L’intervista di oggi riguarda una band che abbiamo recensito poco tempo fa, i Van Kery, band della bollente Sicilia che ha portato in redazione il caldo dell’Etna, e ritmi old school che sorvolano il Blues, il Rock e un pizzico di qualcos’altro. Nel caso questo “qualcos’altro” non lo ricordaste, basta leggere la nostra recensione di “New Life”, disco di esordio dei Van Kery, edito da Vrec Music Label. Ora siete pronti a leggere l’intervista.
Quanto la vostra terra d’origine influisce sul vostro sound e sui vostri testi? Pensi che in futuro questa influenza sarà più marcata?
La Sicilia è certamente una terra ricca di storia e di cultura che può fornire preziosi stimoli e linguaggi variegati. In questo lavoro non ci sono però elementi che ci leghino particolarmente al nostro territorio.
Ne abbiamo discusso, in fase di scrittura, e non abbiamo sentito l’esigenza di “contaminare” la nostra musica, anche perché, il nostro, è un genere che ha le sue radici a migliaia di chilometri dalla Sicilia e dall’Italia in genere. Non abbiamo però preclusioni di nessun tipo e non possiamo escludere che un domani la Sicilia possa manifestarsi nella nostra musica.
Nella recensione del vostro disco vi ho definiti coraggiosi per l’uso di due brani strumentali. Cosa vi spinge al creare atmosfere volutamente senza testi?
In effetti, abbiamo osato con due strumentali! Nessuno di noi aveva messo in conto di scriverne, anche perché ancora oggi pensiamo che serva coraggio per scrivere un brano senza testo. Un giorno quasi per caso, è arrivata “New Life” in studio e di certo non aveva pretese, ma dopo averla suonata alcune volte, abbiamo capito che doveva finire nel disco e da lì a poco, un po’ per la sua particolarità narrativa e un po’ per il suo nome, che lascia spazio a molteplici interpretazioni, è diventata la title track!
“Let Me Sleep” invece è arrivata a disco finito, un dolce riposo dopo una fatica enorme. Anche questa ci pareva potesse rappresentare il giusto epilogo di un album che percorre strade tortuose, set quasi acustico, da jazz se vogliamo, per una pre-produzione live veloce ma, dopo aver ascoltato le varie take, ne siamo rimasti così sorpresi da decidere di inserirne proprio una di quelle in chiusura dell’album!
Se doveste riscrivere o rielaborare da capo New Life, cambiereste qualcosa? Perché?
Sì, pensiamo che potrebbe venire fuori un disco diverso, perché dopo molti ascolti ti viene sempre in mente che avresti potuto fare “quella cosa” in un altro modo, ma a quale musicista non è capitato? E allora basta pensare che “quel disco” rappresenta esattamente “quel momento”, è una foto, un’istantanea con i suoi pregi e i suoi difetti!
Quali sono i tre sentimenti o le tre sensazioni che spingono o hanno spinto alla stesura dei brani?
Abbiamo avuto la fortuna di avere un periodo di grande creatività nella scrittura dei brani e non abbiamo dovuto scrivere a tavolino nessuna delle tracce! Nel disco si parla di relazioni, di sentimenti contrastanti e del tempo che scorre, c’è anche l’amore, ma la favola del principe azzurro e dell’amore eterno è davvero lontana! Si parla di relazioni malate, di compromessi, di incomprensioni, rapporti difficili e di inadeguatezza. A smorzare i toni duri della vita vera per fortuna arrivano in soccorso i due strumentali dove l’ascoltatore può sentirci quello che vuole e costruirci la “sua storia”.
Articolo di Marco Oreggia