I Verdena sono tornati. È cosa ampiamente risaputa, e lo hanno fatto con “Volevo Magia” (la nostra recensione), un nuovo album bello e maturo, che mette insieme tanto di quanto fatto fin qui, e molto di quello che si potrebbe ancora fare.
Il tour è partito, e sta raccogliendo consensi unanimi. C’era voglia di Rock, e c’era voglia di Verdena che, come sappiamo, non fanno sconti a nessuno, e restano se stessi. Anche nelle interviste. Li abbiamo incontrati in video call di gruppo, e siamo riusciti anche a strappare loro qualche informazione preziosa sul nuovo lavoro, e sul tour. Nel momento in cui i due fratelli Luca e Alberto si erano ammorbiditi, e si stava riuscendo a superare la loro naturale disposizione a spiazzare l’intervistatore, è entrato online un altro giornalista che ha impedito che si potesse proseguire sul solco tracciato. Peccato, davvero.
In ogni caso, forse è giusto così. I Verdena sono se stessi anche nel loro essere asciutti, e di poche parole. Per loro parla la musica, e tanto basta.
Sono passati sette anni. Un tempo lungo per un mercato discografico come quello attuale. Voi però siete stati sempre liberi da etichette. Tuttavia, cosa vuol dire avere a disposizione tutto questo tempo?
Non sarebbe una questione grave, se non ci fossero i soldi di mezzo. Però poi i soldi ci sono, e comporta che a un certo punto finiscono. Quindi la vita è un po’ dura. Musicalmente, invece, comporta tanto perché abbiamo roba del 2017, 2018 fino al ’20 e ai giorni nostri. Il Covid di mezzo; storie famigliari, brutte e belle, hanno poi allungato tanto i tempi, e ci hanno portato anche a dividere il disco in due parti. Certo, non siamo stati tutti e sette gli anni a lavorare sul disco. Ci sono stati tanti momenti di pausa, anche con e per altri progetti.
(Vale al pena ricordare che,prima di “Volevo Magia”, i Verdena erano tornati sul mercato con una colonna sonora, e cioè “America Latina”).
Il titolo del nuovo lavoro è “Volevo Magia”. Non c’è magia al giorno d’oggi? C’è troppa realtà nel mondo odierno? Come vi siete confrontati con questi aspetti e, dunque, con il descrivere la nostra realtà alla luce di questi sette anni?
Noi viviamo spesso in un sogno, perché suonando siamo fortunati. Forse non stiamo parlando a noi stessi con questo disco. Potrebbe anche essere riferito ai miei figli insomma. Io (è Alberto che parla) la mia magia ce l’ho, ma ovviamente non è per tutti. Comunque non penso che centri con noi il titolo dell’album. Penso sia un po’ in generale. Di magia ce ne è sempre in giro. Però mi piace questo titolo, veramente strano. Evoca molte cose, e ogni giorno cambio idea. Un po’ cambio idea anche sui pezzi che ascolto. Sì, non è una gran risposta, ma non vorrei comunque mettere una sola via a questo titolo. C’è invece un’autostrada …
Siete sempre stati lontani dai riflettori, ma vi è sempre stato dato il titolo dei Re dell’Alternative Rock italiano. Come vi relazionate con questo? Vi crea ansia? Più dell’andare su un palco?
No, impareggiabile. Andare su un palco è ansia pura. Prima ovviamente. Poi quando si suona finisce tutto. Prima è un momento brutto, lui (Luca) vomita. Il palco è la più grande ansia. Certo, poi un po’ di ansia la mette questa cosa, quella frase lì. Meglio non sentirla in certi contesti …
Non vi va detta dunque prima di un concerto.
No no, per carità, mette troppe cose strane di mezzo … Prima del concerto meglio parlare di altre cose diverse, che so, di Goleador (le caramelle)…
È sempre meno magica la situazione … quindi speriamo che arrivi qualcuno a salvarci, avete detto in altre uscite pubbliche. Io ascolto Rock, e mi confronto in classe con generazioni che ascoltano ormai altri generi musicali, e mi guardano come se fossi un vecchio bacucco. Secondo voi, il Rock può essere salvato? O meglio, serve salvarlo? Me lo sono chiesto ascoltando il vostro ultimo lavoro.
Non morirà mai il Rock. Poi il Rock è magia in qualche maniera. È un’illusione. Non è una domanda facile. Speriamo si salvi. Saprà salvarsi, anche se è un periodo di down. Però dai, è impossibile che muoia, ci sono alti e bassi … Anche la musica classica, se ci pensi, alla fine doveva sparire dopo i Beatles, o con il Blues e con il Jazz. Certo, alla fine c’è ancora anche se è comunque per pochi.
Che vada verso una nicchia, lo condivido, ma che scompaia del tutto non ne sono convito anche io …
Si può dire che è molto calato. Mi ricordo che ascoltavo i Metallica su RTL; il box dei Nirvana lo avevo sentito prima su una radio. Adesso invece c’è tutto reggaeton. Anche noi, in questo disco, abbiamo scritto un pezzo reggaeton … vogliamo sparare le radio anche noi.
È un lavoro asciutto rispetto a “Endkadenz vol. 2”. Non ci sono testi didascalici, ma ben costruiti. Non ci sono slogan. Quanto ci mettete a scrivere? E tra questi, quale è il brano più vecchio?
Il primo pezzo in assoluto è stato “Chaise longue” e l’ultimo “Nei rami”. In questo lavoro abbiamo impiegato lo stesso tempo per scrivere testi e musica. Direi comunque una settimana per testo e una per musica. Questa poi è sempre di getto. Il testo, invece, è ragionato. Anche la musica è ragionata certo, ma il primo impeto è più spontaneo. Il testo non deve rovinare la musica. Comunque, fra due anni potrò capire bene cosa ho scritto …
Il disturbo parte da questo momento, proprio quando si stava raggiungendo una buona intimità, e si stava lavorando su alcuni concetti. Restano poche cose interessanti da questo momento in poi … solo schegge, ed è un vero peccato.
“Dialobik” è scritto così volutamente?
Lo ha deciso Luca. Il titolo lo avevamo da tempo, poi è uscito il film, e così non volevamo cambiare del tutto il titolo, e … mah, non sappiamo neppure noi perché!
“Certi magazine” richiama vostre canzoni del passato?
Si forse con le atmosfere, siamo fatti così. Non ci siamo mai interrogati molto su questo. È un pezzo strano. Ci dicono che sia un pò Tiromancino …
Quanto avete lavorato in studio? C’è qualcosa che è rimasto in parte? C’è un tesoretto?
C’è almeno il doppio. Ci sono almeno altri trenta pezzi. Grazie a questo tempo abbiamo sistemato e suonato tanto. Non è un disco facile.
“Nei rami”, ci sono molti insetti … come è arrivata quell’immagine?
Io li vedo come nei film di Indiana Jones. Non ci sono i coccodrilli, ci sono insetti. Se non hai schifo, ci passi sopra. È un pezzo intimista.
Ai live ci saranno fan di vecchia data e nuovi. Chi vi aspettate di trovare? Un pubblico diverso, vediamo. Mi aspetto più energia. Loro potrebbero dire lo stesso. Vediamo chi vince.
È un disco variegato, con molti generi. La vostra musica, ma anche voi come musicisti, dopo sette anni, di cosa avevate bisogno?
È un disco lungo, come tempi di composizione e di ascolto. Abbiamo suonato molte volte queste canzoni. E quello che è finito nell’album è la scrematura che abbiamo fatto, ed è figlia anch’essa del tempo. Ci sono delle canzoni, poi, che non sono immediate, esplorano cose che non arrivano subito al primo ascolto. Può sembrare un disco banale, in molti ce lo hanno detto. Anche il fatto che il primo ascolto può sembrare leggero per tanti, mi piace, comunque è pur sempre un effetto di stranezza.
A questo punto siamo stati per l’ennesima volta interrotti su un passaggio chiave. Abbiamo salutato e ringraziato. Non resta che ascoltare “Volevo magia”, con molta attenzione e, allo stesso tempo, vedere i Verdena live. Noi lo faremo e vi racconteremo come è andata!
Intervista di Luca Cremonesi