzone parla di questo ma, sai, un grande cantautore molti anni fa mi disse: «non scrivi mai una canzone che non stia parlando anche di te, in un modo o nell’altro». Ed effettivamente anche io sono stato colpito in prima persona dalla siccità, perché parte della mia vita dipende dallo stato di salute dei fiumi in cui accompagno i miei clienti a pescare. Così quando ascolto “Empty Pockets”, o tutte le volte che la suono, è come se stessi cantando anche di quelle mie difficoltà finanziarie.
Dalla siccità di “Empty Pockets” veniamo al tuo impegno nella campagna di opposizione al fracking (metodo di estrazione idraulica di idrocarburi). Come hai scritto il brano che compare nel disco “Buy This Fracking Album” e come sei stato coinvolto in questo progetto? Sei ancora attivo in questa campagna?
Sì, non so se mi definirei un ambientalista, ma sto sicuramente cercando di fare la mia parte per preservare la natura intorno a me: amo i grandi spazi aperti e ho anche una parte del mio lavoro là fuori. Quindi naturalmente mi sento coinvolto in prima persona. Dove vivo qui nel sud-ovest ci sono molti pozzi di estrazione e c’è sempre stato un forte scontro tra idee diverse… tra credenze. Quanto abbiamo bisogno dei combustibili fossili come risorsa? E qual è il costo per continuare a dipendere dai combustibili fossili? E d’altro canto, ci sono sempre due lati in una storia e tutti noi lasciamo un’impronta: guidando auto, scaldando le nostre case, usando queste risorse. Così, quando sono stato contattato per scrivere una canzone per quel disco ho subito pensato: Sì, sono molto interessato, ma non so se riuscirò a scrivere qualcosa di buono. Non volevo venirne fuori con un brano che battesse i pugni sul tavolo o qualcosa del genere; credo ancora che non sia il mio approccio.
Mi sentivo invece più a mio agio nel raccontare una storia attraverso gli occhi di qualcuno, così ho fatto un mucchio di ricerche e conosciuto tante persone che vivono in posti dove hanno attività estrattive sulle loro proprietà. Infatti, quello che spesso succede, è che le grandi compagnie petrolifere, forti della loro influenza e dei loro soldi, piazzino le loro attrezzature vicino alla casa di qualcuno, ma questa è una lunga storia. Poi all’improvviso, dal nulla, ho trovato quello di cui volevo scrivere, e come volevo presentarlo. Ho letto un articolo su una famiglia nella contea di Weld in Colorado, si stavano ammalando e pensavano fosse a causa dell’impianto di perforazione che era vicino alla loro casa. Così mi sono messo a pensare: qui ci sono queste persone, non hanno soldi, non hanno alcun peso, apparentemente si stanno ammalando per questo e non hanno il potere di cambiare nulla e nemmeno di essere ascoltati. Questo ha iniziato a scuotermi e ho pensato di scrivere una canzone dal loro punto di vista, che fosse giusto o sbagliato. Era una storia interessante e il mio primo compito come autore credo sia quello di raccontare una buona storia. Inoltre era un tema importante, sul quale ritenevo di dover condividere qualche riga e far sì che la gente almeno ci potesse ragionare. Era un bel progetto, in cui c’erano anche Steve Earle e Bonnie Raitt. Così è andata, e continuerò a scrivere canzoni per le questioni in cui credo.
Parlando di collaborazioni con altri artisti, come hai incontrato Mary Gauthier e Tony Garnier? Con quest’ultimo hai condiviso alcuni album e un recente tour in Italia…
Con Tony è semplicemente fantastico passarci del tempo insieme. Gli voglio un gran bene e abbiamo in comune una grande passione per la boxe: lui si è allenato per anni perché faceva incontri di boxe amatoriale mentre io sono cugino di Bobby Chacon, che è stato due volte campione del mondo nei pesi leggeri. E Tony era un grande fan di Bobby. Quando lavori con Tony è stupendo perché, oltre a essere uno dei migliori bassisti del pianeta, è capace di trasmetterti sempre questa sensazione di calore… è come essere lì con un tuo cugino o qualcosa del genere! Abbiamo fatto quattro album insieme e spero che faccia anche il prossimo con me, come spero ritorni con me in Italia in tour. E Mary … cosa si può dire di Mary Gauthier? Gentile, profonda, e a mio parere ha scritto alcune delle migliori canzoni folk della nostra generazione. “Mercy Now” e “I Drink” potrebbero essere le due canzoni che definiscono la sua carriera come anche questo intero momento della musica folk. È sicuramente una persona che ammiro molto e per la quale ho molto rispetto. L’ho vista al River Folk Festival di recente. Aveva suonato il venerdì sera, e io ero in scaletta il giorno dopo, così abbiamo avuto modo di stare un po’ insieme. Ci siamo conosciuti anni fa, quando suonai al suo fianco ad un festival in Inghilterra; poi ho avuto modo di frequentarla a Nashville per un periodo. Quindi è come se fosse una persona ricorrente nella mia vita… sono semplicemente così felice che ci sia e grato di avere la possibilità di interagire con lei. Ma cosa posso dire? La ammiro tanto e tutti noi vogliamo essere bravi come Mary Gauthier quando si tratta di scrivere canzoni.
Hai mai sperimentato periodi di magra nel tuo songwriting? Come li affronti?
Sì, nel corso di trent’anni ho avuto molti momenti di questo tipo. E sono andato a pescare, tutto qui. Quando succede, vado semplicemente a pescare. E poi ne esco. Certo, hai paura che potresti non scrivere più nessun altro testo – tocchiamo ferro – ma finora in questo modo ha funzionato: quando torno dal fiume riesco a scrivere di nuovo. Poi dipende dai momenti… ad esempio ora, e non vorrei fosse il bacio della morte, ma stanno succedendo così tante cose nel mondo e negli Stati Uniti che è quasi difficile scegliere di cosa scrivere. In tutti i modi cerco di non forzarmi. E poi amo suonare la chitarra! Stare lì, provare cose nuove e, anche se non ne esce nulla che pensi sia buono, è comunque divertente… ma se hai il tuo piccolo registratore a portata di mano, a volte ottieni qualcosa… proprio come Bruce Springsteen quando ha spiegato che tante delle cose che scrive non si uniscono necessariamente in un’unica canzone ma possono diventare parte di qualcos’altro. Prendi un ritornello da questo e un bridge da quell’altro… è un po’ come essere in uno sfasciacarrozze!
Qualche mese fa ho avuto Colin Linden come ospite, e sia tu che lui avete la particolarità di un disco dal vivo come prima registrazione. Come è maturata per te la decisione di pubblicare il live a Folsom Prison?
In realtà non è stata una scelta pianificata. Avevo già scritto molte canzoni a quel punto e suonare dal vivo a Folsom Prison è stata un’opportunità unica e pazzesca, abbiamo registrato il concerto e abbiamo pensato: cosa ne facciamo? Facciamolo uscire! Non ci abbiamo ragionato molto, e forse avremmo dovuto farlo! [ridendo] Comunque è andata così: in quel periodo il mio produttore Perry Margouleff portava molti artisti a suonare a Folsom Prison e da pochi mesi se n’era andato Johnny Cash di cui, come molti di noi, sono un grande fan. Ho pensato che quello potesse essere il mio modo di onorarlo e ricordarlo. E Perry ha ritenuto che i temi delle mie canzoni fossero appropriati per un concerto di quel tipo: redenzione, fallimento e lotta. Così hanno scelto la data: il 4 luglio del 2004, nel giorno della festa dell’Indipendenza. Ho portato un bassista e un batterista e abbiamo suonato nel cortile di fronte a 350 giovani compagni. È stato incredibile! Voglio dire, l’energia era incredibile, essere lì, sai, c’è sempre un rischio quando vai in un carcere, le cose potrebbero andare male… poi mettici anche una mia parte nostalgica, visto che Folsom è a circa 10 miglia da dove sono cresciuto. Insomma, è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita: i detenuti avevano uno sguardo di sopravvivenza negli occhi che non dimenticherò mai. Non lo dimenticherò mai. Uno sguardo che non puoi cogliere se non hai passato quello che hanno passato loro. È stata davvero un’esperienza forte, ed è stato bello andare lì e suonare per loro. Bello e profondo.
A proposito di concerti, sulla tua biografia si può leggere che hai fatto un tour anche in India e in Thailandia. Come ci sei arrivato e che tipo di esperienza è stata?
È stato nel 2011, credo, quando il mio produttore Perry stava lavorando con un cantautore indiano di nome Lucky Ali, un gran tipo, un bravo cantautore. Grande star in India, è un grande nome laggiù. Canta in hindi ma voleva scrivere un album in inglese, così ha parlato con Perry e hanno pensato che io potessi essere d’aiuto per scrivere alcune canzoni. Ma più di ogni altra cosa credo che volesse che io ascoltassi i suoi testi e mi assicurassi che la grammatica avesse un senso e che lo slang fosse giusto. Così, quando ho firmato per aiutarlo, mi ha proposto perché nel frattempo non fai qualche concerto? Ti aiuto a trovare alcuni ingaggi mentre sei qui. Così sono andato là per tre settimane, abbiamo scritto canzoni, ho aperto per lui e ho suonato un paio di altri concerti in altre città: Bangalore e giù nel Kerala. Poi, già che c’eravamo, ci è sembrato avesse senso suonare anche in altri posti dell’Asia, e così abbiamo organizzato alcuni concerti in Thailandia. È stato un viaggio ai limiti dell’assurdo! Credo che il folk americano non avesse ancora messo piede lì e la gente mi guardava chiedendosi: ma che diavolo?!. È stato divertente! Si va e si sperimentano queste cose, nel bene e nel male. In Thailandia forse non è andata benissimo, ma in India è stato pazzesco! In India sono davvero grandi ascoltatori, non puoi sbagliare: ogni pubblico è stato davvero fantastico.
E dunque concludiamo con una domanda sull’Italia, dove ormai sei molto apprezzato e hai suonato tante volte. Cosa significa per te suonare nella penisola, e cosa provi quando sei su un palco di fronte a un pubblico non anglofono?
Beh, innanzitutto mi sono reso conto negli anni che tante persone in Europa, ma in Italia soprattutto, parlano molto bene inglese. Quindi anche se parte di quello che sto cantando si perde nella traduzione, percepisco che molto invece viene capito. E l’altra cosa davvero fantastica del pubblico italiano è che fanno i loro compiti a casa! Quando arrivo lì per suonare non solo hanno ascoltato le canzoni ma le hanno effettivamente lette e forse ne hanno anche tradotte alcune.
Per questo il mio album “Blood In The USA”, se lo compravi in Italia, c’era anche la traduzione con testo a fronte. Poi ti dirò, se anche il significato delle canzoni a volte si dovesse perdere, lo stesso sicuramente non accade per la musica, perché il pubblico italiano è così appassionato che riesce sempre a sentire gli accordi minori che vanno agli accordi maggiori, gli aumenti e le cadute, riescono a seguire tutto il viaggio del brano. Anche io, dopotutto, se ascolto un’opera italiana, e non ho idea di quale sia il testo, potrei essere in lacrime solo per la musica e la voce. E penso che sia la stessa cosa quando suono. Posso percepire quello che il pubblico sta sentendo ed è magico, niente di meno che magia. Non c’è dubbio: in Italia ho trovato alcune delle migliori platee per le quali abbia mai suonato.
Articolo di Davide Falcone
THOM CHACON – Dalle parole ai brani
Una selezione di canzoni per accompagnare la narrazione di Thom Chacon. La playlist è disponibile sul canale Spotify di James Meadow
Easy Heart | Thom Chacon Da Blood In The USA, un brano sulla forte connessione dell’autore con l’ambiente naturale.
Time In A Bottle | Jim Croce Dall’album di debutto di Jim Croce nel 1970, una canzone che ha segnato l’adolescenza di Thom Chacon.
Atlantic City | Bruce Springsteen Nebraska èl’album che ha avviato Thom Chacon al cantautorato.
Hills Outside Of Butte | Thom Chacon Il periodo a Los Angeles e la difficile quotidiana convivenza con il traffico della metropoli.
Big River | Thom Chacon Dall’album eponimo del 2013, la ricerca di una strada per attraversare un lutto familiare.
Church Of The Great Outdoors | Thom Chacon Dall’ultimo disco del 2021, un brano sulla vita in altura nelle Rockies del Colorado.
Boom Boom Mancini | Warren Zevon Warren Zevon sullo storico incontro tra il pugile “Boom Boom” Mancini e Bobby Chacon, cugino di Thom.
Grant County Side | Thom Chacon Il Wild West attraverso la storia di Petronilo Chacon, nonno dell’autore e vice-sceriffo nel 1876 a Silver City.
Empty Pockets | Thom Chacon La siccità in Colorado, dagli occhi di un agricoltore in bancarotta per la terra incolta.
Call It Democracy | Bruce Cockburn «Un brano ancora capace di descrivere tanto della situazione attuale». Una scelta di Thom Chacon.
American Dream | Thom Chacon Il debito come metafora del sogno americano.
Hell To Pay | Bonnie Raitt Bonnie Raitt e la sua partecipazione in “Buy This Fracking Album”, un disco di sensibilizzazione sulla fratturazione idraulica per l’estrazione di idrocarburi.
Before The Drilling Rigs Got Here | Thom Chacon Dallo stesso album, le conseguenze di un impianto di estrazione su una famiglia nel nord del Colorado.
Mercy Now| Mary Gauthier Per Thom Chacon, un brano rappresentativo della cantautrice e della loro generazione di folk-singer.
Sunday Mornin’ Comin’ Down | Kris Kristofferson Il brano di Kris Kristofferson che ha avuto una forte influenza su Thom Chacon.